Se hai in mente di trascorrere qualche giorno in uno dei posti più belli e incantevoli d’Italia, puoi scegliere di recarti in Sicilia in una delle frazioni della provincia di Messina, Mili san Pietro, qui potrai visitare l’Abbazia di Santa Maria di Mili. Una volta giunto sul posto i tuoi occhi potranno, immediatamente, godere della vista di un paesaggio e di una natura meravigliosi. La stessa Abbazia che è collocata sulla riva sinistra del torrente Mili nascosta dal verde dei Peloritani crea un senso di gioia interiore nel cuore di chi visita questi posti. Lo stupore e la meraviglia di questo luogo non si limitano al paesaggio, visitare l’Abbazia di Santa Maria di Mili, infatti, ti permetterà di fare un viaggio indietro nel tempo.
Qualche cenno storico sull’Abbazia di Santa Maria di Mili
L’Abbazia di Santa Maria di Mili, che a pieno titolo si può annoverare tra una delle più antiche testimonianze della cultura religiosa normanna della Sicilia, è nata probabilmente sui resti di un antico cenobio di epoca Bizantina e riedificata dal Conte Ruggero I d’Altavilla che, con un atto di donazione stilato nel 1092, affida l’ Abbazia ai monaci basiliani, di rito orientale, guidati dall’abate Michele. Il conte Ruggero I d’Altavilla, fa dono oltre che dell’Abbazia, anche di una grande estensione di terreni annessi ad essa, su questi terreni è seppellito il figlio Giordano morto in battaglia nelle vicinanze di Siracusa. Le donazioni del conte Ruggero I d’Altavilla hanno favorito lo sviluppo economico, dovuto soprattutto all’agricoltura, che si è creato successivamente intorno all’Abbazia. Lungo tutto il decorso dei secoli questa Abbazia ha vissuto momenti di grande splendore alternati a momenti di decadenza, dovuti all’avvicendarsi delle diverse vicende storiche, pensiamo ad esempio all’usurpazione delle terre da parte dei nobili messinesi tra il ‘300 e il ‘400. Successivamente nel XVI secolo l’Abbazia ha vissuto un altro momento di splendore, in questo momento storico, infatti, viene visitata da Re e visitatori regi, che ne garantiscono la cura ed il culto, in questo periodo fu rifatto il soffitto e prolungata la navata centrale. Purtroppo con l’avvento delle leggi eversive dello Stato unitario, il convento viene acquisito dal demanio per essere venduto ai privati, la chiesa, invece da allora è stata acquisita dal Fondo Edifici di Culto del Ministero degli interni. Tuttora la chiesa attende di essere restaurata.
Abbazia di Santa Maria di Mili la giusta scelta per un itinerario turistico
Nonostante che questa Chiesa rimanga ancora in attesa di un restauro che le ridoni parte dell’antico splendore, scegliere di visitare questo scorcio della Sicilia, rimane uno dei luogo più belli da visitare. Anche se non è possibile visitare l’interno di questo monumento medievale, l’esterno ripaga abbondantemente il visitatore: esso potrà ammirare già al suo ingresso, dopo avere percorso la scalinata panoramica che porta all’Abbazia, l’ingresso caratterizzato da un arco di epoca barocca sormontato dallo stemma dei basiliani, è presente anche un finta balconata che lascia vedere un imponente muro di cinta. Potrà, poi, ammirare gli stupendi archi intrecciati di stampo normanno, le cupole rotonde e l’abdise centrale che ricordano le Moschee nordafricane e il portale di marmo e pietra calcarea. Al centro della navata si trova una botola, essa per mezzo di una scala conduce ad una cripta sotterranea, qui venivano poste le spoglie dei monaci basiliani. La vegetazione presente nella zona è ricca di agrumeti che a primavera deliziano l’olfatto dei visitatori con il loro profumo di zagara.
Passeggiare nella natura incontaminata: la Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro
Il turismo sta mutando e ne siamo tutti consapevoli. Il cambiamento nasce da una nicchia di viaggiatori e turisti stanchi di luoghi affollati, desiderosi invece di scoprire località tranquille nelle quali la natura possa agire come ricarica energetica naturale.
Passeggiare in questi luoghi è sempre rinfrancante e l’Italia, da nord a sud, concede panorami diversi tra loro e decine di spunti interessanti per scoprire biomi e territori diversi.
La macchia mediterranea sta incrementando notevolmente i favori di questo target in continua ascesa e se anche tu ti senti attratto da luoghi incontaminati, silenti, lontano da folle e masse turistiche oggi ti portiamo all’interno della Riserva Naturale Orientata Bosco.
La riserva si trova in Sicilia, nel territorio di in prevalenza situato nel comune di Caltagirone e, in minima parte, in quello di Mazzarone.
Siamo quindi all’interno della provincia di Catania, un territorio che risente della presenza del più bel vulcano al mondo, così viene definito l’Etna da molti geologi, quindi terreni ricchi di quarzo e sabbie fossili nelle quali la macchia tipica ricopre un’importanza naturalistica considerevole.
La Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro è la seconda più ampia di Sicilia
Con i suoi 2582,5 ettari principali e una zona definita B di area di preserva di 3976,876 ettari, la Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro è la seconda oasi naturalistica più grande dell’intera isola, un territorio ricco di essenze arboree tra le quali immergersi in passeggiate alla scoperta di un bioma interessante e per molti aspetti unico nella macchia mediterranea.
La quercia è la regina dei boschetti di questa riserva, un tempo sughereto d’elezione della Sicilia, oggi ancora in parte esclusiva per la raccolta di sughero di quercia pregiatissimo, pur rispettando norme e regolamenti di concessione stabiliti dalle leggi regionali in materia di tutela ambientale.
Perché la Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro offre paesaggi unici nel suo genere?
Perché qui, più che altrove, il territorio nei secoli ha concesso all’uomo di integrarsi con l’ambiente non sfruttato, ma preservato al fine di mantenere un’area verde ancora prima della destinazione a Parco protetto.
Mulini isolati che spuntano all’improvviso usufruendo di piccoli torrenti e cascatelle, villaggi che riportano al passato più tipico dell’isola, come il bel borgo Santo Pietro nel quale si sono esaltate concezioni di turismo eco-friendly con strutture ricettive non impattanti dal punto di vista ambientale, anzi, perfettamente armonizzate con le tradizioni locali.
Sono queste l’espressione massima di un turismo possibile che può rappresentare il futuro nel quale natura e presenza umana convivono senza sofferenze ma armonie, empatie.
Musei rurali e centri di tutela per la fauna sono i fiori all’occhiello del Parco
All’interno della Riserva Naturale Orientata Bosco, molteplici sentieri concedono al visitatore di esplorare diverse tipologie d’ambiente, tra boschetti e radure, macchie fiorite nelle quali i profumi del Mediterraneo esaltano la natura siciliana incontaminata.
Il Parco è anche didattico, rivolto sia ai bambini delle scuole così come anche ai visitatori occasionali che possono scoprire l’antica evoluzione agricola della coltivazione, trebbiatura, lavorazione del grano nella Stazione Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia, oppure conoscere meglio fauna e flora locale nel Museo della Macchia Mediterranea.
Sempre nel Parco è situato un centro fondamentale per il recupero delle testuggini, le tartarughe terrestri che in passato hanno rischiato l’orlo dell’estinzione, oggi in recupero anche grazie a progetti splendidi come questo.
Le Catacombe di San Giovanni Siracua: una perla di Arte Paleocristiana
Un luogo sotterraneo dall’atmosfera suggestiva, le catacombe di San Giovanni a Siracusa, vi offriranno un’esperienza unica a contatto con il sacro, il lontano, il misterioso. Un viaggio da vivere in silenzio, lontano dal frastuono del mondo esterno, ma tenendo gli occhi ben aperti per percepire la comunione tra mondo dei vivi e mondo dei morti.
Catacombe di San Giovanni a Siracusa: un viaggio tra storia e arte
All’attivo in età imperiale e tardo-imperiale, queste catacombe, vengono considerate seconde per importanza e dimensione solo a quelle di Roma. Sono molto famose perchè, secondo la tradizione, in quella che adesso è la cripta di San Marciano, primo vescovo di Siracusa, si sarebbe svolta una predicazione dell’apostolo Paolo alla prima comunità cristiana d’occidente. La costruzione ebbe inizio nel IV secolo (dopo l’editto di Costantino) e segue il percorso di un ex acquedotto greco e le sue cisterne per l’acqua. Nel corso dei secoli, i vari invasori di Siracusa contribuirono al saccheggio delle catacombe e della chiesa che risentirono anche dell’azione distruttiva di diversi terremoti. Nel VI secolo furono abbandonate e riscoperte soltanto nel XVI, mentre nel secolo scorso si ebbe l’avvio degli scavi archeologici condotti magistralmente da Paolo Orsi.
Sono rintracciabili tre diverse tipologie di sepoltura: la forma, che è la più umile delle tre, è un sepolcro scavato nel pavimento per mancanza di risorse e spazio; il loculo è una cavità rettangolare chiusa mediante lastre in pietra o marmo; l’arcosolio è la tipologia più ricercata ed è costituito da un arco inciso sulla roccia, chiuso da una tabula detta mensa e sormontato da una nicchia arcuata.
