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  • Cosa Fare a Catania per la festa di tutti Santi di Catania

    Cosa Fare a Catania per la festa di tutti Santi di Catania

    La festa di Tutti i Santi è una festività cristiana che si celebra il 1º novembre, in cui si ricordano tutti i defunti, sia noti che ignoti. A Catania, questa festa è particolarmente sentita e si celebra con una serie di eventi e manifestazioni religiose e civili.

    La processione dei Santi

    Il momento più importante della festa è la processione dei Santi, che si svolge la sera del 31 ottobre. La processione è presieduta da San Giovanni Battista, patrono di Catania, e da Sant’Agata, patrona della Sicilia. I Santi vengono portati in processione per le vie del centro storico, accompagnati da una grande folla di fedeli.

    Processione dei Santi a Catania

    In Sicilia, la festa dei morti è una festa di origine pagana che si è poi sovrapposta alla festa cristiana di Tutti i Santi. La festa si celebra il 2 novembre e prevede la preparazione di un tavolo con dolci, frutta e altri doni per i defunti.

    A Catania, la festa dei morti è particolarmente sentita nel quartiere di San Berillo, dove si svolge la tradizionale “Festa di morti”, con la preparazione di dolci e piatti tipici della tradizione siciliana.

    Festa dei morti a Catania

    Altri eventi

    Oltre alla processione dei Santi e alla festa dei morti, a Catania si organizzano anche altri eventi per celebrare la festa di Tutti i Santi. Tra questi, si segnalano:

    • Il concerto di musica sacra, che si svolge il 31 ottobre in Cattedrale. Concerto di musica sacra a Catania
    • Il mercatino dei morti, che si svolge il 1º novembre in Piazza del Duomo. Mercatino dei morti a Catania
    • Il tour delle Catacombe di San Giovanni, che si svolge il 1º novembre.Tour delle Catacombe di San Giovanni a Catania

    La festa di Tutti i Santi è un’occasione per celebrare la memoria dei defunti e per riflettere sulla vita e sulla morte. È una festa che unisce la religiosità alla tradizione popolare, e che rappresenta un momento di riflessione e di condivisione per la comunità catanese.

  • La Chiesa della Badia di Sant’Agata

    La Chiesa della Badia di Sant’Agata

    La Chiesa Badia di Sant’Agata è uno dei principali monumenti barocchi di Catania, situata in Via Vittorio Emanuele II, proprio di fronte al Duomo. La chiesa è stata realizzata da Giovanni Battista Vaccarini, è un capolavoro di architettura che coniuga i modelli dell’imponente architettura Romana con le forme sinuose della tradizione tardo barocco locale.

    Il magnifico prospetto della Chiesa della Badia di Sant’Agata.

    L’esterno della chiesa è caratterizzato da un movimento a onde che, amplificato dall’alternanza di luci e ombre, le donano un aspetto curvilineo ed elegante. Il portale seicentesco di Giovanni Maria Amato è l’unico sopravvissuto al terremoto del 1693.

    L’interno della Chiesa della Badia di Sant’Agata.

    Badia di Sant'Agata scrigno

    L’interno della chiesa è a croce greca allungata. Il lampadario centrale, realizzato da oltre 5000 cristalli di Murano, è un opera di grande bellezza. Tra le opere custodite all’interno è degno di nota il “Crocifisso” di Ignazio Carnazza.

    La chiesa è chiusa in alto da una cupola. La salita che consente di arrivare in cima è di 170 gradini, più la piccola scala a chiocciola. Dalla cima è possibile ammirare un panorama mozzafiato di tutta la città, dalla Cattedrale di Sant’Agata con la sua cupola, al porto, all’Etna.

    Quattro cappelle si inseriscono nell’ottangolo e accolgono quattro altari. Le superfici della chiesa sono di un magnifico stucco bianco e su questo si innalzano dei magnifici altari in marmo giallo, da cui si elevano quattro statue in stucco lucido, che rappresentano San Giuseppe e Sant’Euplio a destra, nell’altare maggiore Sant’Agata, patrona di Catania, San Benedetto e l’Immacolata Concezione a sinistra. Le statue sono sta realizzate da Giovan Battista Marino, con l’aiuto di Mario Biondo e Giovan Battista Amato.
    Il pavimento della chiesa è caratterizzato da una sfarzosa composizione decorativa a fasce intersecate a fioroni e volute, in marmo chiaro su base grigia.

    La Chiesa della Badia di Sant'Agata Interno

    Cronologia dei lavori di Costruzione della Chiesa Badia di Sant’Agata

    1735 Progetto definitivo della chiesa

    1736 Acquisto di calce e probabile inizio del cantiere

    1741 Finiture in pietra bianca del prospetto principale, costruzione delle volte dei quattro bracci della croce e della sacrestia

    1742 Costruzione del cornicione dell’ordine Gigante con
    pietra “giurgiulena”

    1748 Completamento della facciata principale

    1759 Erezione del tamburo della cupola

    1764 Inizio della costruzione della cupola con conci di pietra “giurgulena”

    1767 Completamento della cupola e della lanterna

    1767 Incarico a G.B. Marino peri gruppi scultorei della facciata principale

    1768 Il 12 marzo muore Giovan Battista Vaccarini

    1770 Inizio della stuccatura e lucidatura dei partiti architettonici e delle pareti, comprese colonne in

    finto marmo edii rilievi a stucco in chiave ai quattro archi principali

    – Realizzazione della zoccolatura in marmo

    – incarico per gli altari in marmo giallo di Castronovo

    1771 Incarico per la realizzazione del pavimento bicromo.

    Fino al 1782 Completamento con le opere scultoree interne, gelosie lignee, arredi mobili.

    Opere, artisti e maestranze

    Progetto architettonico: Giovanni Battista Vaccarini (1735)

    1. Statua di Sant’Agata con due putti, di Giovanni Battista A Marino {tra il 1770 e il 1782)

    2. Statua dell’Immacolata Concezione, di G.B. Marino {tra il 1770 e 1782)

    3. Statua di San Giuseppe, di G.B. Marino {tra il 1770 e il 1782)
    4. Statua di Sant’Euplio, di G.8. Marino (tra il 1770 e il 1782)

    5. Statua di San Benedetto, di G.B. Marino (tra il 1770 e il 1782)

    – Altari di Tommaso Privitera, Pietro e Mario Biondo (1770)

    6. Statue di putti con acquasantiera, di G.B. Marino (tra il 1770 e 11 1782)

    7. Crocifisso ligneo. di Ignazio Carnazza (1694), incastonato su una cortina di marmi di Ignazio Marino, Mario Biondo e G.B Amato.

    8. Pavimento in Marmo di Pietro e Mario Biondo, G.B. Amato | Marino (1771)

    Restauro interno della Chiesa

    Il restauro delle superfici degli elementi plastici, è stato preceduto da interventi di consolidamento delle parti in procinto di distacco. I cartigli e le parti distaccate dei capitelli (foglie e volute) sono stati consolidati strutturalmente con l’inserimento di perni in : acciaio inox o in fibra di vetro fissati con resina epossidica. Le lacune sono state ricolmate con stucco e rinforzi di rete in fibra di vetro. Laddove integra, è stata recuperata l’ossatura lignea di sostegno.

    Eseguito il consolidamento si è proceduto alla pulitura delle superfici le quali si presentavano caratterizzate da depositi di
    polvere molto aderenti al supporto. E’ stato necessario pertanto l’utilizzo di impacchi di polpa di carta giapponese, sepiolite e carbonato d’ammonio seguita da una pulitura con spugne e spazzolini. 

    Su tutte le superfici a mezzo stucco è stato eseguito un intervento di descialbo per asportare lo strato
    pittorico di colore grigio-cenere che le ricopriva indistintamente. Già i saggi preventivi avevano
    messo in evidenza delle superfici in origine trattate in maniera diversa, come le colonne dell’ordine
    gigante e le semicolonne dell’ordine minore che erano in finto marmo di Carrara.

    Cosa consiste la tecnica di descialbo?

    La tecnica di descialbo è consistita nella rimozione meccanica mediante miscela di acqua deionizzata
    con alcool e ammoniaca applicata con spugna e seguita dal bisturi per le parti più aderenti. Nelle
    zone modanate si è fatto ricorso ad impacchi assorbenti (essenzialmente carta giapponese imbibita con carbonato d’ammonio diluito in acqua deionizzata). successivamente al descialbo è stato eseguito un raccordo cromatico, con velature pittoriche, tra le zone deteriorate, ovvero prive della patina pittorica originaria, e le zone integre restituite dalla pulitura.

    La stessa tecnica è stata adoperata per il restauro delle colonne. ll descialbo ha restituito superfici in
    finto marmo di Carrara con livelli di conservazione non omogenei. E’ stato necessario pertanto intervenire con un reintegro pittorico di alcune venature e con raccordi cromatici puntuali. Il trattamento finale delle colonne e delle semicolonne con cera d’api naturale ha loro conferito la lucentezza originaria, peraltro ampiumente mantenuta dopo il descialbo.

  • San Mauro patrono di Viagrande

    San Mauro patrono di Viagrande

    Nel cuore della pittoresca Viagrande, un piccolo comune alle pendici dell’Etna in Sicilia, si svolge annualmente un evento che incanta i residenti e attrae visitatori da ogni angolo dell’isola: la Festa di San Mauro. Questa celebrazione, dedicata al santo patrono del paese, offre un’opportunità unica di immergersi nella cultura, nella spiritualità e nell’atmosfera festosa della tradizione siciliana.

    La Festa di San Mauro, solitamente celebrata a Gennaio e con una ricorrenza la prima domenica di Settembre, è un’esplosione di colori, suoni e emozioni che catturano l’anima di chiunque vi partecipi. Le strade del paese si animano con bancarelle che vendono prodotti artigianali, dolci tipici e prelibatezze locali, creando un percorso di sapori autentici che delizia i sensi e stimola la curiosità.

    La festa di San Mauro

    Ma l’elemento centrale di questa festa è la devozione a San Mauro. I festeggiamenti iniziano con una solenne processione, durante la quale la statua del santo viene portata in giro per le vie del paese dai fedeli in abiti tradizionali. Questo momento di fede e devozione crea un legame speciale tra la comunità e la sua storia religiosa, e rappresenta un momento di riflessione e rinnovamento spirituale per molti partecipanti.

    Oltre agli aspetti religiosi, la Festa di San Mauro offre anche intrattenimento e divertimento per tutte le età. Concerti, spettacoli teatrali e eventi culturali si susseguono lungo i giorni di festa, animando le piazze e creando un’atmosfera di gioia contagiosa. I giovani e i meno giovani si uniscono in balli e danze tradizionali, mantenendo viva l’essenza della cultura locale.

    La tradizionale festa patronale di San Mauro

    Nel 14° giorno, la vigilia della festa, si svolgono una serie di eventi significativi. Inizia con l’Offerta della cera”, un momento in cui i fedeli presentano ceri decorati come segno di devozione. Segue poi la “Processione della Reliquia del Santo Patrono”, durante la quale una reliquia del Santo viene portata in processione attraverso le strade del paese. La serata culmina con una maestosa gara pirotecnica che illumina il cielo.

    Un momento intriso di folklore è l’”entrata dei partiti” o dei giovani cantanti. In questa occasione, i cittadini si dividono in due fazioni, il partito di S. Caterina e quello di Scalatelli. Questi due gruppi competono in una sana rivalità, eseguendo le “antiche cantate” tradizionali dei rispettivi quartieri. La divisione tra i partiti non è sempre legata alla residenza, ma l’appartenenza è spesso di natura affettiva. La competizione tra i due partiti culmina in spettacolari giochi pirotecnici, ognuno cercando di offrire lo spettacolo migliore.

    Il 15° giorno, la “Solennità di S. Mauro”, è il punto focale della festa. Inizia con la rivelazione del Santo Patrono, seguita da un momento attesissimo: alle 13 in punto avviene l’uscita trionfale del simulacro del Santo. Questo momento è accompagnato da uno spettacolo pirotecnico straordinario, che non ha eguali. Il simulacro di San Mauro viene quindi portato in processione lungo le vie cittadine, circondato dai fedeli devoti e dai corpi bandistici, creando un’atmosfera di fervente devozione e festosa celebrazione.

    All’arrivo del simulacro in Piazza San Mauro, avviene una caratteristica “Calata dell’Angelo”. Un angelo di legno scende da un baldacchino postato ad un’alta elevazione rispetto al simulacro. L’angelo porta in mano fiori e banconote, simboli di offerte e devozione, che vengono donati al Santo. Questo momento rappresenta un tocco unico di spiritualità e tradizione che caratterizza la festa di San Mauro a Viagrande.

    La bellezza di Viagrande

    L’evento è anche l’occasione per scoprire l’arte e l’artigianato tipico della zona. Mostra di ceramiche, esposizioni di opere d’arte e dimostrazioni di antichi mestieri attraggono appassionati e curiosi, offrendo un’occasione unica di apprezzare il talento e la creatività dei locali.

    La Festa di San Mauro a Viagrande è molto più di una semplice celebrazione. È un momento in cui la tradizione si mescola alla modernità, la fede si intreccia con la gioia e la comunità si unisce in un abbraccio caloroso di appartenenza. Questa festa incarna l’essenza stessa di Viagrande, con la sua storia, la sua cultura e la sua gente accogliente. Chiunque partecipi può essere certo di portare via con sé ricordi indelebili di un’esperienza autentica e coinvolgente.

  • La Festa Di San Gregorio Magno: Una Tradizione Secolare a Vizzini

    La Festa Di San Gregorio Magno: Una Tradizione Secolare a Vizzini

    San Gregorio Magno, patrono di Vizzini, è una figura chiave nella storia della Chiesa Cattolica. Nato a Roma nel 540 d.C., Gregorio proveniva da una famiglia nobile. Divenne prefetto di Roma, ma abbandonò la carriera politica per dedicarsi alla vita monastica.

    I miracoli e le opere di San Gregorio

    Gregorio è ricordato per diversi miracoli. Si dice che durante una carestia, pregò per far piovere e le sue preghiere furono esaudite. Un’altra leggenda narra che liberò Trastevere dalla peste facendo sfilare per le strade di Roma l’icona della Madonna.

    Gregorio scrisse anche importanti opere teologiche e storiche. Le sue omelie e lettere forniscono informazioni preziose sulla Chiesa del VI secolo. Tra le sue opere principali vi sono i “Moralia in Job”, commentari sul libro di Giobbe, e “Dialoghi”, raccolta di miracoli e visioni di monaci italiani.

    Nel 590, Gregorio fu eletto Papa. Si impegnò per la riforma e la conversione dell’Inghilterra. Mandò monaci in missione e convertì il re anglosassone Etelberto. A Roma, Gregorio promosse la carità, usando le ricchezze della Chiesa per sfamare i poveri e riscattare gli schiavi.

    Morì il 12 marzo 604 e fu proclamato santo subito dopo. È venerato come uno dei quattro grandi Padri e Dottori della Chiesa d’Occidente. La festa di San Gregorio Magno, patrono di Vizzini, si celebra proprio il 12 marzo.

    La Storia Della Festa a Vizzini

    La Festa di San Gregorio Magno è una tradizione secolare che si svolge ogni anno a Vizzini, in provincia di Catania, per celebrare il santo patrono della città. La festa ha origini antiche e risale al 1090, quando i resti di San Gregorio Magno furono portati a Vizzini. Da allora, i vizinesi onorano il santo ogni anno con una grande celebrazione che dura tre giorni, di solito nella prima settimana di settembre. Durante i festeggiamenti, le reliquie del santo vengono portate in processione per le strade della città, seguite da fedeli, autorità religiose e civili. La processione culmina nella Chiesa Madre dove viene celebrata una messa solenne.

    I vizinesi addobbano le loro case, i balconi e le strade con drappi e fiori rossi, il colore simbolo del martirio di San Gregorio. La città è in festa, le campane suonano a distesa e fuochi d’artificio colorano il cielo notturno. Per i vizinesi, questa festa è un’occasione per onorare il loro amato santo patrono, ma anche per rinsaldare i legami comunitari. Generazioni di famiglie si riuniscono per partecipare alle celebrazioni, condividendo pasti, ricordi e la gioia di stare insieme.

    La Festa di San Gregorio è davvero il cuore pulsante di Vizzini, che ogni anno si anima per rendere omaggio al suo illustre concittadino e celebrare la propria storia e identità.

    Le tradizioni e i riti della festa di San Gregorio Magno a Vizzini

    La Festa di San Gregorio Magno è una tradizione secolare che si svolge ogni anno a Vizzini, in provincia di Catania, per celebrare il santo patrono della città. Vizzini è un paese arroccato su una collina, circondato da vigneti e uliveti, con un centro storico medievale ben conservato.

    Durante i festeggiamenti, vengono organizzate diverse processioni in onore di San Gregorio Magno. I fedeli sfilano per le strade della città portando la statua del santo, accompagnati dalle preghiere e dai canti della banda musicale. Le processioni culminano nella Messa solenne nella Chiesa Madre.

    Uno dei momenti più attesi della festa sono i fuochi d’artificio. Lo spettacolo pirotecnico viene organizzato la sera della vigilia e il giorno della festa, con fontane luminose, girandole e batterie che illuminano il cielo notturno sopra Vizzini. I botti e le esplosioni dei fuochi vengono accolti con applausi e grida di gioia dalla folla.

    Il pane di San Gregorio

    In occasione della festa, le famiglie vizzinesi preparano il “pane di San Gregorio”, un dolce tipico fatto con farina, strutto, zucchero, uova, lievito e semi di anice. Ha una forma rotonda con un’impronta al centro, simbolo della corona di spine di Cristo. Viene benedetto in chiesa e poi consumato a casa, a conclusione dei festeggiamenti in onore del santo patrono.

    La Festa di San Gregorio Magno è l’evento più importante dell’anno per la comunità di Vizzini. Rappresenta un’occasione per rinnovare la devozione al santo, rinsaldare i legami familiari e comunitari e celebrare le tradizioni secolari che fanno parte integrante della storia e dell’identità del paese.

    I Momenti Salienti Dei Festeggiamenti

    I momenti salienti dei festeggiamenti in onore di San Gregorio Magno a Vizzini sono davvero spettacolari. La città si anima per diversi giorni di eventi, processioni e celebrazioni che onorano il santo patrono.

    Due grandi processioni solenni si snodano per le vie della città. La prima ha luogo la domenica precedente la festa, quando la statua del santo viene portata dalla Chiesa Madre alla Chiesa di San Gregorio. La seconda processione, il giorno della festa, vede il ritorno della statua alla Chiesa Madre, seguita da musica, canti e preghiere.

    Uno spettacolo pirotecnico illumina il cielo notturno in onore del santo patrono. Razzi colorati esplodono sopra la città, regalando uno spettacolo indimenticabile.

    Per l’occasione, viene organizzata una sagra in cui poter degustare prodotti tipici locali come ricotta, formaggio pecorino e salumi. I visitatori possono anche acquistare queste prelibatezze direttamente dai produttori locali.

  • Sant’Agata d’agosto: la processione del fercolo

    Sant’Agata d’agosto: la processione del fercolo

    Catania, 17 agosto 2023 – Oggi, 17 agosto, si celebra Sant’Agata d’Agosto, la festa patronale della città di Catania. La festa dura tre giorni e si conclude con la processione del fercolo della Santa per le vie del centro storico, ecco il link della programmazione estiva di Sant’Agata.

    E’ una Santa molto venerata a Catania. Secondo la leggenda, la Santa fu martirizzata nel 251 d.C. per aver rifiutato di sposare il proconsole romano Quinziano. La Santa fu torturata e poi uccisa con il fuoco.

