L’istituto per Ciechi “Ardizzone Gioeni” di Catania è da più di cento anni un punto di riferimento per la cura dei non vedenti in Sud Italia: nel corso del tempo, gli scopi di cura sono stati adattati alle disposizioni della medicina moderna rimanendo sempre fedeli alle linee guida originarie dettate dal fondatore di ospizio permanente per i ciechi incurabili e quello temporaneo di chi soffre di mali agli occhi curabili.
Storia dell’Istituto per Ciechi Ardizzone Gioieni
L’Istituto per Ciechi Ardizzone Gioeni prende il nome dal suo fondatore, il filantropo Tommaso Ardizzone Gioeni, che nel suo testamento segreto destinava la sua cospicua eredità alla costruzione di un ospizio-ospedale che ospitasse e curasse i ciechi di entrambi i sessi in condizioni di indigenza.
Il barone Tommaso Ardissone Gioeni era nato a Catania il 29 Settembre del 1803 dal barone di San Vito Nicolò Ardizzone e da Isabella Gioeni; della sua vita si hanno poche notizie frammentarie: si sa che sposò Marianna, figlia del barone Anzalone e che morì all’inizio del 1894.
Dopo la morte, il notaio Carmine Martinez rese pubbliche le ultime volontà del barone, redatte in più parti: un primo testamento datato 10 Marzo 1884 a cui si aggiungevano un’appendice del 19 Settembre 1888, due testamenti registrati dieci giorni dopo e un ultimo testamento olografo recante data 29 Settembre 1892.
Il progetto dell’ospedale-ospizio per ciechi fu affidato al noto architetto Filadelfo Fichera, che morì prima della conclusione e l’opera fu portata a compimento dal figlio Francesco.
Il 30 Maggio del 1911 i Sovrani d’Italia Vittorio Emanuele II e la consorte Elena di Montenegro inaugurarono il palazzo al cospetto di Giovanni Giolitti, in qualità di Presidente del Consiglio, e del cardinale Giuseppe Francica Nava.
È importante sapere che il barone Tommaso Ardizzone Gioeni dispose esplicitamente che non fosse consentito all’Istituto di accettare sussidi, rendite di enti e aggregazioni di altre opere pie per evitare che, un domani, degli esterni potessero reclamare diritti di vario titolo sulla sua Fondazione. Ancora oggi, l’Istituto ha come missione principale l’accoglienza di ciechi di ambo i sessi affinché possano avere accesso a titolo gratuito di vitto, alloggio, cure mediche e istruzione; oltre a questo, la Fondazione si occupa di diagnosi, programmi riabilitativi e percorsi educativi volti all’autonomia del malato e alla sua piena integrazione sociale.
Il 30 Maggio del 1911 i Sovrani d’Italia Vittorio Emanuele II e la consorte Elena di Montenegro inaugurarono il palazzo al cospetto di Giovanni Giolitti, in qualità di Presidente del Consiglio, e del cardinale Giuseppe Francica Nava.
È importante sapere che il barone Tommaso Ardizzone Gioeni dispose esplicitamente che non fosse consentito all’Istituto di accettare sussidi, rendite di enti e aggregazioni di altre opere pie per evitare che, un domani, degli esterni potessero reclamare diritti di vario titolo sulla sua Fondazione. Ancora oggi, l’Istituto ha come missione principale l’accoglienza di ciechi di ambo i sessi affinché possano avere accesso a titolo gratuito di vitto, alloggio, cure mediche e istruzione; oltre a questo, la Fondazione si occupa di diagnosi, programmi riabilitativi e percorsi educativi volti all’autonomia del malato e alla sua piena integrazione sociale.
Il Palazzo
Sull’onda della corrente letteraria romantica e della conseguente rivalutazione del Medioevo, visto non più come età buia, ma come un’epoca di grandi battaglie per l’affermazione dei popoli, l’architettura europea riscoprì lo stile gotico.
Caratterizzato da pilastri a fascio, volte a crociera ad arco acuto, nervature a sostegno della vela, archi rampanti innestati su contrafforti e campate prevalentemente rettangolari, il “neo-gotico” prende piede alla fine del Diciottesimo secolo e influenza sensibilmente l’architettura per tutto il secolo successivo. Non sorprende, quindi, che Filadelfo Fichera, noto architetto e ingegnere civile catanese, si sia ispirato a questa corrente nel progettare l’Istituto per Ciechi Ardizzone Gioeni.
Il palazzo progettato da Fichera è un pregiato gioiello architettonico caratterizzato dal tipico chiostro neogotico e da una piccola chiesa interna impreziosita da curiosi mosaici sui cui soffitti sono riconoscibili due stelle di David; attorno alla corte interna corre una suggestiva galleria di portici.
Al suo interno l’edificio si contraddistingue per le eleganti scale di marmo, i corridoi lunghi e ampi e i pregiati lampadari antichi; fiore all’occhiello dell’Istituto è la biblioteca, che conserva più di ventitremila volumi, di cui diciottomila in scrittura Braille.
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