La struttura delle Catacombe
Le catacombe presentano una pianta che ricorda molto il castrum romano (un tipico accampamento militare). Possiamo individuare una galleria centrale, chiamata “decumanus maximus” da cui se ne diramano dieci secondarie, le “cardines”: cinque a nord e cinque a sud che portano a quattro rotonde (le ex cisterne per l’acqua). A nord si trova la “rotonda di Antiochia” mentre a sud la “rotonda Marina”, la “rotonda di Adelphia” e la “rotonda dei Sarcofaghi”. A queste si aggiunge un’altra cisterna, piccola e di forma rettangolare, detta “cubicolo di Eusebo”.
Dove si trovano?
Questo tesoro di inestimabile valore è custodito con cura nei sotterranei della Basilica intitolata a San Giovanni Evangelista, discepolo di Cristo. Si accede alle catacombe dalle spalle della Basilica, tramite un passaggio scavato nella roccia. La chiesa è una bellezza a cielo aperto da visitare ,quindi, fin nei suoi meandri ed è adiacente al Santuario della Madonna delle lacrime con la sua meravigliosa guglia e al Parco archeologico della Neapolis. Qui è possibile visitare la Cripta dipinta di San Marciano e la Catacomba di San Giovanni.
La Basilica di San Giovanni e La Cripta di San Marciano
Nella basilica è stata fin da subito riconosciuta un’antica cattedrale di Siracusa che si ergeva nella regione delle catacombe dove, come vuole la tradizione, fu sepolto San Marciano. La chiesa è un incontro armonico di elementi provenienti da varie epoche, parla numerosi linguaggi artistici. La costruzione, tuttavia, è bizantina, così come la cripta che si trova a circa cinque metri sotto il livello stradale e risale al VI secolo. Importante fu anche l’intervento dei Normanni nell’ XII secolo che ricostruirono la facciata principale, rovinata da un terremoto. Il loro apporto è visibile anche nella cripta di San Marciano che circondarono di capitelli in marmo raffiguranti gli Evangelisti e decorarono la parete con figure e affreschi che oggi, dopo un lavoro di restaurazione, è possibile ammirare in tutto il loro fascino.
Nei giorni appena trascorsi i siciliani hanno potuto nuovamente assistere allo spettacolo pirotecnico naturale offerto dal vulcano Etna. Nel tardo pomeriggio di domenica 13 dicembre infatti l’Istituto nazione di Geofisica e Vulcanologia (Osservatorio Etneo) ha riportato un incremento dell’attività stromboliana, che è cresciuta in breve tempo da livelli medi ad alti. L’attività ha interessato principalmente il versante S del cratere di Sud-Est, con ampie fontane di lava visibili a grande distanza – persino dalla Calabria – e forti boati.
Già nelle ore successive però, stando alle reti di monitoraggio dell’Istituto, l’attività stava scemando. Si sarebbe, insomma, trattato di un evento senza conseguenze straordinarie, che ha permesso però a moltissimi ammiratori de “A Muntagna” di poterne saggiare anche una volta sia la magnificenza sia la possanza. Spettacoli pirotecnici di questo tipo non sono inusuali per il vulcano. Come di sovente, l’attività è stata accompagnata da copiose piogge di “rina”, ovvero pioggia cinerea che ha coperto auto, marciapiedi e strade.
L’attività eruttiva di domenica è avvenuta nello stesso giorno di un altro evento, la festa di Santa Lucia. Una coincidenza che, se da un lato ha alimentato suggestioni romantiche su eventuali omaggi del vulcano alla Santa, dall’altro ha riportato nel cuore e nella mente dei siciliani il ricordo di un altro, tragico, evento.
Il terremoto di Santa Lucia
Era il 13 dicembre del 1990, esattamente trent’anni fa, quando la terrà fu scossa da un terremoto di magnitudine 5.7 secondo gli studiosi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Nonostante fosse stato classificato come entità media, il sisma portò via con sé 18 persone, la gran parte residenti nella cittadina di Carlentini. Un terremoto spaventoso, l’ultimo a infliggere un simile tributo a un’isola storicamente martoriata da eventi di questo tipo, e in grado di inghiottire interi palazzi. I danni furono estremamente ingenti, stimati all’indomani della tragedia come oltre 500 miliardi di lire.
In particolare molta preoccupazione fu legata al polo petrolchimico di Priolo, Melilli e Augusta dove venne operata una riduzione degli stoccaggi e la messa in sicurezza degli impianti per timore di una successiva scossa. Una scossa che arrivò qualche giorno dopo, il 16 dicembre alle 15 circa, ma fu di entità tale da non causare danni eccessivi.
I disagi maggiori furono tuttavia per gli sfollati: un massa numerosissima di senzatetto, stimati in quasi 12.000, che dovettero fare i conti con numerose sistemazioni di emergenza. Ad appesantire ulteriormente la situazione, le avverse condizioni meteorologiche che imperversarono quell’anno impietose, con 25 giorni di pioggia consecutivi.
La reazione al terremoto di Santa Lucia
Come spesso accade in questi casi in Italia, la riposta della politica fu lenta e intempestiva, nonostante le promesse iniziali. Nel marzo del 1991 scoppiarono numerose proteste, che infuocarono prima i territori siracusani e poi quelli catanesi. La protesta, complice ancora una volta la lentezza del sistema burocratico italiano e le sue falle, si protrasse sino all’autunno quando alcuni Municipi delle città più colpite furono occupati in segno di protesta. Ma per vedere effettivamente i primi interventi strutturali e stanziati i primi fondi sufficienti i siciliani, martoriati da questo flagello, dovranno attendere il 1993. Solo allora arrivarono i primi fondi della legge 433/91, che prevedeva una donazione di 3mila e 870 miliardi di lire.
Ancora nel 2010 questo fondo è stato soggetto a rimodulazione per quanto riguarda i fondi non investiti. Una storia fortemente amara per tutti coloro che hanno a cuore questa terra e che detestano vederla martoriata. Un motivo in più per godere della pace offertaci in questi anni dal nostro amato vulcano e per ricordarci di quale forza siamo dotati noi siciliani, in grado di ricostruire sempre a partire dalle macerie.
Per tutti i siciliani è semplicemente “a muntagna”, per i catanesi una presenza confortante da guardare quando si rientra a casa dopo lungo tempo, una costante del panorama. Ma l’imponente vulcano, il più alto fra gli attivi terrestri della placca euroasiatica, ieri ha deciso di dare nuovamente spettacolo. Così, tutti i suoi ammiratori hanno potuto osservare l’eruzione dell’Etna in tutta la sua magnificenza, e per di più in occasione dei festeggiamenti per Santa Lucia. Un doppio evento che non ha mancato di solleticare suggestioni nel cuore dei siciliani, ma ha anche riportato alla memoria ricordi dolorosi.
Eruzione Etna, le prime attività già in serata
L’attività eruttiva dell’Etna è stata prontamente segnalata dall’Istituto nazione di Geofisica e Vulcanologia (Osservatorio Etneo). Le reti di monitoraggio hanno infatti rilevato come intorno alle 19 di domenica pomeriggio vi sia stato un incremento dell’attività stromboliana, che è cresciuta in breve tempo da livelli medi ad alti. Sempre nel comunicato si legge: «contemporanemente si è osservato un incremento dell’attività infrasonica sia nel numero che nell’ampiezza degli eventi e a partire dalle 21.10 si osserva la presenza di tremore infrasonico».
L’attività ha interessato principalmente il versante S del cratere di Sud-Est, con ampie fontane di lava visibili a grande distanza – persino dalla Calabria – e forti boati. Pur nella sempre necessaria vigilanza che si accompagna a eventi simili, uno spettacolo pirotecnico sempre straordinario, che per di più questa volta si accompagna alle celebrazioni della Santa Lucia. “A Muntagna” ha voluto così stupire ancora una volta i suoi osservatori, regalandogli un momento di rara bellezza.
Secondo il comunicato delle 5.30 circa del mattino del 14 dicembre dell’Istituto, l’eruzione andava scemando: “l’attività esplosiva al cratere di Sud Est è stata d’intensità variabile ed al momento appare nuovamente in decremento. Per ciò che concerne l’attività effusiva, dalle telecamere di sorveglianza sembrerebbe che la colata lavica prodotta dalla fessura di Sud sia inattiva, mentre la colata proveniente dalla fessura di Sud-ovest al momento meno alimentata“.
La situazione sembrerebbe dunque stare rientrando alla normalità, senza che vi siano particolari segnalazioni da fare. Le autorità competenti continuano a monitorare la situazione per intercettare ogni variazione riconducibile all’eruzione dell’Etna. Intanto, mentre gli appassionati di tutto il mondo possono godere la prova di forza del vulcano, i catanesi si sono svegliati con una “conosciuta sorpresa”, se ci perdonate l’ossimoro.
“Pioggia” di polvere cinerea su Catania e dintorni
Come accade spesso in tali frangenti infatti Catania si è svegliata sotto una coltre di polvere cinerea, emessa in occasione dell’attività vulcanica dell’Etna. Così, auto, strade, marciapiedi e strade sono stati coperti da questo manto tutt’altro che bianco e decisamente non natalizio, ma spesso altrettanto fastidioso come la neve. In particolare, essendo la polvere ricca di silicio, una delle sue particolarità è di essere vetrosa: questo significa che rimuoverla senza le adeguate precauzioni. In particolare, bisogna prestare attenzione quando il vetro della propria auto è coperto ed evitare di azionare istintivamente i tergicristalli: essi infatti creerebbero attrito su tutta la superficie del vetro, rischiando di graffiarlo. Altro rischio connaturato alla “pioggia” di cenere è quello di scivolare: depositandosi sulle strade esso infatti costituisce un pericolo per i guidatori, in particolare per quelli delle due ruote.