    I catanesi sono molto legati alla Santa e la considerano la loro protettrice. La festa di Sant’Agata è un momento di grande gioia e devozione per i catanesi.

    Quest’anno la festa di Sant’Agata si celebra in un clima di particolare festa e gioia, dopo due anni di pandemia. Migliaia di persone sono scese per le strade di Catania per festeggiare la Santa Patrona.

    La processione del fercolo è il momento più importante della festa. Il fercolo è una grande urna in argento che contiene le reliquie di Sant’Agata. Il fercolo viene portato a spalla da centinaia di uomini e percorre le vie del centro storico di Catania.

    La processione è un momento di grande devozione per i catanesi. Molti fedeli si accalcano lungo il percorso per toccare il fercolo e chiedere la protezione di Sant’Agata.

    La festa di Sant’Agata è un momento di grande gioia e devozione per i catanesi. È un momento in cui si festeggia la Santa Patrona e si chiede la sua protezione per la città.

    Dove seguire la diretta di Sant’Agata?

    Anche quest’anno sarà possibile seguire i momenti della festa estiva in diretta attraverso i canali social dell’Arcidiocesi di Catania:

    Youtube (https://www.youtube.com/@diocesidicatania408)

    Facebook (https://www.facebook.com/ArcidiocesidiCatania)

  • Festa di Sant’Alberto e della Madonna di Trapani

    Festa di Sant’Alberto e della Madonna di Trapani

    Il 7 agosto a Trapani si celebra la Festa patronale di Sant’Alberto, riconosciuto dai cittadini come compatrono insieme alla Madonna di Trapani. Ogni anno, diverse manifestazioni vengono organizzate per onorare il Santo. La festa inizia con una solenne processione del busto di Sant’Alberto, custodito nella Basilica dell’Annunziata, che si snoda fino alla Cattedrale, dove rimane fino al 9 agosto. Una seconda processione altrettanto suggestiva si svolge lungo le vie del centro storico.

    Il 16 agosto è dedicato alla celebrazione della Festa della Madonna di Trapani, co-patrona della città. I trapanesi partecipano con grande sentimento ai festeggiamenti, che culminano la notte stessa con gli spettacolari fuochi d’artificio.

    Festa di Sant’Alberto

    Nella vigilia della festività, il 7 agosto, che coincide con la morte di Sant’Alberto, si svolge un antico rito durante una solenne liturgia, nel quale si benedice l’acqua in memoria del prodigio compiuto in favore del figlio del re Pietro III d’Aragona, che si trovava in punto di morte. Si narra che il giovane fu miracolosamente guarito con un sorso d’acqua contenente pezzettini del vestito di Sant’Alberto. Subito dopo la benedizione dell’acqua, viene estratta una fibra di cotone che era rimasta a contatto con la reliquia del Cranio del Santo, custodita nel capo argenteo della Statua.

    La Statua di Sant’Alberto lascia ogni anno il Santuario della Madonna di Trapani, dove risiede nella cappella dedicata a lui, a bordo di un carro trainato dai devoti. Il percorso inizia dapprima con una tappa dal sindaco di Trapani, che consegna le chiavi al Santo, e prosegue verso la Cattedrale di San Lorenzo, dove vengono celebrate le Santa Messe in onore di Sant’Alberto. La tradizione originariamente stabiliva che la Statua di Sant’Alberto tornasse al Santuario il 10 agosto, ma a causa della sovrapposizione con la festa di San Lorenzo, da alcuni anni il ritorno avviene il 9 agosto. Durante questo ritorno festoso, le campane suonano a festa, e la Statua viene accolta tra gli acclamanti fedeli che esclamano le celebri e caratteristiche grida: “Ittamuccilla ‘na santa uci! Viva Maria e Santu Libbettu! Viva!”

    La Madonna di Trapani

    Dopo la conclusione dei festeggiamenti in onore del Santo patrono Alberto, la città di Trapani vive l’attesa per la festa dedicata alla Madonna di Trapani, che è co-patrona della città e patrona della Diocesi, e si celebra il 16 agosto. I festeggiamenti iniziano il primo agosto con la quindicina e raggiungono il culmine tra il 13 e il 16 agosto.

    La storia di questa meravigliosa opera statuaria è un elemento fondamentale nella storia di Trapani, sia dal punto di vista religioso che culturale, poiché numerosi eventi sono legati ad essa. La statua originale, che non viene portata in processione dal 1954, data dell’ultimo trasporto storico, è conservata e venerata nella basilica omonima situata in Via Conte Agostino Pepoli.

    Fin dai primi giorni di agosto, i devoti iniziano a partecipare alle celebrazioni che si tengono quotidianamente, per poi immergersi completamente nella festa nei giorni 14, 15 e 16. Numerosissimi devoti, non solo trapanesi ma anche provenienti dalle città vicine, si spostano per raggiungere la Chiesa e pregare la Madonna.

    Il 13 agosto c’è una processione notturna con l’arrivo via mare, al molo Garibaldi, della copia della statua di marmo della Madonna, seguita dal trasporto nella Cattedrale. Il 15 agosto all’alba, avviene un tradizionale pellegrinaggio dalla Cattedrale fino al Santuario.

    La statua della Madonna

    Il 16 agosto si svolge la processione principale che attraversa le vie più suggestive del centro storico. La statua della Madonna, posta su un carro a ruote, viene portata in spalla dai devoti, accompagnata dalla banda che suona, mentre i fedeli pregano e portano candele accese. La serata della Madonna si conclude con l’entrata trionfale nella Cattedrale e gli spettacolari fuochi d’artificio di mezzanotte presso la “marina”.

    Secondo il manoscritto, l’Immagine della Madonna era venerata in una chiesa situata in Siria, di proprietà del cavaliere Templare pisano di nome Guerreggio. Tuttavia, a causa di alterne vicende politiche e cruenti battaglie che portarono alla presa di tutta la Terra Santa da parte di Saladino, gran Sultano di Babilonia, i cavalieri Templari decisero di ritornare in patria dopo la sconfitta di San Giovanni D’Acri. Insieme a loro, Guerreggio decise di imbarcare anche la statua della Madonna, per proteggerla dalle mani degli infedeli, e con questo prezioso carico fecero rotta verso Pisa, la loro città di origine.

    Festa di Sant’Alberto e della Madonna di Trapani, il viaggio della statua

    Durante il viaggio, si trovarono ad affrontare una furiosa tempesta al largo di Lampedusa, che li costrinse a cercare rifugio nel porto di Trapani. Qui, rimasero per alcuni mesi per riprendersi dagli spaventi e per effettuare le necessarie riparazioni alla nave. Ma ogni volta che tentavano di ripartire, si verificavano nuove difficoltà legate al maltempo. Queste serie di eventi fece loro capire che, in qualche modo, era previsto che la preziosa statua della Madonna dovesse rimanere a Trapani. Di conseguenza, decisero di consegnare la Madonna al console pisano con la promessa di imbarcarla per Pisa alla prima occasione. La statua fu quindi temporaneamente riposta nella chiesa di S. Maria del Parto, dove i frati Carmelitani si erano stabiliti di recente e dove avrebbero soggiornato per un decennio prima di trasferirsi all’Annunziata fuori dalle mura della città.

    Quando finalmente giunse il momento opportuno di spedire la statua a Livorno, il console la fece sistemare su un carro trainato da buoi per portarla al molo, dove un veliero era pronto a salpare. Tuttavia, gli animali, in modo sorprendente e quasi come se seguissero una guida invisibile, presero la strada verso la campagna, ignorando le frustate del cocchiere. Il popolo in festa e in gran calca gridò di gioia, convinto che l’oggetto della loro devozione avesse scelto di rimanere a Trapani. I buoi si fermarono soltanto davanti alla chiesina dell’Annunziata, e i frati Carmelitani uscirono in processione per accogliere con grande gioia la Madonna. Informato di questa decisione apparentemente soprannaturale, il cavaliere Guerreggio stabilì che l’Immagine dovesse restare a Trapani, nella chiesa dell’Annunziata, servita e venerata dai frati del Carmelo.

  • San Giuseppe falegname in Sicilia

    San Giuseppe falegname in Sicilia

    Oggi andiamo alla scoperta del culto in Sicilia di uno dei più famosi santi in generale. Nella nostra terra, famosissime sono appunto le cene dedicate a San Giuseppe, che saranno l’oggetto del nostro prossimo articolo, nel quale cercheremo di raccontare come quest’usanza si declini in molti paesi. Per adesso però andiamo a scoprire qualcosa in più sul culto in Sicilia di San Giuseppe falegname.

    Il culto per san Giuseppe falegname

    Il culto per san Giuseppe è diffuso in moltissimi paesi della Sicilia dei quali il santo è patrono. Nella tradizione popolare egli svolge ruolo ben determinato, quello di avvocato delle cause impossibili. Il
    Pitré (Feste patronali, cit.) descrive così la devozione dei Siciliani per il santo: «Dei santi il più carezzato patrono è San Giuseppe che occupa 13 comuni». Il suo culto si manifesta attraverso un complesso di elementi rituali, pubblici e privati, quali il banchetto sacro, la preparazione dell’altare, la raccolta delle offerte, la sacra rappresentazione dell’altare, l’accensione dei fuochi e la processione, che hanno luogo in versi periodi dell’anno: a marzo e a fine agosto. Anticamente veniva celebrato con messe e novene ogni mercoledì sin dal mese di gennaio, oggi invece ci si limita al solo mese di marzo e la data della sua festa coincide con l’equinozio di primavera. Nella tradizione popolare, oltre ad essere il protettore degli orfani e delle ragazze nubili, san Giuseppe protegge soprattutto i poveri, ed è per questo che esiste l’usanza di preparare il pranzo sacro offerto ai bisognosi e agli orfani.

    Il banchetto di san Giuseppe falegname


    Il banchetto per la festa di san Giuseppe falegname viene denominato in vari modi a seconda del paese: cena, ammitu, artaru, tavulata. Anche il giorno della sua preparazione può variare: il 19 marzo, giorno della ricorrenza liturgica, la domenica delle palme, il primo maggio, ogni mercoledì del mese di marzo e in qualunque altro momento dell’anno. L’uso di imbandire mense su altari allestiti per l’occasione, diffuso in tutta l’area del Mediterraneo, risale fin alle epoche più antiche.

    Il cibo, nella sua valenza simbolica e rituale, diventa quindi l’elemento principale nei festeggiamenti dedicati al santo. La preparazione dell’altare consiste nell’edificazione di una cappelletta utilizzando
    come materiali il legno o il ferro. La struttura viene ricoperta da rami di mirto e di alloro, simboli agresti con chiaro significato propiziatorio, e in ultimo essa viene decorata con arance, limoni e piccole forme di pani, legati tra di loro con delle cordicelle. All’interno della cappelletta viene preparato un altarino disposto su un ripiano e sotto di esso vi sono altri tre ripiani dove vengono collocati 1 pani
    simboli religiosi tradizionali della festa del santo. Tutto l’altare è decorato da lumini, vasi di fiori, piatti con germogli, brocche dì acqua e di vino e al suo centro viene posto un grande quadro che raffigura la Sacra Famiglia.

    La preparazione

    Una volta la preparazione dell’altare avveniva fuori dalla case, nei cortili o nelle piazze del paese, oggi invece viene allestito dentro casa, mentre il pranzo continua a essere consumato all’aperto. Principalmente, avviene in spazio pubblici o appositi allestiti nelle piazze riccamente ornati di rami di alloro, palme e rami di cedro.

    A Ribera, in provincia di Agrigento, paese che nel 1627 prese il nome di Mara Afan de Ribera, moglie del principe di Paternò, vi è l’usanza di raccogliere rami di alloro per rivestire la stragula, una torre di legno alta circa una decina dî metri, collocata sopra un grande carro e decorata da grandi pani chiamate cudduri, legati tra loro per mezzo di cordicelle. Davanti alla torre è collocata l’immagine di san Giuseppe. La stragula, trainata da due buoi, rappresenta, secondo la tradizione popolare, l’abbondanza e la gloria del santo patriarca mediante alcuni elementi carichi di valore simbolico. quali il pane e 1 rami di alloro.


    Nella provincia di Trapani, a Salemi (l’antica Halicyae fondata dagli Elimi che durante l’epoca romana fu una delle cinque città libere della Sicilia e che poi, sotto la dominazione araba, prese il nome attuale
    dalla parola araba Salam, cioè salubrità e sicurezza) nel mese di marzo è tradizione locale fare una promessa di voto al santo o ringraziarLo per la grazia ricevuta. I preparativi durano otto giorni e durante questo periodo viene allestito l’altare in casa e sì provvede ad invitare un certo numero di bambini, in base al voto fatto. Di solito in numero di re in quanto devono rappresentare la Sacra Famiglia: Maria, Giuseppe e il Bambin Gesù. Un paio di giorni prima di ogni mercoledì
    mese o il 19 marzo, il devoto che ha fatto promessa di voto gira paese per chiedere delle offerte, che di solito consistono in farina, olio, uova o anche in danaro. Questo atto penitenziale è la questua, rituale comune non solo alla festa di san Giuseppe ma anche ad altri santi patroni che si celebrano in Sicilia.

    L’altare e u vastuni

    L’altare viene decorato con molti rami di mirto e di alloro, mentre la preparazione del pane impegna per diversi giorni non solo le donne di casa, ma anche quelle del vicinato. L’impasto della farina segue un rituale ben preciso: i pani devono essere di peso e dimensione diversi e rappresentano fiori, frutta e animali, mentre la loro collocazione sull’altare spetta per tradizione al capofamiglia. Il segno dell’abbondanza nell’altare è rappresentato dagli ortaggi, soprattutto dal finocchio, e dalla frutta collocata in grandi cesti.

    Al centro vengono esposti i cucciddati, grandi forme di pani votivi. La forma di pane dedicata al santo ne riproduce il bastone, u vastuni, decorato con un giglio simbolo di purezza; il pane dedicato a Maria è decorato con una rosa che rappresenta la verginità e guarnito da datteri (che, per tradizione, la Vergine mangiò durante la fuga in Egitto), e da un ramo di palma simbolo di pace. Questo pane è destinato alla fanciulla che impersona la Madonna, mentre il pane dedicato a Gesù viene decorato con gelsomini, con uccelli e con i simboli della sua passione.

    Questi pani, una volta benedetti dal parroco, saranno regalati a parenti e amici.

    Se volete scoprire di più sui patroni siciliani, potete farlo con i nostri articoli.


  • San Vito, patrono di Mazara del Vallo

    San Vito, patrono di Mazara del Vallo

    Quest’oggi ci spostiamo nella Sicilia occidentale, per scoprire la vita e la storia di San Vito, patrono di Mazara del Vallo. Oltre a scoprire alcune curiosità sul festino di San Vito, scopriamo anche come mai in Sicilia viene spesso adoperata l’espressione “il ballo di San Vito”.

    Storia di San Vito

    Vito, figlio di un funzionario romano di nome Ila, nacque a Mazara intorno al 286 d.C. Rimasto orfano di madre, fu affidato alle cure della nutrice Crescenza e del precettore Modesto, che lo educarono alla fede cristiana. Quando il padre scoprì che il figlio era cristiano per punirlo lo consegnò al prefetto Valeriano, ma secondo l’agiografia l’intervento di un angelo lo avrebbe liberato. Assieme a Crescenza e Modesto, Vito decise di lasciare Mazara. Viaggiò fermandosi in Lucania, in Calabria e in Campania, luoghi in cui predicò la fede di Cristo. La sua fama, dovuta ai miracoli che operava sui malati, giunse fino a Diocleziano il quale, secondo alcune fonti storiche, ordinò a Vito di recarsi a Roma per liberare la figlia dall’epilessia. Diocleziano lo ripagò facendolo arrestare e dando ordine che venisse sottoposto al supplizio dell’olio bollente. Secondo la leggenda il santo fu nuovamente liberato dall’angelo.

    Poi, accompagnato dai fedeli Crescenza e Modesto, tornò in Lucania stabilendosi presso la valle del Sele, dove visse e morì. Nell’iconografia popolare è rappresentato con due cani al guinzaglio; in una mano reca la palma del martirio e un libro, mentre con l’altra mano regge una croce.

    Il “ballo di San Vito”

    San Vito divenne popolare soprattutto nel Meridione, dove fu annoverato tra i santi ausiliatori a causa delle sue proprietà taumaturgiche. Viene invocato come protettore dei malati di mente e di tutti coloro che soffrono di affezioni psicosomatiche, quali ad esempio il cosiddetto “ballo di San Vito”. La tradizione popolare gli attribuisce anche la protezione dal morso dei bani idrofobi, come narra il Pitré. Secondo la credenza popolare la guarigione si ottiene recitando anche particolari scongiuri o portando l’immagine del santo, così come viene rappresentato nell’iconografia accompagnato dai cani al guinzaglio.

    Lo speciale patrocinio del santo parrebbe risalire al fatto che gli antichi ritenevano che alcune razze canine fossero la reincarnazione degli spiriti irrequieti dei morti, i quali sotto spoglie animali vagavano per spaventare gli uomini e per far loro del male. I morsi dei cani idrofobi, secondo un’antica cultura, erano in grado di trasformare in demoni gli uomini morsicati. Questo concetto si estendeva anche a tutte quelle malattie che si manifestavano con contrazioni nervose, comunemente chiamate “Ballo di san Vito”.

    Lu festinu di santi Vitu

    Si svolge a Mazara, capoluogo del Val di Mazara al tempo dei Normanni, nel periodo compreso tra la penultima e l’ultima settimana di agosto, in coincidenza con la commemorazione della traslazione di alcune Sue reliquie. La celebrazione liturgica invece il 15 giugno. La festa per il patrono è caratterizzata da due processioni: quella storico-ideale dei quadri viventi (una sacra
    rappresentazione della vita del Santo) e la processione della statua d’argento, che viene posta su un carro trainato dai pescatori e condotta fino alla chiesetta di San Vito. Le origini del festino risalgono al
    XVII secolo, quando i giurati di Mazara nominarono san Vito compatrono della cittadina il 23 agosto del 1614. Papa Gregorio XII fissò la data del 15 giugno come ricorrenza liturgica in onore del santo.

    In un primo tempo il festino venne celebrato in questa ricorrenza, in seguito fu spostato alla seconda metà di agosto in coincidenza con la commemorazione della traslazione delle reliquie del santo, fissata ne 1742 nell’ultima domenica di agosto. Il festino si apre con l’annunzio, un corteo di personaggi in costumi seicenteschi che, dopo aver reso omaggio alla statua del patrono, sfila per le vie della città al rullo dei tamburi dando la notizia dell’inizio dei festeggiamenti. Il corteo dell’annunzio è formato dall’araldo, da un alfiere a cavallo che reca la bandiera municipale, accompagnato dal palafreniere, dai tamburini e dai trombettieri, da quattro vessilliferi che recano le quattro insegne dei quattro quartieri storici di Mazara (Torre Bianca, Torre Marte, San Francesco e San Giovanni) e dal paggio con il rotolo di pergamena, in cui è scritto l’annuncio, che chiude il corteo.

    La processione di quadri

    Ma la manifestazione più caratteristica è la processione dei quadri, con personaggi che rappresentano le grandi virtù e l’esperienza di fede di San Vito e dei fedeli Modesto e Crescenza.

    Se volete scoprire qualcosa in più sulle feste patronali della Sicilia, potete continuare esplorando i nostri articoli dedicati.

  • Sant’Alfio, patrono di Tre Castagni

    Sant’Alfio, patrono di Tre Castagni

    Torniamo con la nostra rubrica dedicata ai santi patroni della Sicilia e alle loro feste. Quest’oggi raccontiamo le vicende e le celebrazioni riguardanti Sant’Alfio.

