Privacy e stampanti, una ricerca catanese sui rischi

In un mondo che sempre più spesso è connesso e che, specialmente dopo la pandemia, ha appreso ancora di più quanto può essere fondamentale la rete, riuscire a proteggere i propri dati è importantissimo. Oggi la rete è un’alleata imprescindibile nella vita quotidiana: tramite essa possiamo effettuare pagamenti, riceverne, iscriverci a un corso o consegnare…

Privacy stampante

In un mondo che sempre più spesso è connesso e che, specialmente dopo la pandemia, ha appreso ancora di più quanto può essere fondamentale la rete, riuscire a proteggere i propri dati è importantissimo. Oggi la rete è un’alleata imprescindibile nella vita quotidiana: tramite essa possiamo effettuare pagamenti, riceverne, iscriverci a un corso o consegnare un CV che contengano tutti i nostri dati, scambiare delle foto etc. Non desta quindi nessuna sorpresa se la rete è anche un luogo in cui si può incorrere in furti di dati sensibili. E se, nel tempo, siamo diventati più prudenti nel gestire le informazioni private che gestiamo attraverso il web, alcune minacce sono ancora trascurate. O del tutto sconosciute, come dimostra la ricerca del dipartimento di Informatica dell’Università di Catania sulle stampanti.

Printjack: la ricerca della facoltà catanese di informatica

Dipartimento di informatica
Può la tua stampante essere una vera e propria “finestra aperta” nella nostra privacy, di cui non siamo consapevoli e che lasciamo quindi aperta? Secondo il prof. Giampaolo Bella, docente di Informatica dell’Università di Catania, la risposta è positiva: « Hai appena ricevuto quel documento super sensibile, diciamo una busta paga o una cartella clinica, attraverso un protocollo super sicuro per internet. Quindi praticamente “ok”. Lo stampi e ti affretti a mettere la stampa in cassaforte. Ti fidi troppo della tua stampante: hai divulgato il documento!»
Una tesi ampiamente esposta dal docente e dal dottorando Pietro Biondi nel loro articolo “You Overtrust Your Printer”, in cui si prendono in considerazione i rischi di queste falle nel sistema di sicurezza dovuto alle stampanti e denominato ‘Printjack’. Un articolo che ha subito riscontato grandissimo successo fra la stampa internazionale di settore e che è stato ripreso da Techradar a Heimdalsecurity.
« L’idea di questo lavoro è nata dall’osservazione che le stampanti di rete sono normalmente visibili a tutti i dipendenti di un’istituzione ma, talvolta, anche dall’esterno». Una “debolezza” che la ricerca ha ben messo in luce, insieme alla necessità di mettere in sicurezza le stampanti al pari di tutti gli altri dispositivi informatici di rete.
«La “famiglia” di attacchi Printjack denuncia un nuovo rischio di sfruttamento di una stampante per montare attacchi che la rendano inutilizzabile, detti di “negazione del servizio – spiegano i due autori – Gli attacchi possono azzerare le capacità di stampa di un’intera istituzione esaurendone carta e toner, e abbiamo valutato una significativa verosimiglianza che possano accadere a livello Europeo e i Printjack possono rivelare a malintenzionati i dati, possibilmente sensibili, contenuti nei documenti che vengono stampati, una nuova forma di “data breach”».
«Possiamo interpretare queste scoperte come un’ulteriore conseguenza del noto fattore umano in cyberscurity perché alcune soluzioni agli attacchi Printjack esistono, ma riteniamo che potrebbero essere largamente tralasciate, quantomeno nel nostro continente. Se i Printjack venissero sfruttati da malintenzionati su scala internazionale, la moderna società potrebbe trovarsi a fronteggiare una grave pandemia informatico».
Insomma, un rischio estremamente concreto, cui tuttavia i ricercatori di questo settore sono abbastanza abituati, visto che sono loro stessi a informarci di come «lavorando in cybersecurity, è possibile scoprire vulnerabilità dappertutto!».

Eccellenze a Catania: parola a Pietro Biondi

dip informatica
La risonanza mediatica della ricerca ha posto l’accento su come, ancora una volta, si tenda a far passare la Sicilia solo come un “buco nero per i cervelli” e troppo spesso dimentichiamo i meriti dei nostri ricercatori. Per questo abbiamo fatto qualche domanda al giovanissimo e brillante ricercatore Pietro Biondi, che ha condotto la ricerca insieme al prof. Bella. Il dott. Biondi ci ha raccontato di essere ormai a conclusione « di un percorso, quello da dottorando, entusiasmante e dinamico. Quando ho cominciato questo percorso sapevo che sarebbe stato denso di soddisfazioni, ma è andato oltre le mie più rosee aspettative, anche come risultati nel campo della ricerca. Mi sono confrontato con un ambiente stimolante, incontrando tantissime persone valide, e sono cresciuto molto – professionalmente e personalmente.»
«Anche le università del Sud» ha continuato il dott. Biondi « hanno al loro interno talenti da far emergere e promuovere. Molto spesso sentiamo parlare di “fuga dei cervelli” e certamente è necessario fare quanto è possibile per arginare questo fenomeno, quando si verifica. Tuttavia, non bisogna mai dimenticarsi di tutti i giovani che rimangono e portano lustro alla nostra terra, con il loro impegno e le loro idee.»

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