Una coincidenza preziosa, un ricordo amaro.
I siciliani lo sanno: mamma Etna ama dare spettacolo e farlo nel modo più pirotecnico che conosce, regalando improvvise esplosioni e suggestive fontane di lava. E permette quasi sempre a tutti di goderne in sicurezza, a patto di rispettare ragionevoli misure. Proprio ieri ricorreva un’altra occasione molto cara ai siciliani, la festa di Santa Lucia: sembrerebbe quasi che anche l’Etna abbia voluto omaggiare la Santa, a modo suo.
Il ricordo amaro dei siciliani è invece legato alla ricorrenza, occorsa proprio ieri, dei trent’anni dal terremoto di Santa Lucia. In quel caso furono 18 i morti e oltre 10mila gli sfollati in un’ampia zona della Sicilia orientale: un pensiero inevitabile, per tutti coloro che vivono alle pendici del maestoso vulcano.
Sta per essere abbattuto a Catania l’antico Ospedale Santa Marta. Al suo posto, a breve, potrai ammirare una nuova piazza, punto di aggregazione della città. Ecco tutto quello che c’è da sapere.
L’Ospedale Santa Marta lascia il posto a una piazza
L’antico ospedale intitolato a Santa Marta, che da sempre è situato in centro città, fra poco non esisterà più. La giunta comunale è sul punto di firmare la delibera che autorizza la sua demolizione.
Al suo posto, due progetti in fase di approvazione: lo spazio occupato da un’ala vedrà sorgere la palazzina che ospiterà gli uffici della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali della città di Catania.
Al posto della seconda ala, invece, troverà spazio una nuova piazza, che nelle intenzioni degli urbanisti dovrà diventare un nuovo punto di aggregazione della città.
L’avvio dei lavori è previsto nei prossimi mesi.
Altri edifici in corso di demolizione a Catania
L’ospedale di Santa Marta non è l’unico edificio di Catania che sarà interessato prossimamente ad una grande opera di trasformazione. Stessa sorte toccherà all’ex palazzo delle Poste, quello situato in Viale Africa, già in corso di demolizione.
Al suo posto Nello Musumeci, presidente della Regione Sicilia, ha annunciato che sorgerà la nuova Cittadella Giudiziaria, la cui inaugurazione è prevista per la fine del 2023. L’edificio, il cui costo di realizzazione è stato stimato intorno ai 40 milioni di euro, ospiterà non solo il tribunale civile ma anche gli uffici della polizia giudiziaria, riqualificando così questa zona di Catania.
Se stai pensando di organizzare un viaggio in Italia ma sei molto indeciso sulla meta non puoi non prendere in considerazione San Vito Lo Capo, una delle località più belle in provincia di Trapani, in Sicilia.
In questa guida illustreremo ciò che c’è da sapere, le attrazioni da non perdere assolutamente e cosa mangiare in questo piccolo ma favoloso comune.
San Vito Lo Capo: storia e cultura
San Vito Lo Capo fu costruita verso la fine del Settecento, ma vi sono tracce che risalgono all’epoca paleolitica, mesolitica e neolitica, specialmente nelle cavità naturali che si affacciano sul mare, e che un tempo dovevano essere utilizzate come abitazioni. Il nucleo fondamentale di San Vito Lo Capo è rappresentato dal Santuario, che venne realizzato intorno al Trecento in onore di San Vito martire e che da allora ha subito numerose modifiche.
Il nucleo da cui si origina di San Vito Lo Capo è il Santuario dedicato a San Vito martire, ovvero il patrono. Il martire, secondo la tradizione, per sfuggire alla persecuzione ordinata da Diocleziano scappò via mare e approdò sulla costa di Capo Egitarso, e qui predicò la parola di Dio in una cittadina chiamata Conturrana. Anche i pirati corsari avevano rispetto per San Vito e, durante le invasioni barbariche, vennero costruite tre diverse torri ancora visibili, tra cui Isuilidda.
Il comune di San Vito nacque il 17 agosto 1952 e ad oggi, la festa in onore al martire patrono è celebrata il 15 Giugno, ma già dai giorni precedenti il paesino si mobilita per realizzare sfilate di bande musicali, concerti e giochi dell’antica cultura marinara. Il momento migliore, però, è quando viene ricreato lo sbarco a San Vito Lo Capo del giovane santo, accompagnato dalla sua nutrice Crescenza e il suo maestro Modesto. Inoltre, la fine della festa è caratterizzata da uno spettacolo pirotecnico con fuochi d’artificio.
San Vito Lo Capo: cosa vedere
1) La Spiaggia
Tra le migliori attrazioni di San Vito Lo Capo, vi è sicuramente la sua Spiaggia, che è stata più volte premiata con la Bandiera Blu e con quella Verde, ed è situata ai piedi del monte Monaco. Priva di correnti e con una cornice naturale non indifferente, alternata le tipiche casette bianche dei marinai,è un piccolo paradiso sulla Terra, dove si fondono cucina siciliana, mare e riserve naturali. Adatta ai più piccoli e a coloro che amano fare immersioni, l’acqua è ricca di fondali esplorabili e per chi desidera, è possibile praticare anche kayak, windsurf e stand up paddle.Tra i colori brillanti e l’acqua cristallina che ricorda quelle caraibiche, la spiaggia di San Vito Lo Capo si estende per quasi tre chilometri caratterizzati da una spiaggia bianca e fine e ricca di lidi dov’è possibile noleggiare sdraio e ombrelloni per trascorrere una giornata di relax. Numerosi sono anche gli Hotel e i Residence, dove ti sarà possibile alloggiare per passare una vacanza indimenticabile all’insegna del lusso. Questa località è perfetta anche come meta per le tue vacanze primaverili, dato che sfodera un fascino incredibile.
2) Il faro
Se alloggi a San Vito Lo Capo e sei un appassionato di storia, non puoi di certo lasciarti sfuggire il Faro, nato nel 1959 e desiderato dai Borbone per avvistare corsari e pirateria nemica: è uno dei simboli principali di San Vito Lo Capo ed è alto ben 43 metri. Dal centro di San Vito Lo Capo si può tranquillamente arrivare al Faro con una bellissima passeggiata lungo la costa e nel raggio di un chilometro ci sono più di cento ristoranti disposti ad accogliere i turisti e a spiegare l’incredibile storia di questa attrazione. Accanto a esso si trova il Torrazzo, probabilmente costruito dagli arabi e anche essa utilizzata per difendersi dagli attacchi nemici. Un consiglio: visita il Faro al tramonto, perché è davvero imperdibile.
3) Il Santuario
Come detto prima, il Santuario è il nucleo fondatore di San Vito Lo Capo, ed è dedicato al santo patrono martire, San Vito. Si tratta di un Santuario-Fortezza che si erge nella piazza principale e al suo interno presenta una piccola cappella, che è stata la prima parte ad essere costruita. Il suo ruolo inziale era quello di proteggere San Vito Lo Capo dagli attacchi dei nemici pirati e corsari, e fungeva da meta di pellegrinaggio per i forestieri che vi arrivavano. La facciata esterna è in pietra e sulla destra si trova il portale d’ingresso; inoltre, il suo ingresso è sormontato da uno stemma e la nicchia contiene la statuetta dedicata a San Vito. All’interno è possibile vedere diverse Cappelle, come quella di Sant’Anna, quella di San Giuseppe e Gesù Fanciullo, del Santissimo Crocifisso, e, ovviamente, di San Vito martire. Se vuoi visitare il Santuario, ricorda l’ipogeo, ovvero la parte in cui si trovano ancora due pozzi destinati al culto e che servivano a far abbeverare i pellegrini.
4) Cappella di Santa Crescenzia
Questa Cappella si trova all’ingresso di San Vito Lo Capo, ed è dedicata alla tutrice di San Vito, ovvero Crescenzia. Fu edificata nel XIII secolo e si narra che qua, Crescenzia, fosse morta di spavento a causa della valanga che colpì il suo villaggio, Conturrana. La stessa contrada, proprio per questo motivo, è chiamata Valanga. Poco lontano dalla Cappella si trova la Torre dell’Isulidda, una delle tre torri di avvistamento sopravvissute e desiderate dai Borboni per osservare le coste siciliane dall’avvento e l’attacco dei pirati o navi nemiche.
5) Tonnara del Secco di San Vito Lo Capo
Risalente al 1411 e distante solo tre chilometri dal centro di San Vito Lo Capo, nel golfo di Castellammare, la Tonnara del Secco è una meta fondamentale per chi vuole conoscere di più riguardo la storia di questo fantastico e piccolo paesino. Venne abbandonata nel 1965 e ad oggi una parte è andata distrutta, ma rimane ancora un luogo affascinante e ricco di cultura: qui si lavorava il pesce e i proprietari, si dice, stavano seduti con i loro ospiti sul “Palazzotto” davanti al mare. Inoltre, è stato utilizzato più volte come set per alcuni film (come Cefalonia e Viola di mare) ed è anche un bellissimo posto in cui fare una nuotata.