    La storia di Sant’Alfio

    La storia di Sant’Alfio risale all’epoca dell’Impero Romano, un periodo in cui il cristianesimo era ancora in fase di diffusione e gli imperatori romani perseguitavano i seguaci di questa nuova religione. Nato a Lentini, in Sicilia, Sant’Alfio crebbe in una famiglia devota che lo educò nei principi della fede cristiana.

    La leggenda narra che Sant’Alfio fosse un soldato romano che, insieme ai suoi due fratelli, Cirino e Filadelfo, decise di abbandonare l’esercito e convertirsi al cristianesimo. Questa scelta di fede li mise in conflitto con le autorità romane e li portò a diventare dei perseguitati. Nonostante le minacce e le torture, i tre fratelli si rifiutarono di rinunciare alla loro fede.

    La persecuzione contro i cristiani era particolarmente intensa in quei tempi, e Sant’Alfio, insieme ai suoi fratelli, fu arrestato e sottoposto a vari tormenti. La leggenda racconta che i tre fratelli furono legati a un palo e flagellati, ma nonostante le sofferenze, rimasero saldi nella loro fede.

    La loro resistenza e il loro coraggio divennero un esempio per molti altri cristiani che subivano persecuzioni. Tuttavia, l’opposizione delle autorità romane non cessò, e Sant’Alfio, Cirino e Filadelfo furono condannati a morte. La tradizione sostiene che furono decapitati per la loro fedeltà a Cristo.

    I Santi Martiri

    La celebrazione della Festa dei Santi Martiri di Trecastagni ha inizio il primo giorno di maggio con il suono di ventuno colpi di cannone sparati dal Forte Mulino a vento. Questa festività è caratterizzata da una serie di eventi che si alternano alle celebrazioni religiose, rendendola ancora più speciale. Tra questi eventi vi è la tradizionale Sagra delle musiche e la cantata in onore dei Santi Martiri, la gara Piromusicale delle sezioni cittadine “S. Alfio”, “Tondo” e “Collegiata”, e la fiera di Piano Sciarelle, inaugurata nella vigilia della festa dei Santi Martiri di Trecastagni.

    Durante la giornata delle Reliquie dei Santi Martiri, le reliquie vengono portate in una suggestiva processione per le strade del centro. Il corteo è aperto dal clero, dalle autorità civili e militari e dalle diverse confraternite. Il 10 maggio, giorno solenne della festa dei Santi Martiri di Trecastagni, a mezzogiorno i simulacri vengono accolti sul sagrato del santuario dai fedeli festanti, che li accompagneranno lungo le vie del paese.

    Inoltre, la prima domenica di settembre si commemora il passaggio dei Santi Martiri da Trecastagni con l’esposizione dei tre simulacri sull’altare maggiore, le celebrazioni eucaristiche e la processione. Questo momento speciale riunisce la comunità per onorare la memoria dei Santi Martiri e rafforzare il legame tra i fedeli e la loro fede.

    La festa di Sant’Alfio a Tre Castagni


    La Festa di Sant’Alfio è una festività di grande importanza che si svolge dal 1 al 17 maggio a Trecastagni, nella provincia di Catania. Il momento culminante di questa celebrazione avviene durante la notte tra il 9 e il 10 maggio con la Processione dei Nuri. Questa notte è comunemente chiamata “notte santa” ed è considerata l’evento più significativo di tutta la festa.

    Centinaia di pellegrini intraprendono un cammino a piedi, scalando le pendici dell’Etna in preghiera, portando con sé grandi ceri fino al santuario di Sant’Alfio. Questo corteo di pellegrini è noto come la Processione dei Nuri, poiché coloro che partecipano camminano a piedi nudi (chiamati “nuri” in dialetto) e indossano solamente mutandoni e camicie bianche.

    All’arrivo al Santuario, che avviene all’alba, i pellegrini vengono accolti dal suono delle campane e dai colpi di cannone sparati a salve, annunciando l’inizio della messa solenne. La cerimonia è caratterizzata da una solenne celebrazione eucaristica, con preghiere, canti e lodi a Sant’Alfio.

    Durante la messa, i pellegrini si riuniscono intorno all’altare, mostrando la loro devozione e gratitudine al santo. È un momento di profonda spiritualità, in cui i fedeli chiedono la protezione e l’intercessione di Sant’Alfio nelle loro vite. Dopo la messa, i pellegrini si scambiano abbracci e benedizioni, creando un senso di unità e condivisione tra i partecipanti.

    La Processione dei Nuri e la celebrazione della festa di Sant’Alfio sono eventi di grande importanza per la comunità di Trecastagni e per tutti i fedeli che vi partecipano. Queste tradizioni secolari mantengono vivo il ricordo di Sant’Alfio, il suo martirio e la sua devozione alla fede cristiana. Oltre a essere un momento di religiosità, la festa rappresenta anche un momento di unione e di condivisione tra la comunità, creando un legame indissolubile tra i residenti e il loro patrono, Sant’Alfio.

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  • Sant’Anastasia, patrona di Motta

    Sant’Anastasia, patrona di Motta

    Nel cuore della meravigliosa Sicilia orientale, il pittoresco comune di Motta Sant’Anastasia si prepara a celebrare con grande entusiasmo la festa del suo patrono, Sant’Anastasia. Questo evento religioso e culturale riunisce i residenti e i visitatori in una festa animata e coinvolgente, celebrando la devozione verso il santo e l’identità unica di questa affascinante località. La festa di Sant’Anastasia a Motta Sant’Anastasia è un’occasione per immergersi nella cultura siciliana, esplorare le tradizioni locali e godere di momenti di gioia e devozione.

    Vita di Sant’Anastasia

    La festa di Sant’Anastasia è dedicata a Sant’Anastasia di Sirmio, una santa martire del IV secolo. La figura di Sant’Anastasia è particolarmente venerata a Motta Sant’Anastasia, poiché si crede che il suo corpo sia stato recuperato e portato in questa città siciliana molti secoli fa. La festa è un momento speciale per onorare il patrono e rafforzare la fede religiosa della comunità.

    Sant’Anastasia, una santa cristiana del IV secolo, visse durante il periodo dell’imperatore Diocleziano, noto per la sua persecuzione dei cristiani. Anastasia nacque a Roma da una famiglia nobile e fu educata nella fede cristiana. Nonostante i pericoli e le minacce che circondavano i seguaci di Cristo in quel periodo, Anastasia non si sottomise alle pressioni di abbandonare la sua fede.

    Sant’Anastasia divenne una figura di coraggio e devozione quando iniziò a visitare i cristiani imprigionati, fornendo loro sostegno spirituale e materiale. Questo atto di carità e compassione non passò inosservato dalle autorità, e Anastasia fu arrestata e sottoposta a pesanti torture nella speranza di farla rinnegare la sua fede. Tuttavia, nonostante le sofferenze inflitte, Anastasia rimase salda nella sua devozione a Cristo. Alla fine, venne decapitata per la sua fede intrepida.

    Il significato della festa e la venerazione della Santa

    La figura di Sant’Anastasia incarna i valori dell’integrità, della fedeltà e del coraggio di fronte all’oppressione. La sua determinazione a non abbandonare la sua fede, nonostante le conseguenze, ha ispirato milioni di persone nel corso dei secoli. Sant’Anastasia rappresenta un faro di speranza e di forza per coloro che si trovano a fronteggiare le sfide della vita e a difendere le proprie convinzioni.

    Sant’Anastasia è oggetto di grande venerazione e devozione in tutto il mondo. La sua memoria viene celebrata in molte tradizioni cristiane il 25 dicembre, il 22 dicembre o il 29 dicembre, a seconda delle diverse liturgie. I fedeli si rivolgono a lei come intercessore per ottenere protezione, forza e coraggio nelle prove della vita.

    Nonostante i secoli trascorsi dalla sua morte, Sant’Anastasia continua a influenzare la società contemporanea. La sua figura ispira coloro che lottano per la libertà religiosa, per la difesa dei diritti umani e per il perseguimento della giustizia sociale. La sua storia ricorda a tutti noi l’importanza di rimanere saldi nelle nostre convinzioni e di

    Le celebrazioni di Sant’Anastasia

    La festa di Sant’Anastasia a Motta Sant’Anastasia è un’esperienza intensa e coinvolgente. Le celebrazioni iniziano diversi giorni prima della data ufficiale, creando un’atmosfera di trepidazione e attesa. Le strade si riempiono di luci, decorazioni colorate e bancarelle che offrono prodotti tradizionali e prelibatezze culinarie locali.

    Uno degli eventi principali della festa è la solenne processione della statua di Sant’Anastasia. La statua, accuratamente adornata e portata a spalla dai fedeli, attraversa le strade del paese in un clima di devozione e spiritualità. Durante la processione, si possono ascoltare preghiere, canti religiosi e inni dedicati al santo, creando un’atmosfera di commozione e partecipazione emotiva.

    Ogni quattro o cinque anni, Motta Sant’Anastasia, nella provincia di Catania, celebra la festa del suo patrono, Sant’Anastasia. Questa festa, che si svolge dal 20 al 25 agosto, commemora la vita e il martirio di questa nobile fanciulla di origine romana. Convertitasi al Cristianesimo insieme alla madre, Anastasia sposò un capitano romano, ma riuscì a rimanere vergine e sopravvisse al marito, che cercò di farla morire di stenti a causa della sua fede.

    Successivamente, Anastasia si recò a Tessalonica, ma venne arrestata e bruciata sul rogo a causa della sua fede cristiana. Un frammento della sua gamba è conservato nella Chiesa Madre di Motta Sant’Anastasia e venerato come una reliquia preziosa.

    Dal 23 Agosto

    La festa di Sant’Anastasia inizia il 22 agosto con la processione dei cerei dei tre Rioni della città. Questi grandi pilastri di legno, magnificamente decorati, vengono portati sulle spalle dai portantini attraverso le strade della città. Durante la processione, si intonano canti e ballate tradizionali, mentre i fuochi d’artificio illuminano il cielo.

    La serata nella Piazza Umberto è caratterizzata dalla Calata del Partito, l’ingresso dei cerei accompagnato da uno spettacolo organizzato dai tre Rioni, che narra la vita di Sant’Anastasia. Il giorno successivo, avviene l’offerta della cera: i cerei vengono portati in chiesa tra un tripudio di fiori. Nel pomeriggio, si svolgono rievocazioni storiche in costume medievale, un grande corteo e la Discesa storica delle quartine, che ricorda la difesa del castello normanno di Motta da parte di Ruggero d’Altavilla.

    La sera del 23 agosto si tiene una solenne e silenziosa processione, durante la quale le reliquie di Sant’Anastasia vengono portate per la città, precedute dai rappresentanti dei Rioni in abiti devozionali e seguite da numerosi fedeli. Il 24 agosto, il simulacro di Sant’Anastasia viene esposto sull’altare maggiore per la devozione dei fedeli, che possono pregare e contemplarlo. Nel pomeriggio, la statua viene nuovamente portata in processione con i cerei e gli stendardi attraverso la città, accompagnata da canti, preghiere e celebrazioni.

    Il 25 agosto, le campane suonano e colpi di cannone risuonano nell’aria. L’Arcivescovo di Catania celebra una messa solenne, alla presenza di tutte le personalità della città e dei rappresentanti dei Rioni. Segue una sfilata storico-folcloristica e un’ultima processione, prima che Sant’Anastasia ritorni nella Chiesa Madre e nella sua cameretta, attendendo la prossima festa.

  • Sant’Isidoro patrono di Giarre

    Sant’Isidoro patrono di Giarre

    Nella pittoresca cittadina di Giarre, situata lungo la costa orientale della Sicilia, si celebra ogni anno una festa molto speciale in onore di Sant’Isidoro, il patrono dei contadini e degli agricoltori. Questa festa, che si tiene il 15 maggio, è un momento di gioia, devozione e celebrazione per la comunità di Giarre e per tutti coloro che apprezzano l’importanza dell’agricoltura e del lavoro della terra.

    La storia di Sant’Isidoro

    Sant’Isidoro Agricola, noto anche come San Isidro Labrador, è un santo molto venerato e amato dai contadini di tutto il mondo. La sua figura rappresenta l’intera comunità agricola e il duro lavoro dei contadini che coltivano la terra per produrre cibo e sostentamento per l’umanità. Sant’Isidoro è considerato il patrono dei contadini e il protettore della terra, ed è fonte di ispirazione e devozione per coloro che lavorano nei campi.

    La vita di Sant’Isidoro si svolse nell’undicesimo secolo in Spagna, e durante tutta la sua esistenza fu un esempio di fede, umiltà e dedizione al lavoro. Nato in una famiglia povera, trascorse gran parte della sua vita come bracciante agricolo, lavorando nei campi di un nobile di nome Juan de Vargas. Nonostante la sua condizione modesta, Sant’Isidoro era noto per la sua profonda spiritualità e la sua generosità verso i poveri.

    Il culto di sant’Isidoro

    La figura di Sant’Isidoro è legata a numerose leggende e miracoli che testimoniano la sua devozione e il suo amore per la terra. Una delle storie più celebri racconta di come Sant’Isidoro, mentre lavorava nei campi, avesse la tendenza a trascorrere molto tempo in preghiera. Si narra che un giorno, mentre si trovava in estasi mentre pregava, gli angeli lavoravano al suo posto, consentendo a Sant’Isidoro di adempiere ai suoi doveri agricoli senza trascurare la sua vita spirituale.

    La leggenda di Sant’Isidoro testimonia la sua stretta connessione con la terra e la sua fede incondizionata nella protezione divina. Si dice che grazie alla sua devozione e alla sua umiltà, i suoi campi fossero particolarmente fertili e produttivi, producendo abbondanti raccolti. Le storie di miracoli associati a Sant’Isidoro riflettono il suo ruolo come protettore dei contadini, dimostrando che la fede e la spiritualità possono influenzare positivamente il lavoro agricolo.

    La devozione verso Sant’Isidoro Agricola si è diffusa in tutto il mondo e sono state erette numerose chiese e cappelle in suo onore.

    La festa del patrono di Giarre

    La festa di Sant’Isidoro a Giarre è un evento atteso con grande entusiasmo e coinvolge l’intera comunità. La preparazione per la festa inizia molto prima della data ufficiale, con i residenti che adornano le strade e le piazze con fiori, luci e decorazioni colorate. Le immagini del santo vengono esposte nelle chiese e vengono organizzate processioni e cerimonie religiose in suo onore.

    Una delle tradizioni più importanti durante la festa di Sant’Isidoro è la processione solenne che attraversa le vie di Giarre. La statua di Sant’Isidoro, splendidamente vestita e ornata con fiori freschi, viene portata in processione dai devoti. La folla si unisce alla processione, portando con sé mazzi di fiori e offerte per il santo. Le preghiere e i canti religiosi riempiono l’aria, creando un’atmosfera di devozione e spiritualità.

    Durante la festa, gli agricoltori portano i loro mezzi di lavoro, come aratri, falci e ceste di frutta, per essere benedetti dal santo. Questo gesto simbolico rappresenta la gratitudine e la speranza per un raccolto abbondante e per la prosperità dell’agricoltura. È un momento in cui l’intera comunità si riunisce per chiedere la benedizione di Sant’Isidoro e per pregare per la protezione delle colture e del lavoro agricolo.

    Una tradizione antica

    La festa di Sant’Isidoro offre anche un’occasione per celebrare la cultura e le tradizioni agricole locali. Durante l’evento, si possono ammirare esposizioni di prodotti agricoli, come frutta, verdura, formaggi e vino, che rappresentano l’orgoglio e la maestria degli agricoltori di Giarre. Inoltre, vengono organizzati spettacoli folkloristici, balli tradizionali e giochi popolari che coinvolgono sia i residenti che i visitatori.

    La festa di Sant’Isidoro a Giarre è molto più di una semplice celebrazione religiosa. È un momento di gratitudine verso la terra e di apprezzamento per il duro lavoro degli agricoltori che contribuiscono alla prosperità della regione. È un’occasione per riflettere sull’importanza dell’agricoltura e dell’economia rurale per la comunità locale.

    La festa di Sant’Isidoro a Giarre è un’esperienza coinvolgente che unisce tradizione, fede e celebrazione della vita contadina. Rappresenta un legame forte tra la comunità e il proprio territorio, valorizzando il ruolo essenziale che l’agricoltura svolge nella vita quotidiana di Giarre. La festa di Sant’Isidoro è una testimonianza di apprezzamento per il lavoro dei contadini e un momento di gioia e gratitudine che unisce la comunità in un abbraccio di fede e cultura.

  • Chiesa di Santa Maria della Valle a Paternò: Un gioiello storico e spirituale

    Chiesa di Santa Maria della Valle a Paternò: Un gioiello storico e spirituale

    La Chiesa di Santa Maria della Valle, situata nel pittoresco comune di Paternò, rappresenta un autentico gioiello storico e spirituale che affascina i visitatori con la sua architettura affascinante e la sua ricca storia. Questo affascinante luogo di culto cattolico si distingue per la sua bellezza e la sua importanza culturale, attirando non solo i fedeli, ma anche gli amanti dell’arte e i turisti curiosi. In questo articolo, esploreremo la storia e le caratteristiche di questa meravigliosa chiesa, nonché il suo ruolo nel contesto della comunità di Paternò.

    Storia e origine:

    la Chiesa di Santa Maria della Valle ha radici antiche che risalgono al XIII secolo. Fu costruita sulla base di un’antica cappella dedicata alla Madonna e divenne il centro spirituale della comunità locale. Nel corso dei secoli, la chiesa subì diverse ristrutturazioni e ampliamenti, riflettendo le influenze architettoniche dell’epoca. L’edificio attuale presenta una fusione di stili architettonici, inclusi elementi romanici, gotici e rinascimentali, che testimoniano la lunga storia della chiesa e l’evoluzione artistica nel corso dei secoli.

    Architettura e caratteristiche:

    la chiesa si distingue per la sua maestosità architettonica e la ricchezza delle sue decorazioni. L’esterno presenta una facciata imponente con un portale decorato e un rosone centrale che offre un’illuminazione suggestiva all’interno della chiesa. Gli affreschi e le sculture che adornano le pareti interni sono opere d’arte di grande valore artistico, realizzate da artisti locali e rinomati. Ogni dettaglio architettonico e decorativo trasmette un senso di devozione e ispirazione, creando un’atmosfera unica all’interno della chiesa.

    Il tesoro artistico:

    la Chiesa di Santa Maria della Valle custodisce un autentico tesoro artistico. Tra le opere più significative, si possono ammirare dipinti rinascimentali che raffigurano scene religiose e figure sacre. Uno degli esempi più notevoli è l’altare maggiore, un capolavoro scultoreo in marmo che incanta i visitatori con la sua bellezza e la sua complessità. Altre opere d’arte degne di nota includono affreschi che narrano episodi della vita di Gesù e degli apostoli, nonché una collezione di icone sacre che suscitano profonda venerazione e devozione tra i fedeli.

    Ruolo nella comunità:

    la Chiesa di Santa Maria della Valle ha sempre svolto un ruolo centrale nella vita religiosa e sociale della comunità di Paternò. Oltre ad essere un luogo di preghiera e culto, la chiesa ospita importanti celebrazioni religiose durante tutto l’anno, attirando numerosi fedeli e pellegrini da tutto il territorio circostante. Le festività patronali dedicate a Santa Maria della Valle rappresentano momenti di grande partecipazione e unione per la comunità locale.