6) Baia Santa Margherita
Si tratta di una baia sabbiosa e dedicata all’omonima santa, situata alle porte di San Vito Lo Capo, tra Castelluzzo e Macari. Un luogo ideale per chiunque voglia rilassarsi in mezzo alla natura, con una sabbia finissima e bianca originatasi dalle rocce circostanti, con acqua trasparente e cristallina. Inoltre, per scoprire altre bellissime calette solitarie puoi prenotare un posto nel trenino gratuito che parte dal parcheggio e attraversa tutta la costa, ma ricorda di recarti lì da presto, o la tua baia non sarà più così tanto isolata. Al mare stupendo e si alternano scogli e angoli completamente selvatici. Per di più, è possibile prenotare un tour a cavallo che prevede la visita delle quattro migliori calette, tra cui quella di Santa Margherita, dalla durata di due ore.
7) La Piana dell’Egitarso
Da questa piana sarà possibile con un solo sguardo vedere l’intero il paese, la spiaggia, il monte Monaco e il Faro. Non dovrai fare altro che salire in auto, oppure a piedi, sull’altopiano dell’Egitarso, che ha pareti rocciose e separa la spiaggia a est dal litorale a ovest. Un luogo ideale per chiunque voglia scattare delle bellissime foto e avere delle immagini impresse per sempre di questa fantastica località, con un panorama favoloso.
8) Caletta del Bue Marino
Se sei un amante delle calette, anche questa potrebbe fare a caso tuo: la caletta del Bue Marino è speciale e davvero unica. Potrai dedicare un’intera giornata a questo pezzo di Paradiso sulla Terra, situato vicino a San Vito Lo Capo. Gode del titolo di “La più bella d’Italia” nel 2015 tra tutte le baie italiane, in un concorso tenuto da Legambiente, e nel 2016 come “La più bella sei tu”. La costa è acciottolata e soprattutto al tramonto, regala una vista mozzafiato dovuta al cielo che si tinge di rosso, nel momento esatto in cui il sole cala. Poco distanti da questa caletta ci sono le falesie di Cala Mancina, un luogo adatto a chiunque ami arrampicarsi e scalare le pareti rocciose. Queste sono colme di grotte e hanno i tipici colori dolomitici. Proprio in cima a queste pareti si erge una delle torrette di avvistamento, ovvero Torre dell’Isulidda.
9) Riserva Naturale Orientata dello Zingaro
Quest’area protetta, si trova vicino al golfo di Castellammare e a San Vito Lo Capo, ed è gestita dall’azienda regionale foreste demaniali della Sicilia. Questa località si estende su sette chilometri di costa e copre 1700 ettari di natura, non intaccata mai dall’uomo. La flora ospita numerose piante siciliane, che vivono indisturbate all’interno del parco, e tra di esse vi sono 25 specie diverse di orchidee selvatiche. Anche la fauna è molto variegata e comprende ben 39 specie di uccelli, come il falco pellegrino e il gheppio. Ancora, è possibile ammirare i conigli, le volpi e le donnole. Se ti piacciono i parchi e gli animali puoi arrivare attraverso il sentiero costiero, quello di mezza costa e quello alto.
10) La Spiaggia di Màcari
Questa spiaggia è immersa nella natura ed è piccola e rocciosa: ideale per gli amanti del nuoto e delle immersioni per la presenza dell’acqua cristallina e dei fondali ricchi di pesci. Inoltre, questa baia offre dei tramonti meravigliosi ed è ideale sia in Autunno, per l’ambiente successivo, che in Estate.
San Vito Lo Capo: specialità culinarie da non perdere
Se hai scelto San Vito Lo Capo come prossima meta dei tuoi viaggi ma non sai cosa mangiare, non temere: questa località ha un’importante cultura culinaria, che non ti lascerà insoddisfatto, sia che si parli di ristoranti, sia che si parli di street food.
Una dei piatti che non puoi assolutamente perdere è il cous cous, noto anche come cuscus di San Vitu: preparato con la semola cotta al vapore, può essere servito nelle tipiche ciotole di terracotta, e viene tradizionalmente cucinato nel brodo di pesce (solitamente povero), oppure viene semplicemente condito con verdure. Si tratta del piatto tipico di questo paesino e non puoi davvero non provarlo.
Ancora, tipici di San Vito Lo Capo, i ravioli con la ricotta (noti anche come cassatelle) e brodo di pesce, serviti anche con una spolverata di pecorino. Tra i secondi più conosciuti vi sono sicuramente il tonno in agrodolce (specialmente la sua parte pù grassa, ovvero la pancia), condito con cipolle bianche, oppure la salsiccia pasqualora, un salume che deve essere obbligatoriamente, secondo la tradizione, essere mangiata una volta cotta alla brace, avvolta nella stagnola. Il pane cunzato, invece, deve essere consumato con olio extravergine di oliva (siciliano!), pomodori, origano, acciughe salate e pecorino primo sale. Un altro formaggio tipico è, invece, quello belicino, cioè senza crosta fatto con il latte di pecora; la sua salatura avviene in salamoia e si può gustare anche con le olive.
Un primo piatto sensazionale della cucina siciliana è la busiata con il pesto alla trapanese, realizzato con aglio, pomodori, basilico e mandorle. La forma della pasta, realizzata con semola di grano duro, deriva dal ferro da calza utilizzato per crearla.
Se sei un amante della pizza, non potrai non provare quella rianata: i suoi ingredienti sono semplici, e si tratta di origano (in grandi quantità), sarde e pomodoro.
Tra i dolci più rinomati vi è senz’altro il Caldofreddo, nato in questo paesino negli anni Cinquanta. Si tratta di una coppa di gelato che contiene una brioche imbevuta tradizionalmente nel rum, con cioccolato e crema di nocciole: insomma, impossibile resistere. Se non sai resistere alle prelibatezze dolci, recati nella famosa pasticceria “Maria Grammatico”, dove troverai le Genovesi (ripiene di crema) che la proprietaria ha imparato a cucinare da piccola grazie alle suore di un convento: ciò che ti lascerà senza parole è anche la cortesia e l’ospitalità del personale e della stessa signora Maria, che si può incontrare all’interno della boutique.
Quando si pensa alla Sicilia vengono subito alla mente il sole, il mare e il buon cibo, oltre a moltissime cose da vedere di interesse storico e culturale elevato.
Però la Sicilia è una terra che nasconde molti misteri e luoghi magici da visitare, un tempo ricchi di vita e storia ed ora abbandonati e resi ruderi dal tempo e dall’incuria.
Il borgo fantasma di Massa San Nicola è uno di questi, e val la pena fare un viaggio esplorativo alla scoperta di questo luogo incantato.
Il borgo di Massa San Nicola
Questo piccolo borgo, la cui origine risale al XVIII secolo, ormai è quasi in stato di abbandono. Quasi perché effettivamente ad abitarlo ora ci sono solo una decina di persone.
Il borgo dista non più di 15 km dal centro di Messima, e insieme a Massa Santa Lucia, Massa San Giorgio e Massa San Giovanni formano un vero e proprio circolo di borghi medievali dall’indiscusso fascino antico.
Il nome Massa indica in effetti l’agglomerato di edifici che costituisco un vasto podere, con edifici adibiti a residenza e uffici.
La tenuta che in origine apparteneva alla Curia di Messina,è stata ormai abbandonata da tempo dai proprietari delle case, che le cedettero ad una comunità di persone che trovarono in questo luogo la loro dimensione per vivere una vita anticorfomista.
Al centro del borgo sorge la chiesa di Santa Maria de Scalis, che riporta delle decorazioni risalenti al XV secolo.
A rendere caratteristico questo borgo non è solo il fatto di essere abitato da sole dieci persone, ma anche la presenza di alcuni mulini ancora integri lungo il torrente. Gli undici mulini servivano in antichità a dare linfa vitale all’attività principale che si svolgeva in questo borgo, che consisteva nell’agricoltura e nell’estrazione di essenze profumate.
In origine il borgo contava all’incirca 450 persone, ma dopo la seconda guerra mondiale, il movimento migratorio che dalla Sicilia portò molte persone ad emigrare negli Stati Uniti, ne vide l’abbandono progressivo.
Dopo l’ondata migratoria il paese contava 40 persone, via via diminuite con il passare del tempo.
L’abbandono del paese ha portato molti banditi a depredarlo, trafugandone alcuni dipinti dalla chiesa oltre ad opere pubbliche.
Attualmente il borgo, che mantiene un’importanza storica e anche naturalistica, è sotto la tutela della Sovrintendenza ai Beni Culturali, che si occupa di mantenerlo in ordine e di effettuare lavori di restauro e manutenzione periodici.
All’interno della chiesa di San Nicolò, la cui origine risale al 1908, sono conservati diversi reperti storici i più importanti dei quali sono un quadro del 1500 rappresentante la madonna con il bambino e un altare.
Una struttura in abbandono, un enorme complesso mai ultimato e che ora appare in tutta la sua inquietante imponenza: l’ex Sanatorio di Piazza Armerina in Sicilia
Piazza Armerina è in realtà una splendida cittadina siciliana, facente parte la provincia di Enna. Poco distante dal centro abitato, immerso in un florido bosco dai tratti tipicamente mediterranei, si trova ciò che rimane di un’imponente struttura ospedaliera, innalzata per fungere da sanatorio ma il cui completamento non arrivò mai ad essere eseguito a causa dell’avvento della Legge Basaglia, istituita nel 1978; legge che cambiò per sempre le regole fino ad allora applicate per curare cronicità di vario tipo, fisico e soprattutto riguardo a problemi mentali.
L’abbandono e il silenzio in cui versano i resti dell’ex sanatorio portano la mente a ciò che ha significato per i poveri degenti fino alla seconda metà degli anni ’70 il ricovero presso una di queste strutture.
Cosa sono I Sanatori?
I sanatori infatti, nascevano per curare diversi tipi di malattie croniche, come patologie polmonari o handicap fisici, ma non era raro che vi venissero letteralmente rinchiusi a vita soggetti con turbe psichiche e che rappresentavano un pericolo per la comunità. Il concetto di malato di mente però, non era di sicuro elevato ai livelli di conoscenza come quelli che abbiamo oggi; nei sanatori finivano infatti molto spesso donne considerate “ribelli” o isteriche, bambini che avevano solo la colpa di essere iperattivi, e persino omosessuali o persone che praticavano la masturbazione e che se si facevano scoprire correvano il rischio di essere considerate pazze, per non parlare poi di personaggi “scomodi” per eliminare i quali bastava un medico compiacente che redigesse un certificato di malattia. Le cure che venivano riservate a questo tipo di pazienti, dunque, erano più che altro atte a immobilizzarne corpo e mente, attraverso potenti psicofarmaci e trattamenti che potremmo definire tranquillamente “torture”.
I sanatori venivano eretti lontano dai centri abitati per due motivazioni principali: tra le “cure” previste, si pensava che un buon clima, acque termali, il contatto con la natura e un’alimentazione controllata potessero alleviare alcuni sintomi e migliorare il benessere generale della persona. Ma la motivazione preponderante è che la comunità desiderava relegare il più lontano possibile dalla vista le persone non “conformi”. Non fu diverso per il progetto che avrebbe previsto l’apertura del sanatorio di Piazza Armerina.
Forse è il caso di dire che fortunatamente non fu mai completato e che l’evoluzione e la rivoluzione nell’approccio terapeutico di molte malattie fisiche e mentali ha permesso a molte persone di non finire in luoghi come quello, di fatto delle vere e proprie pigioni travestite da ospedale.
Recuperare strutture come l’ex sanatorio di Piazza Armerina sembra anche difficile dal punto di vista strutturale, poiché dagli anni ’70 ad oggi i canoni da rispettare per ergere strutture così importanti sono cambiate moltissimo ed eventuali investimenti per la ristrutturazione sarebbero troppo ingenti. Rimane quindi un relitto inquietante e dismesso, preso ormai d’assalto e inglobato sempre più dalla vegetazione, divenuto attrazione per avventurieri in cerca di fantasmi, o per chi desidera immergersi per qualche ora nell’atmosfera inquietante di ciò che avrebbe potuto essere tra quelle mura.
Tra le bellezze suggestive della splendida Sicilia, nella costa orientale, proprio lungo la lunga e dritta strada panoramica che collega la turistica San Vito Lo Capo alla cittadina di Macari, sorge una di quelle costruzioni in grado di raccontare la storia di quelle terre, in un misto di leggenda e realtà.
Si tratta della Cappella di Santa Crescenzia, un edificio di pietra, dal sapore leggendario e religioso, svettante in mezzo al panorama mozzafiato, capace di far fermare qualsiasi viaggiatore per scoprire la sua origine e godere dell’accoglienza di quel fantastico territorio turistico.
La Cappella di Santa Crescenzia e la sua costruzione
È un incantevole edificio la cui costruzione risale al tredicesimo secolo, rimasto intatto dagli attacchi del tempo e dagli agenti atmosferici. La tipica cupola della Cappella, a sesto rialzato, è visibile da lontano, bella, attraente e dal sapore leggendario.
Le fondamenta di tutto l’edificio hanno origini arabe. Nella struttura, dalla base con perimetro quadrato, è visibile la particolare architettura utilizzata nel trapanese fino a tutto il sedicesimo secolo. Il peculiare fascino è dato dagli archi a ogiva che aprono il sesto rialzato della cupola. Il carattere del tutto originale della costruzione è dato anche dalla presenza di trombe a ventaglio, con funzione di eleganti sostegno agli angoli della cupola.
È visibile anche l’influenza delle culture che nei secoli successivi hanno invaso l’isola. Lo stile inconfondibile delle piccole guglie presenti nella parte alta è espressione gotica, mentre l’arte normanna si riflette in maniera completa in tutto il fiorire della cappella.
Con il tempo la cappella è stata meta per molti pellegrini e devoti di Santa Crescenzia, fino a divenire intorno al quindicesimo secolo addirittura una vera fortezza durante le varie battaglie che hanno dilaniato il territorio circostante.
La leggenda della Cappella di Santa Crescenzia
Altra suggestione e fascino della Cappella è senza dubbio data dalla leggenda molto conosciuta e in voga nella zona del trapanese.
Crescenzia era la nutrice del giovane Vito, figlio di un nobile funzionario romano, al servizio dell’imperatore nella città di Mazara del Vallo. Insieme a Modesto, istitutore del ragazzo, si convertì al Cristianesimo, riuscendo a coinvolgere anche Vito che diventerà anche lui santo. Purtroppo le persecuzioni di Diocleziano costringono i tre a scappare dalla città attraverso il mare. Durante il viaggio vengono colpiti da una grave tempesta che portò la nave verso il golfo roccioso del trapanese. Vito, Crescenzia e Modesto sbarcano in quel luogo dove si stabiliscono e desiderano convertire il villaggio di Conturrana al Cristianesimo. Gli abitanti però non ascoltano le predicazioni del Santo e incorrono nella punizione divina che fa arrivare una frana sulle loro case, distruggendo tutto il territorio.
Vito, Modesto e Crescenzia sono invitati da Dio a scappare, con l’ordine di non voltarsi indietro mentre la frana di massi distrugge tutto. Crescenzia trasgredisce però quest’ordine, voltandosi indietro e diventando immediatamente di pietra per il grave spavento preso nel vedere sommerso il villaggio e tutti i suoi abitanti. La frana si fermò proprio in quel preciso punto.
La tradizione vuole che proprio in quel quadrato di terra sia sorta la Cappella di Santa Crescenzia che, se invocata con il lancio di un sasso, è in grado di far allontanare la forte paura in chiunque, “u schiantu” nel caratteristico dialetto siciliano.
Il confine tra leggenda e storia è molto sottile, fatto sta che ancora oggi la Cappella di Santa Crescenzia vede arrivare molti fedeli che credono nel miracolo di scampare da ogni forma di paura buttando un sasso all’interno dell’edicola.
Presso la Piazza Università a Catania, si trova il Palazzo San Giuliano, la cui progettazione si deve all’architetto Giovan Battista Vaccarini e fu costruito a partire dal 1738, proseguito poi anche dagli architetti Palazzotto, Ittar e Ardizzone.
È stato costruito per la famiglia Paternò Castello, Marchesi di San Giuliano. Lo stemma nobiliare della casata campeggia nella tribuna del portone centrale ma non è il solo. È infatti presente anche quello degli Asmundo, il quale rappresenta un’altra prestigiosa famiglia di Catania che si era imparentata con i Paternò di Castello.
Il Palazzo San Giuliano: Caratteristiche costruttive e suo utilizzo
È costruito con marmi policromi, in 3 piani, oltre al piano terra.
Proprio rivolte verso la piazza, al piano terra, si affacciavano, nel 1700,
8 botteghe e al primo piano diverse stanze ritenute semplici; quelle più prestigiose invece si trovavano al secondo piano mentre al terzo piano si trovavano le stanze di servizio. Nella corte all’interno è presente un’ampia e maestosa scala a due rampe. Nel 1864 invece, la cantina del Palazzo venne trasformata in un teatro dell’Opera, luogo nel quale avvennero le prime rappresentazioni di Giovanni Grasso e Angelo Musco.
Il Palazzo catanese venne chiuso nel 1912 e riaperto solamente nel 2010.
Attualmente il Palazzo San Giuliano, oltre ad ospitare il Teatro Machiavelli è anche sede degli uffici amministrativi dell’Università di Catania e si trova proprio davanti agli uffici del Rettorato della stessa Università.
Negli anni, il Palazzo è stato rimaneggiato anche se i prospetti esterni sono rimasti uguali. Vi soggiornarono ospiti illustri e le lapidi poste all’ingresso ne sono un ricordo. Tra questi ospiti, due degni di nota, sono il Re d’Italia Vittorio Emanuele III e la Regina Elena.
Palazzo antico e misteri : Tra storia e leggenda
La Baronessa Rosana Petroso, moglie di Orazio Paternò Castello morì proprio nel Palazzo, nella stanza definita rossa. Non fu una morte naturale ma venne ammazzata da suo marito Orazio, forse in seguito ad una scenata di gelosia. Una macabra leggenda narra che il corpo di Rosana fosse ancora all’interno del Palazzo, nel quale appunto c’erano due finestre poste in alto che erano state murate. In realtà questa è solamente fantasia e niente di più. Orazio fuggì per sempre facendo perdere le sue tracce. Un secolo più tardi, Antonino Paternò Castello, durante un viaggio lesse il libro “Lettere scritte durante dieci anni di residenza alla Corte di Tripoli” di Richard Tully e scoprì che Orazio si era convertito all’Islam per sfuggire alla condanna dell’assassinio di sua moglie e aveva sposato la figlia di un pascià avendo da lei 3 figli.