    Inoltre, la chiesa offre anche un’importante opportunità di scoperta culturale e spirituale per i visitatori. I turisti che si recano a Paternò non possono fare a meno di visitare questa meravigliosa chiesa e di immergersi nella sua atmosfera suggestiva. Il patrimonio artistico e storico della Chiesa di Santa Maria della Valle rappresenta un richiamo irresistibile per gli amanti dell’arte e della storia, che possono ammirare da vicino le opere d’arte preziose e apprezzare la maestria degli artisti che le hanno create.

    La Chiesa di Santa Maria della Valle a Paternò rappresenta un luogo di grande valore storico, artistico e spirituale. La sua architettura affascinante, le opere d’arte preziose e il ruolo centrale che svolge nella vita della comunità locale la rendono una destinazione imperdibile per i visitatori di Paternò.

  • Patrono di Melilli San Sebastiano

    Patrono di Melilli San Sebastiano

    Torna il venerdì e torna l’appuntamento per scoprire la storia, la fede e le festività connesse a un santo. Stavolta è il turno del patrono di Melilli San Sebastiano, in realtà un santo molto venerato non solamente a Melilli ma in tutta la Sicilia (lo avevamo già incontrato ad Acireale).

    La vita di San Sebastiano

    Secondo una Passio sancti Sebastiani, composta verso il V ssecolo, Sebastiano soldato e martire sarebbe oriundo di Narbona, in Francia. Convertitosi al cristianesimo, venne arrestato e condannato al supplizio delle freccie. Legato a un palo, il santo fu trafitto da centinaia di frecce finché i soldati, credendolo morto, lo abbandonarono. Durante la notte alcuni cristiani portarono via il suo corpo e, sotto le cure della matrona Irene, Sebastiano si riprese e continuò a predicare la fede di Cristo. Arrestato nuovamente, stavolta venne ucciso a colpi di bastone e il suo corpo venne gettato in una cloaca, da dove più tardi fu tratto per essere sepolto a Roman accanto alla romba dei santi Pietro e Paolo.

    Patrono di Melilli protettore dalle malattie

    A causa del supplizio subito san Sebastiano divenne colui che protegge gli uomini dalla peste perché sin dalle origini più remote della civiltà umana le frecce hanno un legame simbolico con le frecce. Infatti secondo la mitologia fu Apollo a mandare la pesta fra gli uomini con saette mortifere. Nell’iconografia popolare, inoltre, san Sebastiano è l’unico santo cristiano raffigurato nella sua totale nudità mentre subisce il supplizio. San Sebastiano, la cui festa cade il 20 gennaio, è il patrono più amato in tutta la provincia di Siracusa, dove il suo culto risale al 1414, quando venne ritrovata una statua del santo.

    E’ protettore di molti paese siracusani come Tortorici, Acireale, Avola, Francoforte, Canicattì Bagni e Palazzolo Acreide, ma è soprattutto a Melilli che la devozione per il santo sfocia in manifestazioni spettacolari, che sconfinano nella sfera magico-religioso e nel fanatismo.

    Patrono di Melilli la festa

    Ogni anno a Melilli, che in età feudale appartenne alla contea di Augusta, il primo maggio si ripete il rito devozionale della processione dei nuri, il pellegrinaggio di devoti provenienti da molti paesi della Sicilia. Alcuni di loro affrontano il viaggio a piedi scalzi per sciogliere un voto e fino a pochi decenni fa il paese veniva invaso da centinaia di carrettini che trasportavano i fedeli. Per questa regione il pellegrinaggio assumeva il tono di una sagra paesana.

    Oggi il pellegrinaggio viene effettuato non più a piedi ma con moderni mezzi di trasporto e si è perso l’antico carattere di occasione di incontro e di sagra che animava il pellegrinaggio di una volta. Tuttavia la partecipazione alla festa da parte dei devoti e pellegrini si è accresciuta nel tempo. I nuri vestono oggi con il tipico costume di colore bianco, il colore della fede, e una fascia rossa a tracolla ed entrano in chiesa correndo al grido di : e-cchiamàmulu ca n’aiuta! E-cchiamamulu tutti, frusteri e-ppaisani,via Ddiu e Sam-Mastianu!. La maggior parte dei pellegrini che affluisce a Melilli proviene dalla contrada della Santa Croce, dove si trova un’edicola votiva e da dove i devoti iniziano il loro viaggio partendo all’alba. I nuri, giunti davanti al fercolo del santo, depongono il mazzo di fiori votivo. Nei festeggiamenti per san Sebastiano si usava far offerte di gioielli, cera e animali (cavalli, muli, galline, capre e asini); quest’usanza è stata tuttavia abolita dalla Chiesa per quanto riguarda gli animali.

    La chiesa di S. Sebastiano a Melilli

    La chiesa dedicata al santo patrono, costruita nel 1751 su progetto del francese Louis Alexander Dumontier e restaurata dopo il terremoto del 1990, in occasione dei festeggiamenti si riempi di fedeli che vogliono consegnare l’offerta promessa: ex voto in cera e denaro. Tutti vogliono toccare la statua, issata nel frattempo su una macchina. Subito ha luogo l’offerta simbolica dei bambini al santo: essi, spogliati dei loro indumenti, vengono cinti ai fianchi da una fascia rossa e coperti con un fazzoletto in testa; ognuno ha accanto un mazzo di fiori. Molte madri sfregano i vestitini dei propri figli sulla statua a scopo propiziatorio e come promessa al santo. Infine questi indumenti vengono regalati ai bambini poveri del paese.  

  • San Silvestro, patrono di Troina

    San Silvestro, patrono di Troina

    Silvestro, nato a Troina intorno al XII secolo, fu ordinato sacerdote da papa Adriano IV. Morì nella sua stessa Troina, dove si era ritirato vivendo da eremita. Il suo culto si diffuse soprattutto a causa dei numerosi miracoli attribuitigli. La tradizione popolare narra ad esempio che San Silvestro guarì dalla lebbra l’imperatore Costantino, convertendolo poi alla fede di Cristo. Il paese di Troina, in provincia di Enna, durante la conquista normanna divenne un centro importante, tanto che il conte Ruggero vi fondò due monasteri basiliani e la chiesa cattedrale annessa al primo vescovado normanno in Sicilia.

    I festeggiamenti di San Silvestro

    I troinesi festeggiano san Silvestro, monaco basiliano, tre volte l’anno. Il primo festeggiamento ha luogo il 2 gennaio, quando il santo viene celebrato con la sua messa solenne nella basilica dedicatagli, al cui interno è custodita la sua tomba (attribuita a Domenico Gagini). Oltre la messa solenne il santo riceve l’omaggio della pioggia di nocciole lanciate dal campanile della basilica, comunemente chiamata l’abbiata di nuciddi. La seconda festa ricorre a fine maggio, in coincidenza col festino, durante il quale fino al 1575 venivano celebrati la Vergine Assunta e San Nicolò da Tolentino. La coincidenza è dovuta al miracolo compiuto da san Silvestro quando il suo simulacro, portato in processione, salvò la popolazione dal pericolo della peste che a quei tempi aveva colpito la Sicilia. Il terzo festeggiamento avviene a settembre, mese in cui per circa quindici giorni si svolge una grandiosa fiera.

    Troina

    Il festino di maggio comprende: il pellegrinaggio votivo denonimato Ddarata, organizzato dai massari (i contadini); la processione della reliquia ed infine la cavalcata storica, la kubbaita. Il penultimo giovedì di maggio, i fedeli chiamati a raccolta da un suonatore di tamburo si avviano in corteo verso i boschi vicini per compiere il pellegrinaggio votivo. Ogni pellegrino, appena giunto nel bosco, scegliere una pianta di faggio e dopo averla ripulita da rami e fronde l’adorna con fasci di alloro, fiori, arance, nastri colorati e bambole. Compiuto il rito, i ramari – come vengono comunemente chiamati questi devoti – ritornano al paese a piedi, ognuno col proprio ramo. Il giorno seguente, in mattinata, i fedeli sfileranno con i rami in processione sino alla piazza del conte Ruggero, dove lasceranno i bastoni appoggiati ai muri delle case per proseguire fino alla chiesa Madre. Lì assisteranno alla funzione religiosa.

    Al termine della funzione religiosa si svolge una gara in cui ogni pellegrino darà prova di abilità ed equilibrio reggendo sul palmo della mano il ramo. I più anziani invece si accontentano di assistervi, con i loro rami di alloro sulle spalle. Conclusa la gara, i pellegrini rendono omaggio alla tomba del santo.

    San Silvestro

    La Ddarata

    La domenica mattina ha luogo la Ddarata, cioè il pellegrinaggio organizzato dai contadini, armati di fucili e bastoni, a dorso di muli e cavalli bardati sfarzosamente e carichi di rami dall’alloro. Sabato pomeriggio la reliquia del santo viene portata in processione sino alla basilica di san Silvestro. Il corteo è costituito, oltre che dai fedeli, dai componenti delle undici confraternite: tutti in saio penitenziale, di colore bianco e con mantelle dai colori vivaci. Ogni confraternita è preceduta dal suonatore di tamburo e dallo stendardo, ed è seguito dal proprio governatore che sfila in coda accompagnato dai congiunti e da due valletti in costume, mentre al centro un confrate regge un crocefisso d’argento. Le confraternite sfilano su due file, reggendo il cero acceso. I massari a cavallo hanno il compito di regolarne il passo spostandosi avanti e indietro tra le file della processione. Dopo le confraternite, viene il clero con il parroco che regge la statuetta d’argento raffigurante il santo e contenente le sue reliquie. Questa processione è la rievocazione storica degli eventi del 1575, anno in cui, per scongiurare la peste, le reliquie di san Silvestro furono condotte in giro per il paese.

    La Kubbaita

    La domenica pomeriggio inizia la caratteristica cavalcata della kubbaita, che ha sicuramente origini arabe: da gubbiat, termine che in arabo significa “mandorla”. Alla cavalcata partecipano molti personaggi che sfilano in costumi cinquecenteschi, come soldati e cavalieri. Ogni cavaliere è accompagnato da un palafreniere che regge le briglie al cavallo e da un valletto, il quale a sua volta conduce un mulo carico di provviste. Il valletto porta sulle spalle una bisaccia piena di dolciumi, tra cui il caratteristico torrone siciliano. La cavalcata di Troina è la rievocazione storica della presa del castello ad opera del conte Ruggero quando, scacciati i saraceni, fece del paese la roccaforte delle sue conquiste in Sicilia. La kubbaita si svolge la prima domenica di giugno e percorre le vie principali, fino ad arrivare in piazza conte Ruggero, dove il corteo attraversa l’antico passaggio delle mura del castello, che consiste in un arco di legno sormontato da un’aquila dorata. Dopo il passaggio dell’arco, il corteo viene ricevuto dalle autorità civili del paese.

    Volete scoprire qualcosa in più sulle tradizioni e le feste del nostro territorio? Vi suggeriamo di approfondire con il nostro articolo su San Sebastiano!

  • San Paolo patrono di Palazzolo Acreide

    San Paolo patrono di Palazzolo Acreide

    Oggi è venerdì e torniamo a parlare di fede e folklore nella nostra splendida terra. Oggi andiamo a scoprire la festa di San Paolo, patrono di Palazzolo Acreide.

    Storia di San Paolo

    San Paolo, noto anche come l’apostolo Paolo, è uno dei personaggi più importanti della storia cristiana. La sua vita e le sue opere sono state fonte di ispirazione per milioni di persone in tutto il mondo, e la sua figura è stata oggetto di numerose leggende e storie nel corso dei secoli.

    Nato Saulo di Tarso, Paolo fu un cittadino romano e un fariseo, noto per la sua forte opposizione al cristianesimo. Tuttavia, la sua vita cambiò radicalmente dopo un’esperienza mistica sulla strada per Damasco, durante la quale ebbe una visione di Cristo che lo chiamava a diventare un apostolo.

    Da quel momento in poi, Paolo dedicò la sua vita alla diffusione del cristianesimo in tutto il mondo, scrivendo numerose lettere e fondando numerose comunità cristiane. Durante i suoi viaggi missionari, visitò città come Efeso, Corinto e Roma, dove fu imprigionato e poi giustiziato nel 67 d.C.

    Leggende su San Paolo

    La vita e le opere di San Paolo hanno ispirato numerose leggende e storie nel corso dei secoli. Ad esempio, si dice che durante il suo periodo di prigionia a Roma, Paolo abbia convertito il suo carceriere e sua moglie al cristianesimo. Si dice anche che abbia compiuto numerosi miracoli, come la guarigione di malati e la risurrezione dei morti.

    Un’altra leggenda popolare riguarda la morte di Paolo. Si dice che dopo essere stato decapitato, la sua testa sia rimbalzata tre volte sul terreno, causando la crescita di tre fonti di acqua pura. In seguito, la chiesa di San Paolo fu costruita sul sito della sua esecuzione, diventando uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti del mondo.

    San Paolo è stato anche oggetto di numerose opere d’arte e letterarie. Ad esempio, l’artista italiano Michelangelo ha dipinto un famoso affresco del giudizio universale nella Cappella Sistina, in cui San Paolo è rappresentato tra i santi e gli angeli del paradiso. Inoltre, molti scrittori hanno creato opere basate sulla vita di San Paolo, come ad esempio l’autore britannico Charles Dickens, che ha scritto una biografia romanzata intitolata “The Life of Our Lord”.

    I “cerauli”

    Secondo una credenza popolare, san Paolo fu il primo ceraulo, cioè “serparo”, il cui ruolo è quello di proteggere dai morsi velenosi. Il Pitré descrive infatti una particolare processione che si tiene in occasione dei festeggiamenti di san Paolo, la processione dei cerauli, composta da questi singolari personaggi che accompagnavano il similacro del santo per le vie di Palazzolo Acreide: “Vedeteli in mutande con una grossa cuddura a forma di serpente sul capo, precedeuti dal tamburino e aventi chi in mano una biscia, chi alle spalle o attorcigliato al collo un colubri dei più lunghi”.

    Questi uomini non temono i rettili e addirittura li portano addosso come amuleti a simbolo di guarigione e di salute. Era convinzione che i cerauli fossero nati nella notte del 24 e 25 gennaio, ricorrenza dalla conversione del santo; il segno di tale potere consiste nell’avere sin dalla nascita l’impronta del ragno sotto la lingua. I cerauli godevano di grande considerazione tra il popolino, in quanto vantavano la diretta discendenza dal santo stesso affermando che San Paolo fosse il primo ceraulo.

    La festa di San Paolo a Palazzolo Acreide

    La festa è una celebrazione molto importante per la città di Palazzolo Acreide, città situata nella provincia di Siracusa. La ricorrenza si svolge ogni anno il 29 giugno, in onore di San Paolo, patrono della città. Fra le celebrazioni più antiche e tradizionali della città, risale almeno al XIV secolo. La festa è caratterizzata da una serie di eventi religiosi e culturali, che attirano visitatori da tutto il mondo.

    Palazzolo Acreide ingresso chiesa

    La celebrazione inizia la sera del 28 giugno, quando una processione solenne porta la statua di San Paolo dalla chiesa di San Sebastiano alla chiesa di San Paolo, situata sulla collina della città. Durante la processione, i fedeli indossano abiti tradizionali e portano con sé candele e bandiere. La sera del 29 giugno, la città si anima con una serie di eventi culturali, tra cui spettacoli di musica tradizionale, balli folkloristici e giochi pirotecnici. Inoltre, molte famiglie preparano prelibatezze culinarie tradizionali, come arancini, cannoli, cassata e dolci fatti in casa.

    Il 29 giugno

    Il clou della festa avviene nella mattina del 29 giugno, quando viene celebrata una messa solenne nella chiesa di San Paolo, presieduta dal vescovo della diocesi di Noto. Durante la messa, la statua di San Paolo viene portata in processione per le strade della città, seguita da una grande folla di fedeli. Dopo la messa, la festa continua con una serie di eventi culturali e sociali, tra cui concerti, sfilate e mostre d’arte. Inoltre, molte famiglie aprono le porte delle loro case per ospitare i visitatori e offrire loro un assaggio della cultura e della gastronomia locale.

    La celebrazione di San Paolo è un’occasione unica per conoscere la cultura e la tradizione della Sicilia. La celebrazione combina elementi religiosi e culturali, creando un’esperienza unica e coinvolgente per i visitatori. La città si trasforma in un luogo di festa e di incontro tra le persone, creando un’atmosfera di gioia e di solidarietà.

  • Santa Lucia, patrona di Siracusa

    Santa Lucia, patrona di Siracusa

    Questo venerdì andiamo a scoprire Santa Lucia, patrona di Siracusa

    La storia di Santa Lucia

    Secondo una Passio di origine greca, Lucia era una nobile fanciulla siracusana. Si narra che ella avesse deciso di recarsi in pellegrinaggio a Catania il 5 febbraio, giorno della festività di Sant’Agata, perché sperava che la santa patrona di Catania avrebbe intercesso per sua madre, gravemente malata. Mentre pregava intensamente presso il sepolcro della Santa, presa dalla stanchezza, Lucia si addormentò ed ebbe la visione di Sant’Agata la quale chiamandola “Sorella vergine di Cristo” le disse che la madre sarebbe guarita perché lei aveva dimostrato una fede tanto profonda, quanto gradita a Dio. Lucia raccontò alla madre la visione e quanto le era stato detto, e subito prese la decisione di consacrarsi a Dio, rinunciando tanto al matrimonio quanto alla propria dote, che distribuì ai poveri.

    Quando comunicò al suo fidanzato l’intenzione di non sposarlo più. questi per vendicarsi del rifiuto denunciò Lucia come cristiana all’arconte Pascasio. A quei tempi, Diocleziano perseguitava i cristiani e Lucia venne arrestata e decapitata – pena inflitta ai nobili – il 13 dicembre del 304 a.C. Attualmente il corpo della Santa è sepolto a Venezia, nella chiesa parrocchiale dei Santi Geremia e Lucia; fu il Doge Enrico Dandolo a trasferirvi i resti nel 1204, in occasione della caduta di Costantinopoli nelle mani dei caduti. Il buono stato di conservazione del corpo denota l’avvenuta decapitazione, in quanto la testa è nettamente staccata dal busto.

    Le festività

    A Siracusa, l’antica Syraka, fondata nel 734-733 a.C. da un gruppo di coloni Corinzi, Santa Lucia patrona della città viene festeggiata due volte l’anno. La prima domenica di maggio e il 13 dicembre.

    La festa della prima domenica di maggio, detta Santa Lucia delle quaglie, è collegata all’episodio di un miracolo, avvenuto nel 1646, quando Siracusa fu colpita dalla carestia a causa delle continue tassazioni da parte del governo spagnolo. Il popolo, stremato per la mancanza di cibo e per le epidemie che nel frattempo erano scoppiate, si raccolse in preghiera nella Cattedrale davanti al simulacro della Santa. La tradizione narra che una colomba volò dentro la chiesa quale presagio augurale: e infatti di lì a poco si sparse la voce che alcune navi erano entrate nel porto cariche di grano e di legumi. La folla gridò al miracolo e decise che ogni anno la statua della Santa sarebbe stata trasportata dalla Cattedrale alla chiesa di Santa Lucia della Badia e lì esposta per otto giorni.

    Secondo la leggenda, la Santa avrebbe fatto cadere dal cielo centinaia di quaglie, dando origine così alla festa che si tiene a maggio. In memoria di quest’evento, a partire dal 1646 si istituì la festa del patronato di S. Lucia con il volo delle quaglie e delle colombe. La festa, che si tiene a maggio, è organizzata dalla deputazione della Cappella di Santa Lucia, i cui membri si distinguono per il caratteristico berretto verde, colore dedicato alla patrona.