Storia e leggenda si intrecciano e rimangono a servizio di chi può ammirare questo bel Palazzo nel cuore di Catania.
San Marco d’Alunzio, in provincia di Messina. Il cuore antico dei Monti Nebrodi. Uno dei più bei borghi della penisola italiana.
Dal colle si può ammirare la costa che va da Capo d’Orlando a Cefalù, e più lontano le Isole Eolie. Greci, romani, bizantini, arabi e normanni che in epoche diverse hanno attraversato la Sicilia hanno lasciato il segno anche a San Marco d’Alunzio: opere architettoniche, opere d’arte, chiese e palazzi.
Monumenti che oggi fanno da cornice all’artigianato, come ad esempio quello del ferro battuto. Dal rosso della forgiatura dei metalli, si passa poi ad un altro rosso: quello del marmo presente a San Marco d’Alunzio; questo marmo viene utilizzato già dal ‘700 per decorare gli edifici sacri e i palazzi.
Tra i vicoli del centro del borgo di San Marco inoltre si tessono ancora, come nell’antichità, corpetti su telai in legno, che grazie all’arte nobile delle ricamatrici mantiene viva una parte della storia.
È alle tradizioni e ai tesori artistici che San Marco aggiunge le bellezze naturali, la fortuna di sorgere nel cuore del Parco dei Nebrodi e alcuni edifici storici assolutamente da visitare.
Chi si trova a San Marco d’Alunzio non può non andare a vedere i ruderi del Castello omonimo, sito nella parte più alta del borgo. Grazie ai recenti restauri e all’accesso gratuito è possibile ammirare la struttura antica di questa costruzione, che fu commissionata dal condottiero normanno Roberto Guiscardo.
I reperti archeologici del Castello di San Marco e manufatti risalenti ai periodi romano, greco, arabo, bizantino e aragonese si trovano al Museo Comunale San Teodoro e al Museo Parrocchiale San Giuseppe.
Altri musei si trovano in questo bellissimo borgo, tra i quali ricordiamo anche il Museo Bizantino: oltre a vantare una straordinaria bellezza architettonica, vi si trovano manufatti di epoca bizantina, come anfore, utensili domestici, monete d’oro, fibule e affreschi.
Il tempio di Ercole è un’altra tappa obbligata per chi sta visitando San Marco d’Alunzio. Fu edificato nel IV secolo a.C. su un gradone roccioso prospiciente l’abitato, utilizzato per attività legate al culto di Ercole rappresenta ad oggi un’importante testimonianza dell’età classica del messinese.
Tra i tanti monumenti presenti all’interno di San Marco d’Alunzio
vi è sicuramente la Fontana Marmorea, realizzata con il famoso marmo rosso delle sue cave.
Si trova alla base di una bellissima scalinata realizzata sempre in marmo e che porta all’Altare della Madonna del Lume.
San Marco d’Alunzio è famosa per le sue chiese,
tra le quali citiamo la Chiesa di San Salvatore, nota per essere ad oggi sede del Museo Aluntino; la Chiesa di San Teodoro, edificata nel XVI secolo, particolarmente interessante da visitare per ammirare i suoi stucchi decorati e le opere artistiche presenti al suo interno, anche di artisti del luogo.
Ed infine la Chiesa Aracoeli, risalente al ‘600, anch’essa decorata con affreschi di pregio.
La festa dedicata a Sant’Agata si svolge ogni anno a Catania, di cui è la santa patrona, ed è un momento da sempre molto atteso in tutta la Sicilia.
In particolare la fiera che si svolge ai primi di Febbraio attira molte persone da ogni parte dell’isola sia per il culto che per il folklore che la caratterizza.
Quest’anno la fiera si Sant’Agata si svolgerà dal “31 Gennaio al 6 Febbraio” 2020 e sarà ospitata all’interno della Villa Bellini.
Inaugurazione e programma della Fiera di Sant’Agata
Come ogni anno l’amministrazione del Comune di Catania, in previsione delle festività e della fiera di Sant’Agata, ha messo in moto le modalità per l’organizzazione dell’edizione del 2020.
La società che si occupa di gestire l’evento, individuata tramite un bando di gara pubblico, ha previsto l’inaugurazione della fiera per il 31 Gennaio, con l’apertura dei cancelli di Villa Bellini alle ore 16.00: sarà possibile visitare la fiera di Sant’agata fino al 6 Febbraio, tutti i giorni, con orario continuato dalle ore 9.00 alle ore 24.00.
Luoghi della Fiera di Sant’Agata
Gli affascinanti Giardini di Villa Bellini sono il palcoscenico ideale per la Fiera di Sant’Agata, nell’edizione 2020: si accede all’ingresso tramite l’elegante scalinata di Via Etnea e dalla storica Piazza Roma.
Sono presenti ben 80 Gazebo per accogliere gli stand, dislocati lungo tutto il Piazzale delle Carrozze del Parco Bellini, dove è possibile acquistare articoli esclusivi della Fiera di Sant’Agata.
L’ubicazione degli stand fieristici è limitata all’ampia zona del Parco e al lungo viale adiacente in modo da salvaguardare l’ambiente degli storici giardini e per rendere più fruibile la visita di tutta la Fiera ad opera dell’oltre milione di visitatori che sono attesi nei suoi sette giorni di apertura.
Su suggerimento dell’amministrazione comunale il 10% dei prodotti esposti negli stand è destinato all’esposizione e la vendita di merce relativa a “Prodotti tipici Siciliani” e con riferimento alla Festa di Sant’agata, tra artigianato e food: gli stand dovranno apparire ai visitatori come delle vetrine curate nei minimi particolari, con una particolare cura estetica.
Gli stand sono del medesimo colore e dimensioni, sono divisi per settore “merceologico”, per facilitare la visita e la ricerca dei prodotti.
Fiera di Sant’Agata: la cura dei particolari
Nel Piazzale delle Carrozze è stata allestita, con accuratezza speciale, un’area ludica, dedicata all’infanzia e per ospitare i bambini.
È presente un grande maxi schermo, sempre nel Piazzale delle Carrozze, per consentire la proiezione delle immagini, in tempo reale, della festa e della fiera di Sant’Agata.
All’interno della Fiera è presente un’area per il pronto soccorso sanitario, una zona per le attività culturali e un palco per l’accoglienza dell’Amministrazione comunale e per il lavoro istituzionale.
Le fantastiche luminarie serali e notturne lungo la scalinata centrale di Villa Bellini e dei viali adiacenti è a cura della società che gestisce l’intera fiera.
Sono state allestite zone per la raccolta differenziata dei rifiuti: è prevista una stretta vigilanza per tutelare il verde pubblico e mantenere costante la pulizia nel parco e della fiera.
Tra le news, dal successo assicurato, ci sono l’apertura ininterrotta, anche notturna tra i giorni cinque e sei febbraio, per garantire un’ampia accoglienza alle migliaia di visitatori provenienti da tutta la Sicilia.
La fiera di Sant’Agata: cenni storici
Le origini della fiera di Sant’Agata risalgono a molti secoli fa, quando si dava inizio ai festeggiamenti della Santa patrona della città di Catania con un enorme mercato a cielo aperto, tipico delle tradizioni medievali, quando i signori locali concedevano l’esenzione delle tasse, le gabelle, ed era così possibile acquistare ogni tipo di prodotto a prezzi più bassi.
Prodotti caratteristici: le minne di Sant’Agata
Le minne di Sant’Agata sono delle piccole e deliziose cassate, speciali e caratteristiche, ricordano nella forma i seni della santa, che, secondo la storia del martirio, vennero strappati come punizione per non essersi concessa al prepotente.
Chi ha deciso di trascorrere un soggiorno a San Giovanni La Punta, una località nei pressi di Catania, può stare tranquillo: non ci sarà nulla di cui annoiarsi!
Oltre ad essere una delle location più belle di tutta la Sicilia sotto il profilo naturalistico, S.G. La Punta offre moltissime alternative di svago, divertimento e conoscenza tutte da scoprire.
La prima e più importante attrazione di cui prendere nota è senza dubbio il Parco delle Fiabe.
Parco acquatico e divertimento, questo luogo è a dir poco perfetto per grandi e piccini e offre la possibilità di trascorrere una giornata in totale serenità tra natura, magia e un’atmosfera a dir poco unica nel suo genere. Per info 351 981 9497
E per gli amanti dello shopping? A San Giovanni La Punta è presente anche una galleria commerciale il Centro Commerciale Le Zagare e I Portali
Molto elegante in cui si ha la possibilità di fare acquisti in negozi all’ultima moda a pochi passi da siti archeologici, storici e dell’arte da togliere il fiato. Si trova in Via Alessandro Manzoni, 95037 San Giovanni La Punta CT per info 095 741 8392.
A proposito di siti di interesse a San Giovanni La Punta, assolutamente da non perdere è la visita alla chiesa di San Giovanni Battista.
Sia che lo si faccia perché spinti dalla fede che per scoprire un luogo in cui arte e storia di fondono alla perfezione, la chiesa di San Giovanni Battista rappresenta la meta perfetta per ogni turista e offre la possibilità di conoscere da vicino un angolo di Sicilia tutto da scoprire. Si trova nella Piazza Lucia Mangano, 95037 S. Giovanni La Punta CT.
Sotto il profilo storico, nell’elenco delle location da visitare in occasione di un soggiorno a San Giovanni La Punta c’è anche il monumento al Milite. Anche in questo caso, si tratta di uno dei siti di interesse più apprezzati e visitati da turisti provenienti da ogni angolo del mondo.
Per chi ama l’arte non può non andare in visita presso la Fondazione La Verde La Malfa
Un luogo ideale in cui fare una vera e propria full immersion nell’arte in ogni sua forma. In questo luogo infatti, oltre ad esposizioni permanenti, non presenti anche sezioni dedicate ai libri antichi, alla storia contemporanea ed è anche stata realizzata una stanza chiamata Stanza della pace. Questo luogo si trova in via sottotenente Pietro, Via S. Ten. Nicolosi, 29, 95037 S. Giovanni La Punta CT per info 095 717 8155.
Insomma, chi trascorrerà un soggiorno in questa località non molto distante da Catania non può affatto perdersi una simile preziosa occasione di cultura e approfondimento.
A questo punto, non resta altro da fare che preparare i bagagli e partire alla volta di San Giovanni La Punta, luogo ideale per trascorrere uno short break o una vacanza più lunga in ogni periodo dell’anno, dato il clima particolarmente mite.
Il docu film di Sant’Agata più atteso per il prossimo anno e la sua trama sarà abbastanza semplice, ovvero narrare il racconto della festa della patrona.
Il docu film su Sant’Agata e il giornalista di Roma
Una trama molto semplice che ha, come filo conduttore, le emozioni provate da un giornalista di Roma che, da anni, vive nella città della Capitale italiana ma che, quando si avvicina la festa della patrona di Catania, non perde l’occasione di presenziare alla festa.
Un evento imperdibile il quale viene raccontato in maniera molto semplice e che permette al pubblico che vuole conoscere le varie storie delle città italiane, di poter scoprire quali siano le tradizioni che vanno a contraddistinguere questa particolare festa, molto sentita da parte della popolazione siciliana che, puntualmente, ogni anno organizza una festa memorabile per la sua patrona.
Una festa raccontata con tanta emozione
Il giornalista non si limita solo ed esclusivamente a raccontare la storia attuale della festa di Sant’Agata nel film documentario che lo vede come protagonista.
Al contrario, invece, anche tutte le diverse evoluzioni della festa sono oggetto del racconto della stessa festività siciliana, partendo dalla tradizione fino ad arrivare all’organizzazione dell’attuale festa che ha subito diverse variazioni ma che si occupa di mantenere sempre attivi i pilastri cardini della festività stessa, facendo in modo che la tradizione catanese possa essere tramandata alle nuove generazioni.
Il racconto della patrona e della città
Il film documentario viene suddiviso in due parti molto semplici da analizzare, ognuna delle quali in grado di far trasparire la passione per questo genere di festa provata dallo stesso giornalista siciliano trasferitosi a Roma.
Il documentario si focalizza anche sulle diverse epoche che hanno caratterizzato la città di Catania, rasa al suolo in diverse occasioni e ricostruita nuovamente con uno stile sempre più vistoso a simboleggiare la tenacia della stessa popolazione siciliana.
Oltre a questo breve racconto, il giornalista vi illustra anche tutti gli aspetti organizzativi della festa della patrona, così come l’aspetto religioso, offrendo quindi una panoramica generale completa sulla festa, facendo in modo che questa possa essere esaminata sotto ogni punto di vista.
Il giornalista e non solo
Ovviamente il film documentario non si focalizza solo ed esclusivamente sui racconti del giornalista ma, al contrario contiene anche tutte le diverse testimonianze offerte da parte della popolazione catanese, offrendo quindi una panoramica generale ulteriore.
Persone semplici che raccontano la loro esperienze e le sensazioni che provano ogni volta che vi è questa particolare festa.
Inoltre tutti gli eventi vengono narrati sia dagli organizzatori che dagli altri protagonisti dell’evento, facendo quindi in modo che ogni singolo aspetto sulla festa di Sant’Agata possa essere effettivamente apprezzata da tutti coloro che vivono questo genere di evento con grande attesa ogni anno.
Il film e la sua realizzazione
Il film, ormai entrato nella fase di post produzione, verrà intitolato Melior de cinere surgo, scritta presente all’interno della Porta Garibaldi e che mette in risalto il fatto che la città di Catania non si fa mai abbattere, malgrado le difficoltà e problematiche che si possono palesare improvvisamente.
La data di uscita del film documentario non è ancora stata stabilita con ufficialità, ma si presume che il 2020 sia l’anno in cui questa pellicola particolare dovrebbe essere rilasciata e resa disponibile per la visualizzazione da parte del pubblico.
Le Scacce sono un tipico piatto siciliano precisamente ha origini ragusane. Ha origini antiche e soprattutto un piatto economico molto comune ed estremamente gustoso e se sei stato in vacanza nel ragusano di sicuro l’avrai assaggiato e di sicuro non avrai dimenticato il suo gusto avvolgente grazie al suo tripudio di sapori dovuto alla perfetta combinazione degli ingredienti.
Se sei capitato qui vuoi cercare di elaborare a casa tua questo piatto tipico, bene scopriamo insieme gli ingredienti principali e il metodo di preparazione di questa classica tradizionale ricetta siciliana.
Gli ingredienti per la preparazione di 4 Scacce per l’impasto sono:
500gr di farina di grano duro
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
2gr di lievito di birra
10gr di sale fino
Acqua q.b
Invece per il ripieno occorrono i seguenti ingredienti:
2 lt di passata di pomodoro
300gr di caciocavallo
Qualche foglia di basilico
Uno spicchio d’aglio
Olio extravergine d’oliva
Pepe nero
Sale
Per quanto riguarda i costi per effettuare questa ricetta sono bassi, la difficoltà è media adesso vediamo la preparazione. Procedimento
Come prima cosa mettiamo a cuocere la passata di pomodoro in modo che si cuocia bene, quindi in un tegame mettete l’olio e lo spicchio d’aglio fate soffriggere ed aggiungete la passata di pomodoro e le foglioline di basilico, fate cuocere a fuoco lento con il coperchio.
Nel frattempo prendete il caciocavallo e tagliatelo a pezzetti e lasciatelo da parte.
Fatto ciò procediamo con l’impasto, su di un piano spargere la farina a fontana, aggi
ungere il sale e l’olio, dopodiché prendere il lievito e scioglierlo in un tegame con dell’acqua calda e versarlo piano piano sulla farina e amalgamare, al tatto l’impasto non deve risultare appiccicoso quindi aggiungere l’acqua e lavorare energicamente.
Fatto ciò dividere l’impasto in 4 porzioni adagiate in un canovaccio e lasciare lievitare per circa 3 ore.
Una volta che l’impasto è lievitato prendere i panetti e stenderli con un mattarello precedentemente infarinato in maniera sottilissima proprio questa e la particolarità delle Scacce avere una sfoglia sottile e non doppia.
Steso l’impasto spennellate un po di olio e aggiungete la salsa lasciando un dito di spazio ai bordi per permettere la perfetta riuscita della chiusura, dopodiché aggiungete i pezzetti di caciocavallo sparsi su tutta la salsa, e chiudere portando due estremità verso il centro una su l’altra, dopodiché ripetere il procedimento con la salsa e i pezzetti di caciocavallo e richiudere le due estremità.
Fatto ciò prendete una teglia rivestitela con della carta da forno adagiate le Scacce ed infornate a 180 gradi per circa 20 minuti, una volta cotte lasciarle raffreddare alcuni minuti dopodiché servitele tagliate a fette e buon appetito. Consigli
Questa sopraelencata è la ricetta classica tradizionale a questa potete aggiungere altri ingredienti come le cipolle, le melanzane, i peperoni, e addirittura le salsicce tagliate sottilissime. Che dire in cucina ci vuole molta fantasia per la riuscita di piatti unici e con le Scacce potrete variare la ricetta mantenendo la base classica a seconda del vostro gusto personale.
Se sei capitato qui è perché hai sentito parlare dei Pastieri e adesso vuoi conoscere la ricetta per poterli preparare a casa tua e farli assaggiare ai tuoi ospiti, bene sei capitato nel posto giusto scopriamola insieme.
Iniziamo col dire che i Pastieri sono una tipica ricetta rustica ragusana, in passato era destinata alle classi meno ricche, la tipica ricetta originale ragusana prevede l’utilizzo dalle interiora di agnello oppure del capretto, non veniva utilizzata la carne perché quest’ultima veniva venduta oppure perché troppo costosa. Scopriamo insieme la ricetta che ha un livello medio di difficoltà ed un costo medio-basso.
Ingredienti per l’impasto esterno dei Pastieri per circa 16 pezzi:
700gr di farina di grano duro
340gr di acqua
70 gr di strutto
Olio extravergine d’oliva q.b
Lievito di birra 10 gr
Sale fino 10 gr
Ingredienti per il ripieno dei Pastieri
750 gr di carne macinata di vitello e maiale
400 gr di caciocavallo
4 uova
Uno spicchio d’aglio
Prezzemolo tritato q.b
Sale fino q.b
Pepe nero q.b
Procedimento per la realizzazione dei Pastieri tipici ragusani.
Su di un piano disporre la farina a fontana, mentre in un pentolino sciogliere il lievito con acqua tiepida, dopodiché versatelo gradualmente sulla farina e piano piano iniziate ad amalgamare il tutto, poi aggiungete l’olio, lo strutto, ed il sale, man mano la restante acqua e continuate ad impastare questa volta più energicamente fino a quando l’impasto non risulti liscio ed elastico e non appiccicoso, fatto ciò riponete l’impasto in una ciotola e coprite con la pellicola per alimenti e lasciate lievitare per circa un’ora.