    13 dicembre, Santa Lucia portatrice di luce

    Ma i festeggiamenti solenni iniziano sin dalla vigilia del 13 dicembre, con l’usanza di accendere dei fuochi il cui significato è quello di voler esorcizzare il progressivo e inevitabile scemare della luce proprio della stagione invernale. La santa, del resto, rappresenta la luce, perché prima della riforma del calendario gregoriano, avvenuta alla fine del 500, il giorno dedicatole coincideva con il sostizio d’inverno, ossia il giorno più corto dell’anno. Quindi, proprio perché dopo la ricorrenza di Santa Lucia i giorni riprendevano ad allungarsi, la Santa fu investita del ruolo di portatrice di luce.

    Ella inoltre è stata messa in relazione con la Dea Demetra, dal momento che gli attributi della santa sono le spighe di grano e la fiaccola. Oltre a ciò va ricordato l’uso di preparare dei pani votivi a forma di occhi detti uccioli di Santa Lucia, e di consumare il 13 dicembre, al posto di pane e pasta, la cuccìa, grano cotto condito con la ricotta o con il miele, secondo una tradizione che risale alle antiche civiltà cerealicole mediterranee e che in alcune feste religiose assume il significato di atto penitenziale e rituale.

    Diversamente dei festeggiamenti che si tengono a Catania o a Palermo per le rispettive patrone, a Siracusa quelli dedicati a Santa Lucia mantengono un tono devozionale, meno chiassoso e più misurato, senza nulla togliere alla profonda devozione dei siracusani nei confronti della loro patrona.

  • San Sebastiano patrono di Acireale

    San Sebastiano patrono di Acireale

    La festa di San Sebastiano ad Acireale è una celebrazione annuale molto attesa dalla popolazione locale e dai visitatori che giungono in città per l’occasione. Questo evento si svolge ogni anno il 20 gennaio, in onore del santo patrono della città, San Sebastiano.

    Storia di san sebastiano

    San Sebastiano è un santo cristiano venerato dalla chiesa cattolica e ortodossa. La sua storia è stata tramandata attraverso le leggende e le tradizioni popolari, ma gli studiosi concordano sul fatto che egli sia stato un soldato romano martirizzato durante il regno dell’imperatore Diocleziano nel III secolo. Secondo la tradizione, Sebastiano era nato a Narbona, in Francia, intorno al 256 d.C. e si era arruolato nell’esercito romano. Era molto rispettato per la sua abilità militare e per la sua fedeltà all’imperatore, ma era anche un cristiano segreto. Quando Diocleziano iniziò la sua persecuzione contro i cristiani, Sebastiano decise di non nascondere la sua fede e di continuare a praticarla pubblicamente.

    Per questo motivo, fu arrestato e condannato a morte. Secondo la leggenda, fu legato ad un albero e colpito da frecce, ma miracolosamente sopravvisse. In seguito, si presentò all’imperatore per rimproverarlo per la sua crudeltà verso i cristiani, ma fu subito condannato a morte per la seconda volta. Questa volta fu frustato e poi lapidato fino alla morte. La figura di San Sebastiano ha ispirato molte opere d’arte, soprattutto nella pittura e nella scultura. Nella tradizione artistica, è spesso rappresentato nudo, legato ad un albero o ad una colonna, con le frecce conficcate nel suo corpo. Questa immagine è diventata un simbolo della forza e della resistenza dei cristiani perseguitati.

    Il patrono dei soldati

    San Sebastiano è anche il patrono dei soldati, degli arcieri, degli atleti e dei malati. La sua festa viene celebrata il 20 gennaio nella chiesa cattolica e il 18 dicembre nella chiesa ortodossa. In Italia, San Sebastiano è particolarmente venerato a Roma, dove la sua chiesa si trova nel quartiere Appio-Latino. Qui si trova una cripta che contiene le sue reliquie e dove i fedeli si recano in pellegrinaggio per chiedere la sua intercessione. In conclusione, la storia di San Sebastiano ci ricorda l’importanza della fede e della resistenza di fronte alle persecuzioni. La sua figura è stata una fonte di ispirazione per molti artisti e per i fedeli che, ancora oggi, lo venerano come un santo protettore.

    La festa di San Sebastiano

    La festa di San Sebastiano è una delle più antiche e importanti celebrazioni religiose della Sicilia. La tradizione vuole che l’evento sia stato istituito nel 1693, dopo il terremoto che colpì la città, come ringraziamento al santo per aver protetto gli abitanti durante la catastrofe.

    La festa si svolge in un clima di grande emozione e coinvolgimento, con migliaia di persone che partecipano alle processioni e ai riti religiosi che si susseguono durante i giorni della celebrazione. Il momento più atteso della festa è la processione del simulacro di San Sebastiano, che viene portato in processione per le vie della città, accompagnato da una folla di fedeli in preghiera.

    Il simulacro di San Sebastiano è una grande statua in legno, alta circa tre metri, che viene portata in processione su una pesante cassa di ferro, a cui sono legati i candelieri di cera che illuminano il percorso. Il simulacro è vestito con abiti preziosi e ornato di gioielli, simbolo della devozione e della gratitudine della comunità nei confronti del santo protettore.

    “A’ nisciuta”

    La processione di San Sebastiano è un momento di grande spettacolo e suggestione, con le strade del centro storico di Acireale che si riempiono di colori e suoni. La folla di fedeli segue il simulacro in preghiera, mentre le bande musicali locali suonano musiche sacre e gli artificieri fanno esplodere fuochi d’artificio che illuminano il cielo.

    Ma la festa di San Sebastiano ad Acireale non è solo una celebrazione religiosa, ma anche un momento di festa e di convivialità. Durante i giorni della festa, la città si riempie di bancarelle e di stand gastronomici, dove è possibile gustare i piatti tipici della tradizione siciliana, come la pasta alla norma, la caponata, i cannoli e il gelato. Inoltre, durante la festa si svolgono anche numerose iniziative culturali e artistiche, come concerti, spettacoli teatrali e mostre d’arte, che arricchiscono ulteriormente l’offerta culturale e turistica della città.

    La festa di San Sebastiano ad Acireale è un evento che coinvolge l’intera comunità, creando un forte senso di appartenenza e di identità collettiva. La celebrazione del patrono rappresenta infatti un momento di riaffermazione della propria storia, della propria cultura e delle proprie tradizioni, che sono radicate nel territorio e nella vita quotidiana della città. Si tratta anche un’occasione per promuovere il turismo e far conoscere al mondo intero la bellezza e la ricchezza culturale della città di Acireale. Infatti, ogni anno migliaia di visitatori giungono in città per partecipare alla festa, contribuendo in modo significativo allo sviluppo economico e turistico della zona.

    La festa di San Sebastiano ad Acireale rappresenta un momento di grande importanza per la città e per l’intera comunità siciliana. La celebrazione del patrono è un momento di fede, di cultura e di convivialità, che unisce la gente e rafforza il senso di appartenenza al proprio territorio e alla propria tradizione. La festa di San Sebastiano è un’esperienza unica, che vale la pena di vivere almeno una volta nella vita.

  • Catania-Sancataldese 3-3, pareggio spettacolo

    Catania-Sancataldese 3-3, pareggio spettacolo

    Dopo la vittoria con l’Acireale, il Catania incappa in un pareggio estremamente rognoso con la Sancataldese, che ancora una volta si rivela avversario ostico e pericoloso. Un pareggio che non nuoce alla classifica, ma nuoce alla ricerca dei record dei rossazzurri e alla loro volontà – espressa anche dal presidente Pelligra sui suoi social dopo il pareggio – di migliorare ogni volta, gara dopo gara. Catania-Sancataldese 3-3 comunque di certo non ha annoiato i tifosi delle due squadre, che hanno assistito al primo gol dopo appena 3 minuti e hanno finito per vedere l’ultimo a pochi minuti dalla chiusura della partita.

    Per la quarta volta in questo campionato il Catania raccoglie un punto, ma per la prima volta pareggia nelle mura amiche del “Massimino”. Un pareggio che brucia ancora di più per come è arrivato, con due gol in due minuti sul finire della gara, col Catania certo di aver messo in cassa la vittoria.

    Catania-Sancataldese 3-3 il tabellino


    Marcatori: pt 3’ Baglione; 19’ autorete Brumat; st 12’ Giovinco, 18’ Sarao, 40’ Deiana Testoni, 42’ Bonanno.

    Catania (4-3-3): 1 Bethers; 5 Rapisarda, 4 Somma (31’pt 17 De Luca), 26 Lorenzini, 27 Castellini; 18 Rizzo (VK), 10 Lodi (K)
    (12’st 32 Giovinco) 24 Vitale (41’st 70 Baldassar); 31 Chiarella (27’st 33 Buffa), 99 Sarao (30’st 9 Litteri), 7 An. Russotto. A disposizione: 22 Groaz; 21 Pedicone; 8 Di Grazia; 35 De Respinis. Allenatore: Ferraro.

    Sancataldese (3-4-2-1): 1 Dolenti (VK); 5 Brumat, 6 Rechichi, 2 Oppizzi (22’st 17 Deiana Testoni); 7 Garzia (14’st 13 Cutrona), 11 Incatasciato (25’st 18 Rodriguez), 4 Calabrese (K) (33’st 14 Toure), 3 D’Agata; 10 Zerbo (39’st 19 Tuccio), 8 Baglione; 9 Bonanno. A disposizione: 12 La Cagnina; 16 Petrucci; 15 Capitano; 20 Murania. Allenatore: Infantino.

    Arbitro: Deborah Bianchi

    Ferraro: “Contento della prestazione”

    Sereno nel rispondere alle domande post gara mister Ferraro. “Sono contento della prestazione, non del risultato. Dopo quattordici vittorie consecutive un pari non ci doveva stare ma ci può stare, il rammarico è prendere tre gol in casa: non va bene. Nel finale c’è stato un po’ di nervosismo, non mi fossilizzerei su questi episodi. Sul 3-1 abbiamo preso due gol su palle inattive e prima non abbiamo sfruttato tre o quattro occasioni per andare sul 4-1, bisogna stare più attenti e dobbiamo trarre esperienza da quanto successo oggi. Nel calcio le partite finiscono quando l’arbitro fischia, dovevamo essere più bravi a chiuderla e gestirla diversamente. Abbiamo vinto il campionato due mesi prima, abbiamo 25 punti di vantaggio sulla seconda, è difficile vincerle tutte: questo risultato non è frutto di un rilassamento, nel calcio ci sono anche gli avversari. Somma ha riportato un distorsione al ginocchio: è da valutare, si sottoporrà ad accertamenti. Il prossimo anno? Noi componenti dello staff siamo contenti di essere apprezzati, parlare di futuro è prematuro, pensiamo alle ultime gare e alla poule scudetto”.

    Un velo di rammarico invece nelle parole di Giovinco, che però ha parlato anche del progetto del Catania. “Se avessimo sfruttato le occasioni avute, parleremmo d’altro. Purtroppo è andata così, continuiamo a lavorare e andiamo avanti. Sul piano personale, compagni e tifosi capiscono la mia situazione e mi sono sempre stati vicini, li ringrazio. Non è mai facile sfruttare l’occasione, oggi ci sono riuscito. L’esultanza con Passanisi? Al momento dell’ingresso in campo mi ha detto “ti aspetto”, da lì l’abbraccio dopo il gol. Qui a Catania c’è un progetto importante ed è un treno troppo importante per me, spero che mi sia data la possibilità. Le ultime partite sono importanti ma credo che la società abbia un’idea precisa di noi”.

    Catania-Sancataldese 3-3, Sarao: “Dovevamo gestire meglio il risultato”

    Mattatore della partita, Manuel Sarao: l’attaccante ha segnato un eurogol, ma rimane con i piedi per terra. “Avevo intenzione di arrivare in area per poi concludere o servire un compagno, ho visto che lo specchio della porta era libero e ho deciso di calciare: mi è già capitato di segnare gol simili, se avessimo vinto sarebbe stato diverso. Prendiamo il pareggio e ripartiamo con entusiasmo e con la determinazione che ci ha caratterizzato fino ad oggi. La mia condizione è migliorata, avremo più armi a disposizione nella poule scudetto che è un nostro obiettivo. Dovevamo gestire meglio il risultato e i momenti della partita ma questo è il verdetto e dobbiamo accettarlo. L’infortunio di Somma? Siamo tutti con Michele”.

  • San Biagio, patrono di Salemi

    San Biagio, patrono di Salemi

    Dopo aver visto la storia di San Corrado Eremita, oggi ci spostiamo a Salemi per andare a scoprire la storia di San Biagio e la festa dei pani.

    La storia di San Biagio

    Biagio, pur esercitando la professione di medico, fu nominato vescovo di Sebaste in Armenia. Durante la persecuzione di Licinio in Oriente, nel 314, si rifugiò in una grotta sul monte Argeo vivendo da eremita. Secondo le leggende nate intorno alla sua figura, egli guariva gli animali con il segno della croce e quando fu rinchiuso in prigione continuò ad operare guarigioni sugli ammalati. Il santo subì il martirio per decapitazione, dopo orrende torture.

    L’iconografia popolare lo rappresenta a figura intera o a mezzobusto, con le insegne vescovili e l’elemento che lo identifica, il pettine, che è il mezzo di tortura subito. Uno dei miracoli più noti risale a quando salvò un bambino che stava rischiando di morire soffocato a causa di una lisca di pesce conficcataglisi in gola. Questo miracolo ha dato origine al suo patrocinio speciale contro le malattie di gola, mentre la guarigione di un maialino recatogli da una donna, la quale, per ringraziamento portò in chiesa delle candele e fece al santo delle offerte di cibo, ha dato origine alla tradizione delle offerte votive.

    Il culto di San Biagio

    Le vicende leggendarie del santo hanno determinato una larga diffusione del suo culto, che si esprime in una serie di atti devozionali caratteristici della sua festa. Il santo è anche patrono di Comiso, l’antica Casmene in provincia di Ragusa, perché, secondo la tradizione, evitò che il paese venisse colpito dalla peste. I festeggiamenti dedicategli si svolgono dal 5 al 9 luglio, con la preparazione di grandi fanali dipinti.

    Nella cultura contadina il santo è molto amato perché protegge la semina. Infatti anticamente, prima di seminare i terreni, si usava andare in chiesa con un sacchetto di cereali affinché fossero benedetti dal parroco e quindi sparsi sul terreno seminato. Il santo viene riconosciuto inoltre come protettore degli animali e di questo suo particolare patrocinio il Pitrè racconta che a San Pietro Patti, in provincia di Messina, « chi ha vacche, cavalli, muli, asini, pecore e altri animali stimati e lucrosi, inclusi i maiali, misura il collo della statua del Santo con un laccio, e questo legato con un altro laccio cinge al collo, al petto, al centre dell’animale che vuol preservato da malattie a venire. Così venti su cento Siciliani, dotti o indotti, nobili o plebei, maschi o femmine credono davvero preservarsi da infiammazioni di gola e da angine tenendo giorno e notte legato al collo un filo di spago qualunque.»

    L’uso di porre il laccio dapprima intorno al collo del santo e poi a quello dell’animale, con il chiaro significato di preservarlo dalle malattie, sopravvive in altre feste in cui il patrono locale è protettore anche degli animali.

    La festa dei pani

    Nella festa di san Biagio, che viene celebrata il 3 febbraio nella chiesa del Rabato, una delle più antiche borgate di Salemi, l’antica Halicyae (divenuta sotto i Romani una delle cinque città libere della Sicilia), vi è l’usanza di preparare dei pani votivi. Si tratta in questo caso della prima festa dei pani con cui si apre un ciclo di ricorrenze che copre l’intero arco dell’anno. È un antico rito di origine pagana, con un evidente significato propiziatorio, entrato successivamente a far parte del culto cristiano, rinnovandosi nei secoli. Questa usanza, collegata alla tradizione del santo protettore dei mali che affliggono la gola, consiste nella preparazione di tre forme tipiche di pani: li cudduredda, pani la cui forma rappresenta la gola. Li cavadduzzi, pani a forma di cavallette, in ricordi di quando nel 1542 le cavallette invasero la campagna di Salemi e furono debellate grazie all’intervento del santo. E infine, pani a forma di mano, la manina di San Brasi, e di bastone fiorito da un lato, simbolo di fertilità.

    I preparativi hanno inizio circa una settimana prima della festa per il patrono ed il 3 febbraio i pani vengono benedetti e distribuiti ai fedeli. I cuddureddi di san Biagiu sono largamente diffusi anche in altre parti della Sicilia: a Racalmuto per la festa del santo vi è l’usanza di consumare per devozione soltanto i pani votivi a forma di trachea o di barba che vengono chiamati varva di san Bilasi. Il Pitrè, a proposito dei pani votivi, scrive: « In quasi tutti i comuni dell’isola, per grazie invocate ed ottenute ed a compimento di voti fatti, si usa eseguire o far eseguire in certe feste dell’anno delle devozioni, panini sacri.»

  • San Corrado Eremita, patrono di Noto

    San Corrado Eremita, patrono di Noto

    Questo venerdì ci spostiamo a Noto per scoprire la storia di San Corrado Eremita e la festa a lui dedicata, L’arrigghiata di San Currau.

    La storia di San Corrado Eremita

    Corrado Confalonieri nacque a Piacenza nel 1290. Si narra che rinunciò alle sue ricchezze a seguito dell’ingiusta condanna di un uomo accusato di aver appiccato il fuoco a un bosco, causando dei danni. Corrado, che si trovava in quel bosco per una partita di caccia, si accollò la colpa e, una volta risarciti i danni causati dall’incendio, decise di dedicare il resto della propria vita alla preghiera e alla penitenza. Giunto in Sicilia per predicare la fede in Cristo, scelse di vivere da eremita sul colle Acre, ma, cacciato via dagli abitanti del luogo, si stabilì vicino a Noto Antica, nella grotta dei Pizzoni, vivendo in solitudine sino alla morte avvenuta il 19 febbraio 1351.

    Il culto di San Corrado Eremita

    Il culto per San Corrado si diffuse in Sicilia fin dal 1515, quando papa Leone X permise che le reliquie del santo fossero custodite in un’urna d’argento per essere venerate dai fedeli. La prima processione dedicata al santo ebbe luogo a Noto nell’agosto del 1525. Successivamente, nel 1643, il consiglio civico del paese lo elesse suo protettore e patrono. Da allora san Corrado viene festeggiato con solennità due volte l’anno: il 19 febbraio, data della sua morte, e l’ultima domenica di agosto, per un totale di quattro processioni l’anno, di cui una si svolge nel giorno della festa e una per l’ottava. L’urna del patrono viene portata in processione in tutto il paese, fin dentro ai vicoli dei quartieri popolari. Noto, vero gioiello del barocco, edificata nel 1703 a sei chilometri a sud di Noto Antica (l’antica Netum), durante la dominazione araba divenne capoluogo della valle omonima (Val di Noto). In seguito al terremoto del 1693 il paese venne ricostruito a valle, in stile esclusivamente barocco, prendendo l’aspetto attuale.

    Val di Noto

    Da notare il fatto che san Corrado fosse venerato prima ancora di essere santificato da papa Leone X.

    L’arrigghiata di San Currau

    Nel tardo pomeriggio dell’ultima domenica di agosto, l’urna d’argento contenente le sue reliquie esce dalla cattedrale portata a spalla, secondo un antico privilegio, dai componenti della Confraternita dei portatori di san Corrado, che indossano un camice bianco e hanno in testa un fazzoletto. Seguono il clero e la band musicale, mentre in testa alla processione sfilano i bambini con indosso il saio del santo, seguiti dalle donne a piedi scalzi e con in mano una torcia accesa. Da ultimo sfilano le varie confraternite: quella dei Cappuccinelli, costituita dai contadini; la confraternita di santa Caterina, costituita dai muratori, e la Confraternita delle anime sante, che riunisce i calzolai. Ciascuna confraternita indossa il proprio costume, recando le coppe su cui sono incise le immagini devozionali dedicate al santo e lo stendardo di appartenenza. Ai lati dell’urna d’argento sfilano i portatori di cilii, grossi ceri montati su un fusto di legno, sul quale sono dipinte a mano scene della vita del santo. La folla dei fedeli partecipa innalzando un grosso cero acceso e molte donne procedono a piedi scalzi per sciogliere un voto.

    Durante la processione, i genitori avvicinano i piccoli fino a toccare l’urna del santo, atto devozionale teso a invocare la guarigione.

    Il corteo

    Il corteo, dopo aver sostato e dopo che i fedeli hanno visitato la chiesa del Santissimo Crocefisso, raggiunge la cattedrale dove una folla di devoti attende per assistere alla trasuta ri San Curradu (l’entrata di San Corrado), cioè l’ingresso dell’urna nella cattedrale. Questo è il momento più spettacolare della processione: i portatori dei cilii eseguono una corsa, come fosse una danza, mentre i portatori del simulacro del santo patrono salgono di corsa le tre rampe di scale della cattedrale per far rientrare le reliquie del santo in chiesa. Gli applausi e gli incitamenti dei fedeli accompagnano l’urna, mentre i portatori dei cilii continuano a eseguire la loro danza in onore del santo. Una volta si usava fare la penitenza della lingua a trasiniuni (strisciare la lingua), per cui chi seguiva in processione l’urna del santo leccava i graditi dello scalone della cattedrale come atto penitenziale o al fine di sciogliere un voto. Ogni dieci anni l’urna viene portata, sempre a spalla dalla confraternita, fino all’eremo di San Corrado fuori le mura, seguita dall’immensa folla di fedeli.

  • Santa Rosalia patrona di Palermo

    Santa Rosalia patrona di Palermo

    Continuiamo, come negli ultimi venerdì, la nostra rubrica dedicata ai santi siciliani e alle feste loro dedicate. Oggi parliamo di una delle sante più venerate in tutta la Sicilia, Santa Rosalia, nonché la patrona del nostro capoluogo di regione.

    La storia di santa Rosalia

    Secondo le notizie di agiografi locali, Rosalia era la figlia del duca Sinibaldo di Quisquina e delle Rose. Alla morte di Ruggero II, ella chiese e ottenne il permesso di vivere da eremita in una grotta sul monte Quisquina, dove trascorse dodici anni della sua vita. Successivamente si traferì in una grotta sul monte Pellegrino, a Palermo, dove visse fino alla morte avvenuta, secondo la tradizione, il 4 settembre del 1160. L’iconografia popolare rappresenta la santa giovanissima, con una corona di rosa bianche sul capo, in contemplazione davanti al Crocefisso che, secondo la sua agiografia, sarebbe lo specchio nel quale la santa vide riflessa l’immagine del Cristo. Altri attributi identificativi sono il teschio, la grotta, il bastone e l’incontro con il cacciatore Vincenzo Bonello. A Palermo, l’antica Ziz (fiore), fondata dai Fenici attorno all’VIII secolo a.C. (chiamata Panormus, cioè “tutto porto”, per la particolare insenatura che consentiva un agevole approdo), di cui la santa è patrona.

    Il culto di santa Rosalia

    Il suo culto si collega a un evento particolare occorso alla città in occasione di una pestilenza. Nonostante le intense preghiere della cittadinanza e le processioni, le quattro sante compatrone di allora – santa Cristina, santa Ninfa, sant’Oliva e sant’Agata – non erano riuscite a fermare l’epidemia. Il miracolo fu invece attribuito alle reliquie di santa Rosalia le quali, portate in processione, riuscirono a impedire l’ulteriore diffondersi del morbo.

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    La leggenda narra che un giorno, sul monte Pellegrino, Rosalia apparve a un cacciatore smarritosi a causa di un forte temporale. In dialetto palermitano la santa gli avrebbe detto di avvertire il vescovo di Palermo che in una caverna, dove ella era vissuta da eremita, vi erano le sue ossa. Inoltre gli predisse che sarebbe morto di peste. Il cacciatore, un tale Vincenzo Bonello, terrorizzato parlò solo in punto di morte. Il vescovo allora, il cardinale Doria, si recò subito nel luogo indicato dalla santa e, ritrovate le ossa, le mise dentro un sacco. Poi in processione solenne e tra i fiori, candele accese e canti, esse furono portate in città.

    La processione

    Il Pitrè (nel suo Feste patronali) descrive così la processione delle reliquie della santa ritrovate il 15 luglio del 1624: « Al loro passaggio il male si alleggeriva, diventava meno intenso, perdeva la sua gravità. Palermo in breve fu libera, ed in attestato di riconoscenza a tanto beneficio si votò a Lei e prese a celebrare feste annuali in suo onore che ricordassero i giorni della liberazione e fossero come il trionfo della Santa protettrice. La grotta del Pellegrino divenne santuario, ove la pietà d’ogni buon devoto si ridusse a venerare la squisita immagine della Patrona.»

    Dal 1624, ogni anno dal 9 al 15 luglio Palermo festeggia la sua patrona, la santuzza, così chiamata affettuosamente dai devoti, con un festino che dura sette giorni. Invece il 4 settembre, giorno della nascita della santa, ha luogo un pellegrinaggio alla grotta del monte Pellegrino, dove è stato edificato il santuario, e alla cappella della cattedrale di Palermo, in cui è custodita la statua della santa. La scultura in marmo, realizzata nel 1625 dallo scultore Gregorio Tedeschi, è ricoperta di monili d’oro e pietre preziose, offerte dai fedeli durante il corso dei secoli. Le reliquie sono custodite dentro un’urna d’argento, eseguita nel 1631 dagli argentieri Francesco Ruvolo, Gian Nicola Viviano e Matteo Lo Castro. Un tempo però il festino era molto più ricco di manifestazioni rispetto a quello che si tiene oggi.

  • San Giorgio, storia e leggenda del patrono di Ragusa

    San Giorgio, storia e leggenda del patrono di Ragusa

    Dopo aver parlato la scorsa settimana della Madonna della Visitazione, patrona di Enna, andiamo a scoprire qualcosa in più sul patrono di Ragusa: San Giorgio. Le notizie su san Giorgio si basano sulla più antica redazione della sua Passio del v secolo, in lingua greca. Giorgio, il cui nome in greco significa “agricoltore”, a causa delle sue gesta eroiche che hanno dato origine a diverse leggende, è diventato nell’immaginario popolare una figura mitica al punto che in Sicilia l’appellativo “cavaliere” segue il nome del santo.

    La storia di San Giorgio cavaliere

    Giorgio, originario della Cappadocia, era ufficiale delle milizie di Diocleziano e si convertì al cristianesimo allorché in Palestina iniziò la feroce persecuzione contro i cristiani, voluta dallo stesso Diocleziano. Inutilmente Giorgio aveva chiesto clemenza. Fu arrestato anche lui e, dopo essere stato torturato, subì il martirio per decapitazione. Nella iconografia popolare il santo viene raffigurato a cavallo, con indosso l’armatura e ai suoi piedi il drago contro cui ha scagliato la lancia. Questa immagine si collega alla ben nota leggenda della lotta tra il santo e il drago, narrata per la prima volta nella Legenda aurea di Jacopo da Varazze, composta tra il 1265 e il 1275. Il culto di San Giorgio si diffuse in Occidente soprattutto durante la dominazione normanna.

    La leggenda di San Giorgio

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    Una leggenda narra che il santo cavalcasse accanto a Ruggero durante le battaglie con i musulmani. Inoltre, nella cultura popolare egli fa parte di quel gruppo di santi ausiliatori la cui intercessione si ritiene particolarmente efficace. Secondo una tradizione popolare siciliana, che risale al XIV secolo, per ottenere una grazia bisogna invocare il santo con la seguente orazione: s. Giorgiu cavaleri, vui a cavaddu e eu a peri; vui ch’andasti a lu livanti chi vinisti a lu punenti, sta grazia m’ati a fari tempu nenti ( San Giorgio cavaliere, voi a cavallo e io a piedi, voi che siete andato a levante, che venite da ponente, questa grazia mi dovete fare in breve tempo). Sempre secondo la credenza popolare, se la notte si sogna un uomo a cavallo significa che il santo ha concesso la grazia.

    San Giorgio a Ragusa Ibla

    San Giorgio è patrono di Ragusa Ibla, l’antica Hybla Heraia, che era un aggregato di villaggi siculi venuto a contatto con le popolazioni greche e romane e che raggiunse una certa importanza nel periodo bizantino, quando nella città venne edificato un castello. Fu conquistata dagli arabi nell’848 e rimase sotto la loro dominazione per circa due secoli e mezzo.

    Il terremoto del 1693 distrusse una parte della città, che nel 1865 venne divisa amministrativamente in Ragusa Ibla e Ragusa superiore, di cui è patrono san Giovanni Battista. Nel 1926 Ragusa venne unificata in un unico comune, ma restò la divisione della città sotto i due patroni. Fu in questo periodo che si inasprirono le lotte campanilistiche vere e proprie fra gli abitanti della parrocchia di San Giovanni, detti sangiovannari e quelli della parocchia di San Giorgio, detti sangiorgiari. Le rivalità tra le due fazioni erano iniziate fra il XII e il XIII secolo, quando in uno dei quartieri fuori dalle mura di Ragusa Ibla fu costruita in onore di San Giorgio. Allorché il quartiere fuori le mura, denominato Cosentini, crebbe si per importanza che per numero di abitanti, le rivalità tra le due fazioni si inasprirono ulteriormente.

    Patrono della città

    Nel 1630 i giurati di Ragusa elessero san Giorgio patrono della città, non tenendo conto né di san Giovanni Battista né di santa Gaudenzia, santa che godeva di un culto più antico e diffuso tra gli abitanti della città. Le rivalità e i contrasti tra le due fazioni continuarono per secoli tra tribunali civili ed ecclesiastici, provocando anche spargimenti di sangue tra i fedeli più fanatici. La chiesa di San Giorgio, essendo chieda matrice, godeva di alcuni diritti nei confronti di altre e alla processione del patrono era prescritta la partecipazione, a titolo di sottomissione, del clero e delle statue delle altre parrocchie di Ragusa, che annualmente accampavano scuse per evitare di prendervi parte. La Domenica delle Palme, dopo la processione del santo, era consentito ai preti di San Giorgio di celebrare la messa fuori dalla chiesa, purché la croce processionale restasse fuori dalla chiesa. Soltanto l’asta poteva oltrepassare di un metro la ringhiera del sagrato. Una volta accadde che tale limite venisse superato e il sagrestano, reo di non averlo fatto rispettare, venne ucciso in un eccesso di furore popolare. Nel corso dei secoli le rivalità fra le due fazioni turbarono a tal punto il normale svolgimento della festa del patrono che solo le catastrofi naturali e le epidemie impedirono il manifestarsi delle intolleranze campanilistiche.

  • Carnevale Santa Maria di Licodia: un successo!

    Carnevale Santa Maria di Licodia: un successo!

    Il mercoledì delle ceneri è ormai alle spalle e si avvicina Marzo, un mese di “pausa” prima delle festività pasquali. Eppure, non si è ancora disperso l’eco del successo del Carnevale di Santa Maria di Licodia. Un vero e proprio festival del divertimento che ha permesso di riempire nuovamente le strade con l’entusiasmo e l’allegria tipici di quest’evento. I social stessi hanno testimoniato il ritrovato entusiasmo e la gioia di riscoprire, dopo gli anni di emergenza sanitaria, la festività carnascialesca. Merito della riuscita del Carnevale di Santa Maria di Licodia va all’amministrazione del Comune. Abbiamo allora intervistato per i lettori di Cataniablog.it l’ass. Fabio Fazio, che gentilmente ha risposto alle domande che gli abbiamo posto.

    Assessore Fazio, Il carnevale 2023 di Santa Maria di Licodia è stato un successo. L’occasione per ripartire serenamente dopo anni difficili, per riportare spensieratezza e allegria fra le strade. Possiamo provare a tracciare un bilancio della festa carnascialesca?
    Carnevale Licodia

    Il bilancio direi che è più che positivo, i cittadini Licodiesi hanno risposto benissimo al suono del divertimento che da diversi anni anche prima del Covid era assente nella nostra città. Di questo sono felicissimo, perché non mi aspettavo questa forte partecipazione dei cittadini ma questo significa che c’è voglia di stare insieme, c’è voglia di ricominciare, c’è voglia di condividere momenti sereni.

    Nota di merito alla splendida iniziativa ” Il carnevale dei bambini”. Un successo nel successo?

    «I bambini sono sempre stati la priorità, non solo per me ma per tutta l’amministrazione. Per questo si è voluto interagire con tutte le scuole presenti nella nostra città e coinvolgerli in una giornata di aggregazione e divertimento con animazione e musica ma anche inserendo all’evento la partecipazione dei ragazzi dell’istituto alberghiero Rocco Chinnici, i quali ci hanno deliziato con delle squisite chiacchiere di carnevale realizzate al momento. Anche l’azienda 3 Moretti è stata presente offrendo a tutti i bambini e non le spremute d’arancia fatte al momento. I bambini hanno bisogno di sorridere, hanno bisogno di ricordare cosa sia lo spirito del carnevale. È stata un’emozione averli tutti insieme sorridenti e gioiosi per la giornata di giovedì grasso, quasi in 1000 tutti insieme a far festa…una vera emozione. Un Grazie va soprattutto ai docenti che hanno creduto in questo progetto.»

    Il Carnevale di Santa Maria di Licodia è diventato un esempio di evento virtuoso, in grado di creare attrattiva. Si è parlato anche di esempio per gli altri comuni che desiderano cimentarsi con la festa carnascialesca. Qual è stato secondo Lei il segreto del Carnevale di Santa Maria di Licodia?
    Carnevale Santa Maria di Licodia 2023

    «Guardi, ho visto dei commenti positivi sui social inerenti al divertimento delle serate di carnevale a Santa Maria di Licodia a detta di cittadini dei vicini comuni. Di questa cosa dobbiamo esserne tutti felici, cittadini e amministrazione, e sa perché?? Perché il nostro comune ha organizzato in economia il carnevale con un budget veramente ristretto e per questo siamo ancora più soddisfatti , perché la città è stata la vera protagonista , la comunità è stata la vera svolta …. La gente ha creduto nelle nostre capacità e lo hanno dimostrato scendendo in strada e partecipando all’evento e questa è una cosa bellissima.»

    Negli anni, nonostante lo stop forzato della pandemia, il Carnevale di Licodia è stato un continuo crescendo. Quali sono, secondo Lei che è stato il primo motore di queste conquiste, i prossimi passi per continuare a crescere come evento?
    Carnevale dei bambini

    «La cosa principale è ripetere l’evento, farlo tornare grande così come lo era anni fa il carnevale Licodiese. Ricordiamo che Santa Maria di Licodia negli anni 90 era l’unico paese del comprensorio ad avere un carnevale con vari carri allegorici e gruppi in maschera, oggetto di curiosità dei cittadini dei paesi limitrofi che venivano a viverlo ogni anno…Ecco, proprio per questo spero di poter portare avanti questo progetto e far ritornare un fiore all’occhiello com’era una volta. Penso che la comunità sposi il mio pensiero e credo che lavorandoci pian piano tutto si può fare.»

    Ci vuole tantissimo impegno verso il proprio mandato per raggiungere un simile risultato. Ma il Carnevale è frutto di un lavoro di più ampio respiro, portato avanti sempre con grande dedizione e nell’interesse di tutta la cittadinanza.

    «Ho accettato il mio ruolo con grande piacere ma con tantissima responsabilità. Mi sto spendendo per il mio paese sempre in prima persona, la gente lo vede e di questo ne sono sicuro. Non vivo di politica, ho un’attività da portare avanti ma non per questo trascuro il ruolo che ricopro. Anzi, ci metto il massimo impegno per la buona riuscita di ogni progetto. Ringrazio sempre il Sindaco Giovanni Butto, il quale mi ha fortemente voluto al suo fianco sono onorato di essere un suo assessore.»

    Ringraziando ancora una volta il gentilissimo Ass. Fazio per averci concesso il suo tempo, non vediamo l’ora che sia di nuovo Carnevale per andare a festeggiarlo a Santa Maria di Licodia!

  • Masticativi: per cani più sereni e dai denti più sani

    Masticativi: per cani più sereni e dai denti più sani

    Masticare, per un cane, non è solo un mezzo per nutrirsi ma anche un’esigenza primaria che soddisfa un bisogno fisico e psicologico.

    I denti dei cani, infatti, sono fatti per spolpare ossa e sgranocchiare cibo tutt’altro che tenero. Tutto ciò è facilmente comprensibile se si pensa che il cane nasce, in natura, come predatore, parente stretto del lupo, abituato a nutrirsi di carne cruda.

    Oggi, però, i cani che vivono in famiglia non hanno più bisogno di usare i denti per questioni di sopravvivenza, visto che sono nutriti con alimenti ben masticabili e pronti all’uso. Come appena detto, però, i benefici della masticazione sono anche emotivi e, dunque, risulta importante garantire al proprio cane un’attività masticatoria in grado di produrre endorfine e di assicurare uno “scaricamento” delle energie in eccesso.

    Il bisogno di masticare, infatti, è costante, ma aumenta nei periodi in cui l’attività fisica dell’animale diminuisce. Diversamente da quanto si può pensare, l’attività masticatoria è propria non solo del cucciolo, ma anche del cane adulto e, per questo motivo, va proposta ed incentivata ogni giorno. Ma come? Le crocchette sono fragranti ma vengono masticate solo per il tempo del pasto…

    I masticativi per cani sono la soluzione ideale da questo punto di vista, in quanto sono graditi ai cani di ogni taglia ed età e sono disponibili in molte varianti di dimensione e gusto. Scegliendo i masticatori Amusi, poi, oltre a soddisfare un bisogno primario del cane, si mantiene anche la sua igiene orale in modo facile e costante. L’Azienda, che sta diventando un punto di riferimento nel settore del pet food made in Italy, propone diversi tipi di masticativi per cani, tutti a base di ingredienti naturali e pensati per prevenire il tartaro. A forma di bastoncino, di stick, di osso o di spazzolino, tutti i masticatori Amusi hanno una consistenza resistente ma flessibile appositamente studiata per intrattenere il cane e prendersi cura dei suoi denti.

    I masticatori Amusi, inoltre, sono privi di proteine animali, non hanno coloranti e OGM e la loro formula naturale e vegetale li rende adatti anche ai cani con problemi renali o che soffrono di allergie.

    È dunque chiaro come incentivare l’attività masticatoria fine a sè stessa del cane, aiuti ad avere al proprio fianco un Fido più sereno e appagato, anche se, va detto, un bastoncino forse non basterà a dissuadere i cuccioli dall’istinto distruttivo nei confronti dei mobili: per quello occorre tanta pazienza e capacità di educare il piccolo alla convivenza domestica.

  • San Calogero patrono di Agrigento

    San Calogero patrono di Agrigento

    Oggi dedichiamo il nostro venerdì a parlare di San Calogero, uno dei santi più amati e venerati nella Sicilia occidentale perché nella cultura contadina è ritenuto il santo protettore del raccolto estivo. Il nome Calogero significa “bel vecchio”, termine con cui si designava colui che viveva da eremita.

    La storia di san Calogero

    La tradizione popolare presenta il santo come un uomo dotato di poteri taumaturgici, in quanto curava e guariva i malati. Quando morì, il suo corpo venne seppellito sul monte Kronio. Successivamente le reliquie del santo furono trasferite nel monastero di San Filippo di Fragalà, presso Messina. Le notizie sul santo sono tramandate dalle biografie contenuti in due testi liturgici: secondo il primo testo Calogero, nato presumibilmente a Cartagine, sbarcò in Sicilia nel V secolo d.C., dove visse in una grotta nei pressi di Lilibeo, l’attuale Marsala, curando gli infermi e convertendo i pagani alla fede cristiana, Diversamente, secondo l’altro testo (del 1610), Calogero sarebbe nato a Costantinopoli e dopo una vita di preghiere e di digiuni si sarebbe recato a Roma, dove ottenne dal papa il permesso di vivere in solitudine. In seguito a una visione divina, si sarebbe recato in Sicilia fermandosi per un breve periodo nell’isola di Lipari, nelle Eolie. Successivamente, in seguito ad un’altra visione, il santo sarebbe andato sul monte Gemeriano, l’antico monte Kronio, presso Sciacca – di cui il santo compatrono è insieme alla Madonna del Soccorso – dove si guadagnò la fama di santo perché, oltre a scacciare i sacerdoti pagani che celebravano riti idolatri sul monte Kronio (nome connesso al culto di Kronos, per i Romani Saturno, protettore dell’agricoltura), divenne popolare soprattutto per la sua opera di taumaturgo. Si era guadagnato tale fama curando i malati che si recevano da lui con i vapori delle grotte, di cui aveva intuito le proprietà benefiche. Da allora i vapori delle grotte di Sciacca presero il nome di “stufe di Calogero” e ancora oggi mantengono intatta la suggestione del passato.

    Il culto di San Calogero

    Il culto di san Calogero è legato al miracolo avvenuto nel 1578, quando Sciacca fu flagellata da continue scosse di terremoto e la popolazione non sapeva a che santo votarsi. La Compagnia di San Vito pensò in quella occasione di promettere a san Calogero una processione se avesse salvato il paese dal terremoto. Il miracolo avvenne e da allora, come ringraziamento al santo, si svolge un pellegrinaggio che puntualmente si ripete ogni anno, il lunedì dopo la Pentecoste.

    Il Pitrè, a proposito dei devoti che usavano compiere tale pellegrinaggio al santuario, che si trova poco distante da Sciacca e custodisce la statua del santo eseguita da Antonello e Giacomo Cagini nel 1538, narra che i pellegrini venivano chiamati leti, e spiega la ragione: «ed anche oggi è uno spettacolo esilarante quello di siffatti pellegrini, andati con le migliori intenzioni religiose, e che tornano troppo allegri, se non briachi fradici.» San Calogero morì il 18 giugno del 561, giorno in cui viene festeggiato nella maggior parte dei comuni dell’isola di cui è patrono.

    I riti agrigentini

    agrigento

    Ad Agrigento, nonostante il patrono principale si san Gerlando, gli agrigentini sono molto devoti a san Calogero, al quale tributano dei solenni festeggiamenti. Anticamente il festino per il santo durava circa un mese, mentre oggi si limita alla prima settimana di luglio. I festeggiamenti iniziano dal giovedì con la benedizione, da parte del vescovo, della divisa dei portatori del simulacro, la pazienza, una camicia bianca che reca sul petto lo stemma di san Calogero. Fra gli atti devozionali che si compivano nella festa di una volta il Pitré narra che era usanza tra i devoti promettere il viaggio da svolgersi durante il mese di maggio da casa fino alla chiesa, anche a piedi scalzi, recitando mentalmente delle preghiere durante il percorso. Appena giunti in chiesa, i fedeli che avevano compiuto il viaggio usavano fare un atto di penitenza, comune in altre feste religiose siciliane di una volta, che consisteva nello strisciare la lingua davanti alla statua del santo. Un’altra usanza era l’offerta di sacchi di frumenti e di oggetti di cerca a forma di membra umane.

    Durante i festeggiamenti i fedeli più devoti osservavano per penitenza il cosiddetto dijuno addumannatu: digiuno durante il quale si mangiava soltanto ciò che si riceveva in elemosina. Un altro uso penitenziale consisteva nel fare il percorso da casa alla chiesa con ai piedi soltanto delle calze. Era il cosiddetto viaggio ni piduni, usanza che tutt’oggi si ritrova tra i fedeli particolarmente devoti. Ad una settimana dalla grande festa, alcuni percorrevano le strade del paese con i tamburi per suonare la diana, dandosi appuntamento davanti alla chiesa dove, una volta disposisi a cerchio, davano inzio alla tammuriata di san Calò.

    Se volete scoprire la storia di un altro santo siciliano, vi consigliamo di leggere il nostro articolo dedicato a San Michele!

  • Sanremo, terra di siciliani

    Sanremo, terra di siciliani

    Si è recentemente concluso il Festival di Sanremo. L’edizione di quest’anno ha catturato l’attenzione di tantissimi spettatori, fra polemiche, rose calciate e baci rubati (o programmati?). D’altronde, è uno degli eventi musicali più importanti in Italia e rappresenta una vetrina per la cultura e la musica italiana. Ogni anno, migliaia di artisti si esibiscono sul palco per cercare di conquistare il pubblico e la giuria con le loro canzoni. Nel corso del tempo ci siamo abituati a vedere diversi artisti siciliani (non solo, anche grandi conduttori!) che hanno portato la loro musica e la loro cultura sulla scena di Sanremo.

    Il recente passato di Sanremo e dei siciliani

    Ariston

    Tra i siciliani recentemente passati dalla gara c’è Willie Peyote, il cui vero nome è Guglielmo Bruno. Nato a Catania nel 1985, Peyote è un cantautore che ha conquistato il pubblico italiano con il suo stile unico e le sue liriche impegnate. La sua canzone in gara si intitolava “Mai dire mai (La locura)” e parlava della follia che si diffonde nella società e del bisogno di combatterla.

    Un altro artista siciliano è Colapesce, il cui vero nome è Lorenzo Urciullo; ha preso parte a due edizioni di Sanremo. Nato a Catania nel 1988, Colapesce ha iniziato a suonare la chitarra all’età di 12 anni e ha poi iniziato a scrivere le sue canzoni. La sue canzoni in gara, presentate insieme al socio Di Martino, sono “Musica leggerissima” (2021), una cover di Lucio Battisti alla quale Colapesce ha dato un nuovo arrangiamento e un nuovo stile, e “Splash” (2023).

    Anche i Maneskin, la band che ha vinto l’Eurovision Song Contest nel 2021, hanno una forte connessione con la Sicilia. Il bassista della band, Victoria De Angelis, è infatti nata a Ragusa, in Sicilia, anche se la band è originaria di Roma. I Maneskin si sono esibiti a Sanremo con una canzone dal titolo “Zitti e buoni”, che ha riscosso un grande successo tra il pubblico italiano e internazionale.

    Sanremo, gli indimenticabili

    Uno degli artisti siciliani più noti che ha partecipato a Sanremo è certamente Franco Battiato, nato a Jonia, in provincia di Catania, nel 1945 e scomparso ormai due anni fa. Battiato ha partecipato diverse volte al festival, a partire dal 1968 con la canzone “La torre”, fino al 1997 con “Stranizza d’amuri”. Le canzoni di Battiato sono caratterizzate da testi impegnati e da un sound sperimentale, che ha contribuito a influenzare la scena musicale italiana.

    Un altro artista siciliano di grande successo che ha partecipato a Sanremo è stato Gigi D’Alessio, nato a Napoli ma cresciuto a Regalbuto, in provincia di Enna, in Sicilia. D’Alessio ha partecipato a Sanremo diverse volte, ottenendo il successo con brani come “Un nuovo bacio” nel 2003 e “Non dirgli mai” nel 2005. Le sue canzoni, spesso caratterizzate da un sound pop romantico, hanno conquistato il pubblico italiano e non solo.

    Un altro artista siciliano di grande successo a Sanremo è stato Claudio Baglioni, nato a Roma ma con radici siciliane. Baglioni ha partecipato al festival molte volte, a partire dal 1967 con “Uno di voi” fino al 2019 con “La vita adesso”. Baglioni è uno degli artisti italiani più amati e le sue canzoni hanno segnato la storia della musica italiana.

    Tra gli artisti siciliani più recenti che hanno partecipato a Sanremo, troviamo Nek, il cui vero nome è Filippo Neviani, nato a Sassuolo ma con origini siciliane. Nek ha partecipato a Sanremo nel 2015 con la canzone “Fatti avanti amore”, che gli ha permesso di conquistare il pubblico e di diventare uno degli artisti più amati in Italia.

    Anche l’ultimo vincitore ha radici siciliane

    Un altro artista siciliano recente di grande successo a Sanremo è stato Marco Mengoni, nato a Ronciglione, ma con radici siciliane. Mengoni ha partecipato a Sanremo nel 2013 con la canzone “L’essenziale”, che ha vinto il festival e che gli ha permesso di diventare uno degli artisti italiani più amati e apprezzati a livello internazionale. A distanza di 10 anni, Mengoni si è ripetuto vincendo con “Due vite”.

    La partecipazione di artisti siciliani a Sanremo ha contribuito a rendere ancora più grande e variegata la scena musicale italiana. L’impegno e il talento di artisti come Franco Battiato, Gigi D’Alessio, Claudio Baglioni, Nek e Marco Mengoni hanno contribuito a rendere Sanremo un palcoscenico di rilievo per la musica italiana e internazionale. La partecipazione di questi artisti siciliani a Sanremo non solo dimostra la ricchezza e la diversità della musica italiana, ma rappresenta anche un modo per diffondere la cultura siciliana in tutta Italia e nel mondo. La Sicilia è infatti una regione ricca di tradizioni e di storia, che ha dato i natali a molti artisti di talento in vari campi, non solo nella musica. L’arte, la letteratura e la cucina siciliana sono solo alcuni degli aspetti che rendono la Sicilia una delle regioni più affascinanti e ricche di cultura d’Italia.

  • Patrono di Caltanissetta: San Michele arcangelo

    Patrono di Caltanissetta: San Michele arcangelo

    Da qualche giorno è ormai trascorsa la festa di Sant’Agata, che anima Catania e coinvolge i suoi abitanti. Raccontare la festa e l’usanza delle candelore è stata una bellissima esperienza, come speriamo possa essere stato per voi leggerlo. Per questo abbiamo pensato, con la redazione di Cataniablog.it, di dedicare qualche ulteriore articolo alle feste patronali della Sicilia. La nostra terra infatti ha delle tradizioni meravigliose, che spesso non si conoscono (talvolta da noi stessi siciliani). Oggi abbiamo quindi scelto di parlare del patrono di Caltanissetta, san Michele arcangelo, e della tradizione a lui collegata delle nove candele.

    San Michele arcangelo, la storia

    Il culto dell’Arcangelo Michele si diffuse principalmente in Oriente, dove a Costantinopoli già intorno al VI secolo gli erano stati dedicati diversi centri culto. In occidente invece la sua devozione è collegata alle sue prime apparizioni. Secondo la tradizione cristiana, l’arcangelo Michele è considerato il capo degli angeli fedeli a Dio e infatti nell’iconografia popolare viene rappresentato come un angelo guerriero, forte e possente, che lotta contro il diavolo. « E’ quanto di più bello per aiutanza di persona e nobiltà di forme si possa immaginare, reso anche più bello dal suo costume del guerriero di Dio.» Così viene descritto dal Pitrè.

    Caltanissetta

    L’attribuzione dell’arcangelo Michele è la bilancia, che tiene in mano e che simboleggia il potere di soppesare le anime dei defunti. Nella cultura tradizionale siciliana san Michele svolge un ruolo analogo a quello di San Giorgio, infatti per indicare un uomo forte si usa l’espressione “è un san Micheli” oppure “è un San Giorgi”. Il Pitrè riferisce che sino al 1860, durante il periodo dei Borbo, il santo veniva festeggiato anche presso la corte di re Ferdinando II a Napoli. Si racconta che il re fosse sfuggito alla morte proprio nel giorno dedicato al santo e che per lo scampato pericolo chiese a papa Gregorio XVI che la ricorrenza di San Michele Arcangelo venisse considerata giorno festivo.

    Il patrono di Caltanissetta san michele arcangelo

    CLTANISSETTA CATTEDRALE SANTA MARIA LA NOVA

    San Michele è patrono di Caltanissetta, l’antica Nissa al cui nome sotto la dominazione araba fu aggiunto l’appellativo di qal’at, cioè castello e che mantenne fino alla conquista normanna avvenuta nel 1086. Città feudale, Caltanissetta fu elevata a contea dagli Aragonesi. La leggenda narra che l’arcangelo apparve a un frate cappuccino al quale annunciò che avrebbe protetto la città. Nel 1625 la Sicilia fu colpita dalla peste e gli abitanti, per evitare il contagio, istituirono con delle guardie un cordone di vigilanza intorno alle mura. Un appestato che, eludendo la sorveglianza, aveva tentato di entrare nella cittadina venne fulminato, secondo la leggenda, proprio dal santo. Da allora Caltanissetta lo elesse patrono al posto del santissimo Crocefisso e del precedente protettore. I nisseni inoltre eressero una chiesa in sui onore e gli dedicarono due feste l’anno.

    Il patrono di Caltanissetta e la tradizione delle nove candele

    Prima di ogni festa, è tradizione in ogni famiglia recitare una novena e fare osservare per voto a ogni figlio o figlia il digiuno, limitandosi a consumare solo pane e acqua. Il digiuno inizia dal lunedì dopo Pasqua e si ripete ogni anno, per nove anni consecutivi. Trascorsi i nove anni, i genitori portano in chiesa nove candele, una per ogni anno, le quali, una volta benedette dal parroco, vengono conservate in casa. Secondo la religiosità popolare si ritiene infatti che esse serviranno nei momenti più importanti della vita di coloro che, in occasione dei festeggiamenti del santo, hanno osservato il digiuno per nove anni consecutivi. Essi potranno utilizzarle sia per invocare la protezione dell’arcangelo, sia per accenderle nei momenti particolari dell’agonia e della morte. 

    Durante la processione, la statua del patrono, opera dell’artista Stefano Livolsi, scolpita fra il 1622 e il 1644, viene portata al duomo al santuario di San Michele, dove resterà per alcuni giorni per permettere ai fedeli di venerarla e fare il viaggio, cioè il pellegrinaggio.

  • Le candelore di Sant’Agata

    Le candelore di Sant’Agata

    A brevissimo tutta Catania sarà in festa per celebrare la sua Santa Patrona. Se volete scoprire in cosa consista una delle festività religiose più conosciute (e di certo la più amata dai catanesi), il nostro consiglio è di viverla. C’è infatti un ricchissimo programma sia per le feste liturgiche sia per quanto riguarda gli eventi culturali. Se però non avete modo di andarla a vedere oppure semplicemente volete scoprire qualcosa in più prima di immergervi nella festa, oggi vi raccontiamo delle candelore di Sant’Agata e della loro storia e tradizione.

    Caratteristica della festa di Sant’Agata è la processione delle candelore, grossi candelabri in legno, ornati di statue di angeli e santi, su cui sono raffigurate alcune scene del martirio della santa. Alti parecchi metri, anticamente essi venivano donati dalle varie corporazioni di mestieri e rappresentacano le offerte simboliche della cera alla padrona. Nel 1514 si contavano 22 candelore, nel 1674 erano 28, alla fine dell’Ottocento erano 15 e negli anni passati le candelore che hanno sfilato in processione sono state 11.

    I tipi di candelore di Sant’Agata

    La loro distribuzione è stata la seguente: la più piccola candelore è stata fatta costruire da monsignor Ventimiglia dopo l’eruzione del 1766. Segue la candelore degli abitanti del quartiere di San Giuseppe La Rena e quella degli ortofrutticoli, costruita in stile gotico. Poi la candelora dei pizzicagnoli, in stile liberty; le candelore dei pescivendoli, fruttivendoli, macellai, pastai, panettieri e bettolieri, in stile barocco e rococò. Ultima è la candelora fatta realizzare dal cardinale Dusmet per il circolo di Sant’Agata.

    Durante il Rinascimento questa caratteristica processione seguiva un cerimoniale e un ordine ben precisi e la mancata osservanza di tali regole veniva punita con la carcerazione e una multa da pagarsi sia all’Opera di Sant’Agata che alla Loggia della Città. Era infatti stabilito che la sfilata venisse aperta dalla candelora dei viticultori, seguivano in ordine quelle dei “carduinari, ortolani, burdunari, tavernari, putigari, buckeri, massari, cutillari, spatari, caudarari, muraturi, maestri daxa, sellari, planellari, curbisieri, mercheri, cimmaturi, pellicteri, custureri, arginteri, barberi e marcanti.

    Quando nel 1837 furono abolite in Sicilia le corporazioni delle arti e dei mestieri, le maestranze si costituirono in associazioni religiose e a Catania presero il nome di circoli agatini.

    Storia delle candelore

    Dal settecento apre la sfilata la candelora fatta costruire da monsignor Ventimiglia, nota come la cannalora di Sant’Aita, mentre oggi l’unica candelora rimasta dei ceri settecenteschi è quella dei pastai. Durante la processione, gli uomini che sfilano con le candelore accese eseguono dei movimenti con il corpo. E’ la cosiddetta annacata, che al buio della sera diventa uno spettacolo suggestivo per le scie luminose e fumose che lasciano i ceri accesi.

    Le dodici candelore di SantAgata

    Alcune curiosità sulla festa

    Il busto d’argento della santa, in cui sono riposte le reliquie, durante il resto dell’anno è collocato dentro un tempietto, nella cappella di Sant’Agata all’interno del Duomo di Catania. Anticamente il fercolo della Santa veniva portato in processione dai nuri, devoti vestiti di bianco, a piedi scalzi, in ricordo della notte del 17 agosto del 1126, quando i catanesi uscirono scalzi dalle loro case per accogliere esultanti le ossa della Santa, che erano state riportate da Costantinopoli. Per l’occasione anche il vescovo Maurizio e il clero indossavano vestiti di colore bianco. Il bianco, oltre a essere il simbolo della gioia e dell’allegria, è il colore della fede. Da allora è rimasto l’uso di indossare durante la processione della Santa il cosidetto sacco, come ha spiegato anche Pitrè.

    Festa Sant'Agata estiva

    Altra tradizione riportata da Pitré è quella della partecipazione delle donne alla processione della Santa. Esse venivano chiamate ‘ntuppatteddi, nome che andava a indicare le donne avvolte da uno scialle che lasciava scoperto soltanto gli occhi. Le devote, durante la festa della patrona, godevano della libertà di potere uscire da sole facendosi corteggiare dagli uomini senza violazione del codice d’onore.

  • Programma degli eventi culturali di Sant’Agata: le manifestazioni e le mostre

    Programma degli eventi culturali di Sant’Agata: le manifestazioni e le mostre

    Si avvicina la festa più amata da tutti i catanesi, conosciuta in tutto il mondo come una delle più caratteristiche della Sicilia. La festa della patrona non avrà però soltanto un ricchissimo programma per le festività liturgiche. Quest’anno infatti il programma degli eventi culturali di Sant’Agata 2023 sarà altrettanto vasto e variegato – sino a includere le manifestazioni sportive. Andiamo a vedere insieme gli eventi in programma.

    Programma degli eventi culturali di Sant’Agata: le manifestazioni e le mostre


    Le mostre dedicate a Sant’Agata

    Festa Sant'Agata estiva


    Dal 13 Gennaio al 13 Febbraio
    Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero” Via Biblioteca 13, Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena
    Ore 9,00 – 13,00 – “S. Agata in biblioteca” Esposizione di opere sul martirio di Sant’Agata e documenti riguardanti le Celebrazioni.
    A cura della dott.ssa Rita Carbonaro.
    Dal 15 gennaio all’12 febbraio
    “Sant’Agata in movimento”:2° edizione della mostra organizzata dall’Accademia di
    Belle Arti di Catania e la Metropolitana di Catania. A cura della prof.ssa Daniela
    Costa.
    Da lunedì 9 gennaio
    Percorso integrato rivolto alle scuole e alle parrocchie “Sant’Aituzza”,
    itinerario guidato ai luoghi del martirio e della tradizione dedicati alla
    Santa Patrona di Catania: Sant’Agata al Carcere e Chiesa di San Biagio in
    Sant’Agata alla Fornace, presso il Museo Diocesano di Catania.
    Esclusivamente su prenotazione. (sala fercolo e sala 4).
    Dal 15 gennaio all’11 febbraio
    “Tutti devoti tutti, cittadini viva Sant’Agata”: percorso alla scoperta della fede, dell’arte e delle tradizioni legate alla Santa Patrona di Catania; l’itinerario, proposto in particolare alle scuole di ogni ordine e grado prevede la visita alla sala del Fercolo, alla Cappella di S. Agata in Cattedrale, la mostra “Cimeli agatini e arte popolare” e la mostra fotografica (novità) “Agata inedita”; l’attività si concluderà con una presentazione multimediale sul tesoro di S. Agata ed il sacello. A cura
    dell’amministrazione della Cattedrale.

    Le mostre di Sant’Agata


    Da venerdì 27 gennaio a lunedì 28 febbraio
    27 Gennaio, ore 17,00 – Inaugurazione mostra “Sant’Agata egli altri. Un percorso di
    Museo diffuso tra arte e devozione”, a cura del Museo Diocesano di Catania, delle
    Associazioni Culturali catanesi CENACUM e G.A.I. Amenanos, presso il Museo
    Diocesano di Catania, Via Etnea n. 8.
    Da sabato 28 gennaio a lunedì 28 febbraio
    28 Gennaio, ore 12,00 – Inaugurazione mostra “L’occhio del Grand Tour su Catania.
    Le immagini della Città nei viaggiatori del Settecento e Ottocento”, a cura
    dell’Arcidiocesi di Catania, della Chiesa della Badia di Sant’Agata, delle Associazioni
    Culturali catanesi CENACUM e G.A.I. Amenanos, presso la Chiesa Badia di
    Sant’Agata, Via Vittorio Emanuele II, n. 182.
    Dal 28 gennaio al 12 febbraio
    Concorso “Miglior vetrina: amo Sant’Agata” – Saranno premiate le
    vetrine più belle lungo il percorso della Processione e la più bella in tutta
    la città.
    A cura di Confcommercio, Confesercenti, Cidec, Federmoda, Cna.

    Programma degli eventi culturali di Sant’Agata

    Cattedrale catania

    Domenica 29 gennaio
    Ore 9,30 – Apertura straordinaria di Palazzo degli Elefanti.
    In occasione dell’apertura straordinaria di Palazzo degli Elefanti sarà
    possibile visitare il Palazzo con visite guidate a cura dell’Associazione
    Guide Turistiche Catania. Sarà esposta l’opera pittorica dedicata a Sant’Agata del
    M.tro Giuseppe Frezza.
    Ore 11,00 – Concerto a cura dell’orchestra sinfonica Catanese diretta dal maestro
    Fabio Raciti, presso il Salone Bellini di Palazzo degli Elefanti, Piazza Duomo.
    Ore 20,00 – In piazza dei Martiri omaggio floreale del Circolo cittadino
    Sant’Agata e manifestazione del Cereo dinanzi alla stele di S. Agata con
    la partecipazione dei Vigili del fuoco.
    Martedì 31 gennaio
    Ore 20,00 – Da piazza Duomo “A21 – Kermesse di moda e costume”, con la
    partecipazione di oltre 100 modelle in sfilata fino a Palazzo della Cultura, lungo via
    Vittorio Emanuele II, dove nell’auditorium Concetto Marchesi si effettuerà la
    premiazione di 3 studenti meritevoli e l’esposizione di oltre 80 abiti fino al 6
    febbraio. A cura dell’Accademia di Belle Arti di Catania, cattedra di storia del
    costume per lo spettacolo diretta dalla prof.ssa Liliana Nigro.
    Mercoledì 1 febbraio

    Ore 20,00 – “Concerto in onore di Sant’Agata” A cura dell’orchestra e del coro del
    Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania. Teatro Massimo Vincenzo Bellini di
    Catania, Piazza Teatro Massimo.
    Giovedì 2 febbraio
    Ore 20,30 – Nella corte del Palazzo degli Elefanti il Commissario Straordinario
    consegnerà “La Candelora d’Oro” e sarà accesa la lampada votiva a Sant’Agata. A
    seguire in Piazza Duomo, omaggio floreale da parte dei Vigili del Fuoco.
    Venerdì 3 febbraio
    Ore 20,00 – Presso piazza Duomo – Catania – Inni e musiche classiche in
    onore di Sant’Agata eseguiti dalla Corale “G. Tovini”, diretto dal M°
    Pietro Valguarnera. Tradizionale spettacolo pirotecnico “I fuochi della
    Sira o’ Tri”.di secondo grado
    Sabato 11 febbraio
    Ore 9,30 Al Museo Diocesano, incontro con gli studenti delle scuole secondarie di
    secondo grado della Diocesi di Catania sul tema “Dalla parte di Agata … dalla parte
    delle vittime” Relatore padre Antonino La Manna, vicario episcopale per la cultura.
    Presso il Museo Diocesano di Catania.

    Manifestazioni sportive


    Dal 11 dicembre al 3 febbraio, Torneo di tennis . A cura del Tennis club Umberto.
    Dal 28 gennaio al 3 febbraio – Eventi sportivi multidisciplinari in onore di
    Sant’Agata, Sport Cultura e Tradizione. A cura del Coni Comitato provinciale di
    Catania.
    Dal 29 Gennaio
    Ore 9,00 – Nuoto Parolimpico, presso Piscina Nesima. A cura Associazione Come
    Ginestre.

    3 febbraio
    Ore 15,00 – Atletica leggera – Corsa podistica su strada – Trofeo Sant’Agata 2023,
    Circuito cittadino. A cura del Coni Comitato provinciale di Catania.

  • ASD SAN LUCA 1 vs CATANIA SSD 3

    ASD SAN LUCA 1 vs CATANIA SSD 3

    Asd San Luca vs Catania Ssd: Primo tempo

    Il primo tempo nell’incontro tra l’ASD San Luca e il Catania SSD è stato caratterizzato da un inizio molto intenso. Dopo soli 2 minuti, Antonio Russotto ha aperto le marcature con un preciso tiro e, sei minuti dopo, Giuseppe Fiumara ha pareggiato. Il Catania non si è arreso e al 19° Salvatore Vitale ha trovato la via del gol portando di nuovo in Vantaggio il Catania. Nonostante lo sforzo dei padroni di casa per recuperare terreno, la squadra di Catania alla fine del primo tempo ha potuto festeggiare il successore con due reti di vantaggio.

    Asd San Luca vs Catania Ssd: secondo tempo

    Nel secondo tempo il Catania SSD ha proseguito con la sua pressione offensiva cercando di aumentare ulteriormente il vantaggio. I padroni di casa hanno invece tentato di reagire, mantenendo la calma e provando a pareggiare nuovamente il risultato. La squadra ospite però ha alla fine trovato un nuovo goal, siglato da De Luca al 88′, e ha portato così il risultato finale sul punteggio di 1-3 per gli ospiti. Il match si è così concluso, regalando alla squadra catanese un’importante vittoria esterna.

    Asd San Luca vs Catania Ssd: Statistiche dell’incontro

    L’incontro tra San Luca e Catania ha offerto un intenso spettacolo calcistico, con entrambe le squadre che hanno espresso un gioco di buon livello. Le statistiche mostrano come il Catania abbia avuto più possesso palla (51%) rispetto al San Luca (49%), impostando così la partita a proprio favore.

    Asd San Luca vs Catania Ssd: Tabellino della Gara

    MARCATORI: 2′ An. Russotto, 6′ Fiumara, 19′ Vitale, 88′ De Luca

    SAN LUCA (3-4-3): Antonino; Fiumara, Ale, Greco; Batista, Spinaci, Carbone, Raso (72′ Murdaca); Ayoub (63′ Giampaolo), Reinero, Yakovlev.
    A disp. di Canonico: Zampaglione, Padea, Pipicella, Suraci, Maesano, Favasuli, Gamez.
    CATANIA (4-3-3)
    : Bethers; Rapisarda, Somma, Lorenzini, Castellini; Rizzo (94′ Bani), Lodi (58′ Palermo), Vitale; Chiarella, Sarao (77′ Giovinco), An. Russotto (58′ De Luca).
    A disp. di Ferraro: Groaz, Boccia, Pedicone, Di Grazia, Privitera.
    ARBITRO
    : Lucio Felice Angelillo (Nola)
    Assistenti: Giovanni Ciannarella (Napoli) e Luca Chianese (Napoli)
    AMMONITI: Fiumara, Carbone, Spinaci, An. Russotto, Ale, Rizzo, De Luca
    ESPULSI:
    NOTE: 5′ di recupero s.t.; 1′ di recupero p.t.

  • Sanità Sicilia, la crisi continua: i sindacati lanciano l’allarme

    Sanità Sicilia, la crisi continua: i sindacati lanciano l’allarme

    Non serviva certamente l’emergenza sanitaria e la pandemia di Covid-19 per rendersi conto di quanto sia importante per uno stato moderno il suo apparato sanitario. Mesi passati a incensare pubblicamente dottori, infermieri e tutti coloro che operano in questo mondo, senza che però a queste parole pubbliche sia stato dato – spesso – un seguito concreto. L’Italia si fa vanto della gratuità dei servizi medici che offre; e in effetti, ci sarebbe da vantarsene, se non fosse un sistema così dolorosamente farraginoso e che spesso si tiene in piedi solo per la volontà e il sacrificio degli operatori del settore. Basti pensare che, a seguito dei pensionamenti e della carenza di personale qualificato, oggi 3 milioni di italiani sono senza medico di base. La situazione sembra anche più grave nella nostra isola, con i sindacati che hanno lanciato un allarme “sanità Sicilia”.

    Sanità Sicilia, l’allarme dei sindacati

    Giuseppe Bonsignore, segretario regionale CIMO (Confederazione Italiana Medici Ospedalieri), e Riccardo Spampinato, presidente regionale della Federazione CIMO-FESMED (Federazione Sindacale Medici Dirigenti) hanno parlato della situazione critica della Sicilia. «Oggi il nuovo assessore regionale alla Salute, Giovanna Volo, si trova ad affrontare una situazione che era già drammatica ai tempi del suo predecessore Razza, e che adesso è diventata castrofica. Chiediamo quindi all’assessore Volo di convocare urgentemente le organizzazioni sindacali della dirigenza sanitaria per discutere insieme delle problematiche dell’intera Regione e delle possibili soluzioni che non possono passare come sempre sulla pelle dei medici e dei pazienti».

    In particolare, sono state messe in luce le carenze di personale, che costringono medici, infermieri etc a operare in condizioni difficilissime e a fare doppi turni estenuanti. La situazione è addirittura catastrofica quando si parla di pronto soccorso, dove è carente il 50% del personale.

    Sanità Sicilia, quali soluzioni?

    Bonsignore e Spampinato hanno le idee chiare: «Le soluzioni che riguardano la crisi degli ospedali siciliani non possono non passare attraverso un confronto con le organizzazioni sindacali che hanno tutto il diritto ad esprimere la loro opinione su materie così delicate che riguardano l’organizzazione del lavoro e il destino professionale di tanti colleghi».

    intervento medico

    Emblematico il caso di Caltagirone: «La soluzione chiesta dai sindaci del comprensorio di Caltagirone che è quella di creare un Dipartimento Interaziendale non può essere la soluzione, in primis perché non in linea con quanto previsto dal DM 70 e dalle Rete Ospedaliera regionale per l’emergenza e poi perché, in ogni caso, sembra di difficile realizzazione stante l’esiguità di risorse umane anche negli ospedali delle altre aziende».

    Le colpe della politica

    Alcune responsabilità, secondo i due sindacalisti, sembrerebbero chiare: «Dopo decenni di scelte politiche perverse fatte di tagli ai posti letto, di sforbiciate alle unità operative e di annientamento del personale, era inevitabile che i nodi venissero al pettine e adesso, la stessa politica che ha creato il problema, pretende di risolverlo con soluzioni fantasiose che alla fine saranno, come sempre, a carico e sulle spalle di quei medici che già sono spesso costretti a rinunciare alle ferie, ai riposi e che vengono presi e sbattuti in giro per i Reparti sguarniti, usati come veri e propri tappabuchi per turare le falle di una nave che affonda per colpe altrui e per precise responsabilità di chi non ha saputo governare».

    «Eppure, nel mese di luglio scorso la Segreteria Regionale CIMO e la Federazione CIMO FESMED della Sicilia, nel corso di una partecipata Conferenza stampa tenutasi all’Ordine dei Medici di Palermo, alla presenza dell’allora assessore della Salute, Ruggero Razza, lanciarono un accorato grido di allarme sulla crisi degli ospedali in generale e dei pronto soccorso siciliani in particolare, proponendo soluzioni e chiedendo di far presto. Avevamo chiesto di prevedere una indennità di funzione per i medici di pronto soccorso e il pagamento di gettoni di guardia adeguatamente remunerativi in modo da attrarre quei medici che oggi sono in fuga verso il privato o che, in ogni caso, non ne vogliono sapere di sacrificare tutto per un piatto di lenticchie. Avevamo anche chiesto di sospendere temporaneamente le attività di quei PPI (Punti di Primo Intervento) che erogano un basso numero di prestazioni in modo da recuperare risorse umane da inviare nei pronto soccorso in estrema sofferenza. Purtroppo non se ne fece nulla – concludono Bonsignore e Spampinato – ed oggi il contesto è notevolmente peggiorato sotto ogni aspetto».

  • Santa Maria del Cilento Catania 2-1: prima sconfitta per i rossazzurri

    Santa Maria del Cilento Catania 2-1: prima sconfitta per i rossazzurri

    Doveva arrivare, prima o poi, e alla fine è arrivata: Santa Maria del Cilento Catania 2-1, la prima sconfitta del Catania SSD in questo campionato. Triste che, per farlo, abbia scelto un giorno del 2022 – un anno che, nel bene e nel male, aveva visto una chiara rinascita del Catania, che stava macinando record. In ogni caso, nulla di anomalo: nessuna crisi, nessun dramma nello spogliatoio. Una sconfitta in un lungo campionato ci può stare (in realtà, era strano non fosse arrivata sinora, considerata la difficoltà della categoria).

    Semmai, ci possono essere alcune avvisaglie pericolose di meccanismi che alla lunga potrebbero diventare pericolosi. Rimangono molto severe le critiche, che colpiscono specialmente l’allenatore. La sconfitta però non può cancellare quanto fatto di buono sinora dai rossazzurri. Bisogna prendere atto, ma anche all’atto della classifica cambia poco: il Locri è fermo a -10 dalla testa.

    Prima della partita, bellissimo il momento di raccoglimento a centrocampo di ambedue le squadre e il minuto di silenzio per Sinisa Mihajlovic, ex allenatore del Catania afflitto dalla leucemia e recentemente scomparso.

    Santa Maria del Cilento Catania 2-1 tabellino

    Marcatori: pt 36’ Bonanno, 39’ Palermo; st 32’ Tandara

    Santa Maria Cilento Catania 2 1 gioco
    Le immagini provengono dalla pagina FB del Catania SSD

    Polisportiva Santa Maria Cilento (3-4-3): 1 Grieco; 2 Ferrante, 5 Diop, 98 Coulibaly; 17 Mancini (37’st 24 Ventura), 23 Pane (16’st 41 De Leonardis), 20 Maio, 19 Morlando; 3 Johnson (29’st 16 Ielo), 14 Bonanno (10’st 9 Tandara), 99 Catalano (44’st 6 Campanella). A disposizione: 22 Guerra; 7 D’Avella, 33 D’Auria, 38 Parisi. Allenatore: Di Gaetano.

    Catania (4-3-1-2): 1 Bethers; 2 Boccia (1’st 31 Chiarella), 13 Ferrara (1’st 4 Somma), 26 Lorenzini, 27 Castellini; 23 Palermo, 18 Rizzo (K), 24 Vitale (1’st 3 Lubishtani); 32 Giovinco (16’st 30 Sarno); 99 Sarao (VK), 17 De Luca (6’st 7 An. Russotto). A disposizione: 22 Groaz; 8 Di Grazia, 14 Bani; 11 Forchignone. Allenatore: Ferraro.

    Arbitro: Michele Maccorin (Pordenone). Assistenti: Carlo De Luca (Merano) e Badreddine Marouni (Tolmezzo).

    AMMONITI: Pane, Diop (PSM); Vitale, Ferrara, Palermo, Lorenzini (C). RECUPERO: pt 2’; st 6’.

    Santa Maria del Cilento Catania 2-1, mister Ferraro: “Perdere ci può stare ma ora testa al Trapani”

    Ricominciare dal prossimo obiettivo è la ricetta per ingoiare il boccone amaro di questa domenica per mister Ferraro. Il tecnico si è così espresso ai microfoni: « 

    «Noi non guardiamo gli avversari. Bisogna fare qualcosa in più, questo è sicuro. Adesso è arrivato il risultato negativo. Non guardiamo la prestazione di oggi ma pensiamo già ad allenarci domani in vista della partita in casa per fare 3 punti. Abbiamo cambiato qualcosa ad inizio secondo tempo perché Vitale era ammonito e un po’ nervoso. Avevo paura che potessimo restare in 10. Ho cercato di mettere ampiezza, poi ho inserito Sarno e Russotto. Noi nella ripresa abbiamo fatto la partita e subìto la seconda rete su una mischia. Potevamo sfruttare 3/4 palle goal».

    «In tutte le squadre c’è stanchezza sia mentale che fisica. Noi la percepiamo da 3/4 partite, è fisiologico e può succedere ma dobbiamo essere bravi. Le squadre adesso si iniziano a conoscere. La pausa ci farà bene dopo mercoledì e ripartiamo alla grande. Siamo il Catania e bisogna sempre vincere ma abbiamo 10 punti in più, è un vantaggio importante. Capisco che siamo a Catania ma le sconfitte fanno parte del gioco. Oggi gara agguerrita, dovevamo essere più bravi sotto porta. Allora la partita sarebbe stata diversa.»

    « Sostituzioni fatte solo in funzione della partita di oggi o anche in ottica Trapani? Ho fatto due cambi perché temevo il nervosismo: Vitale e Ferrara, per evitare il secondo giallo.  Quando si perde bisogna fare valutazioni giuste ed esame di coscienza. La chiave per motivare i ragazzi settimanalmente? La motivazione è che giochiamo a Catania con società e pubblico esigenti. Tutti i calciatori sono funzionali. Rapisarda è stato influenzato per tutta la settimana. Jefferson ha avuto un problema muscolare e Lodi a riposo, vista la gara ravvicinata.»

    Palermo: “Non si possono perdere queste partite”

    Profonde scuse invece da Palermo, alla sua seconda marcatura in questo campionato. «Non possiamo perdere queste partite, speriamo sia la prima e anche l’ultima sconfitta del campionato. Noi facciamo sempre del nostro meglio, chiediamo scusa ai tifosi per questa prestazione, anche a noi stessi: non siamo questi. Non credo ci siano differenze se giochiamo col 4-3-3 o col 4-3-1-2, anche nell’approccio. Le avversarie danno tutto contro di noi, oggi abbiamo commesso diversi errori, ci lavoreremo sopra per non commetterli più.»