Nel frattempo che l’impasto raddoppia di volume possiamo dedicarci al ripieno dei Pastieri, prendete una ciotola, al suo interno mettete la carne macinata mista e amalgamate bene dopodiché versate il composto in una padella e saltate la carne aggiungendo prima il sale e poi il pepe e lasciate cuocere per circa due minuti. Fatto ciò trasferite la carne in una ciotola e fate raffreddare, una volta raffreddata aggiungete il caciocavallo precedentemente grattugiato lo spicchio d’aglio, il prezzemolo, ed il pepe ed amalgamate il tutto fino a che non diventi un corpo solo.
Una volta che l’impasto è lievitato trasferitelo su di un piano e stendetelo a forma di rettangolo, e con un cilindro formare dei dischi circa 16 per la precisione. Una volta ricavati i dischi al centro di essi mettere un cucchiaio di carne per il ripieno e con le dita sollevate l’estremità del disco e pizzicarlo fino a farlo sembrare quasi ricamato.
Man mano che i Pastieri sono pronti adagiateli su una teglia rivestita di carta da forno, una volta terminati in una ciotola rompete le uova e aggiungete il sale ed il pepe e sbattete, dopodiché versate un po’ di questo composto su ogni tortino facendo attenzione che non fuoriesca, utilizzate le rimanenti uova per spennellare l’impasto. Infornare a 200 gradi con forno già preriscaldato per circa 35 minuti.
Terminata la cottura i vostri Pastieri saranno pronti per essere gustati e con un morso vi porteranno nel meraviglioso mondo ragusano.
I cubbaiti sono una dolce specialità siciliana a base di mandorle, sesamo, pistacchio, miele e zucchero. La versione alle mandorle vanta origini molto antiche: nasce difatti, più precisamente, nell’827 d.C. in concomitanza dello sbarco degli Arabi a Mazara del Vallo (il termine cubbaita deriva dall’arabo ‘qubbiat’ che significa letteralmente mandorlato). Questo dolce diventa ben presto un prodotto tipico della tradizione gastronomica dell’isola ed è reperibile un po’ ovunque specie nel corso delle principali festività.
Lo puoi dunque trovare sulle bancarelle che vendono dolciumi in occasione di Natale, Pasqua e Santa Rosalia, ma anche in diversi punti vendita dedicati a merce alimentare.
Molte persone considerano il cubbaita una sorta di torrone, ma si tratta in realtà di un vero e proprio croccante in barrette avvolto nel cellophane (il suo involucro un tempo era costituito da carta oleata) il cui sapore inconfondibile deriva dal miele impiegato (nella provincia di Ragusa si utilizza quello dei Monti Iblei).
I cubbaiti riscuotono un successo intramontabile tra gli abitanti della Sicilia, i turisti e celebri personaggi (Sciascia e Camilleri li descrivono più volte all’interno delle loro opere).
Cubbaiti: la ricetta
Ti presentiamo ora la ricetta dei cubbaiti.• Difficoltà: media
• Preparazione: 30 minuti
• Dosi: 8 persone
• Costo: medio Per preparare il tipico croccante siciliano ti occorrono:
• ½ kg di semi di sesamo;
• 200 gr di mandorle;
• ½ gr di buccia d’arancia non trattata;
• 300 gr di zucchero;
• 150 gr di miele. La procedura che devi seguire è la seguente.
1. Pulisci il sesamo in modo accurato: passalo sotto l’acqua fredda corrente e lascialo asciugare su un canovaccio disposto sul tavolo. In alternativa, puoi passarlo alcuni minuti in forno (modalità statica 50°).
2. Riduci le mandorle a pezzetti.
3. Versa in una pentola con fondo spesso lo zucchero e l’acqua.
4. Accendi il fuoco e fai sciogliere lo zucchero a fiamma molto bassa.
5. Quando lo zucchero assume un colore ambrato aggiungi il miele, le mandorle, il sesamo e la buccia d’arancia.
6. Mischia il tutto per alcuni minuti con un mestolo di legno.
7. Bagna un piano di marmo con poca acqua (in alternativa lo puoi ungere con un filo d’olio di semi).
8. Disponi il composto sul piano e spianalo con l’ausilio di un mattarello (il croccante deve essere spesso circa 1 cm).
9. Pratica dei tagli sulla superficie del croccante con un coltello leggermente unto e cerca di formare piccoli rombi o quadrati.
10. Lascia solidificare il croccante per tutto il tempo necessario, taglia il cubbaita a pezzetti e servi.
Puoi conservare il croccante siciliano in un barattolo di vetro con chiusura ermetica; consuma il dolce entro due settimane.
Le Teste di Turco sono un dolce storico ragusano, oggi simbolo della città di Scicli. La loro storia inizia nel 1091 quando turchi e cristiani combattevano sulla piana che affaccia sul mare di Donnalucata.
La sorte degli Sciclitani sembrava ormai segnata quando, la “madonna guerriera” arriva in sella ad un cavallo bianco. Lei, con capelli corvini, di rosso vestita e soprattutto di spada armata seminò la Piana di Donnalucata di teste degli invasori turchi salvando la città di Scicli. Proprio per questo motivo, oggi le Teste di Turco vengono preparate per omaggiare la Madonna delle Milizie.
Si tratta di una sorta di Bignè (grandi almeno il triplo) farciti di ricotta fresca o crema, che richiama la forma del turbante dei turchi. Ora, vediamo insieme come si prepara questo squisito dolce. DIFFICOLTA’: medio-bassa PREPARAZIONE: 50min DOSI PER: 3 persone COTTURA: 40min COSTO: medio-basso INGREDIENTI:
180gr. di farina tipo 00;
180gr. di ricotta fresca;
3 uova;
55gr. di strutto;
55ml. di acqua (una tazzina);
Un pizzico di sale;
Zucchero q.b.
Zucchero a velo PREPARAZIONE:
Fate sciogliere a fuoco lento lo strutto insieme all’acqua e un pizzico di sale. Una volta raggiunta l’ebollizione, versate la farina, poco alla volta, nella pentola e iniziate a mescolare finché il composto non diventa omogeneo e morbido. Ricordate di mescolare con molta attenzione e soprattutto non create grumi.
Dopodiché togliete dal fuoco il composto e stendetelo sul piano di lavoro per farlo raffreddare.
Nel frattempo sbattete le uova, in modo tale da mischiare l’albume con il tuorlo.
Una volta che il composto si è raffreddato, potete procedere trasferendolo in una ciotola e, un po’ per volta, incorporate le uova (questo è il segreto per ottenere un impasto perfetto).
Mescolate accuratamente fino a quando le uova non si saranno assorbite completamente.
Dopo aver lavorato l’impasto, foderate una teglia con la carta da forno, trasferite il composto in una sac à poche e man mano create delle piccole montagnette circolari. Questi grossi bignè devono devono avere all’incirca il diametro di un bicchiere da cucina.
Il passo successivo è quello di infornare le Teste di Turco, nel forno preriscaldato a 180° per 40 min.
E’ bene non aprire il forno nei primi venti minuti di cottura.
Mentre aspettate che le Teste di turco si cuociano, lavorate la ricotta fresca con lo zucchero: mescolate fino ad ottenere un composto soffice e omogeneo.
Fate raffreddare le Teste di turco e poi farcitele con il composto di ricotta e zucchero, sistematele su un vassoio, spolverate con lo zucchero a velo e servitele su un bel vassoio.
Le vostre Teste di Turco sono pronte per essere mangiate ! Buon Appetito !
CONSIGLI
Evitate di aprire il forno nei primi venti minuti di cottura delle Teste di turco.
Conservate i dolci in frigo e cercate di consumarli in giornata o al massimo il giorno successivo per evitare l’avaria della ricotta.
Spolverate le Teste di turco con lo Zucchero a velo per un risultato ancora più squisito. VARIANTI
Non entrate nel panico se non vi piace la ricotta. Questi squisiti dolci offrono una variante molto gustosa: farcitura con classica crema pasticceria.
Potete inoltre insaporire le Teste di Turco con del miele fuso.
Potrete acquistare questi gustosi dolci in tutte le pasticcerie siciliane!
Se invece siete troppo lontani dalla Sicilia e non potete recarvi sul posto, segite questa ricetta, il risultato sarà eccezionale, vi sembrerà di assaporare questo squisito dolce sotto il sole della splendida Sicilia.
Non è importante l’età in quanto grandi e piccini amano mangiare questo dolce, l’importante è essere tanto golosi.
Sono davvero numerose le che chiese che si possono trovare a Catania di cui tra queste possiamo trovare la chiesa di San Giuseppe al Transito
Questa chiesa risultata essere stata costruita sui resti della cartina muraria di Catania.
Tra l’altro la si può trovare accanto alla famosa porta della Decima. Invece passando al lato estetico della chiesa possiamo dire che risulta essere davvero molto carina, semplice e sopratutto dotata con una facciata che viene divisa in tre parti.
Questa parte della struttura è complessa e complicata. E’ costituita da una parte in rilievo che corrisponde alla navata interna e da delle ali che mettono in piedi le cosiddette cappelle, dove appunto vanno a riunirsi e sostenersi dalla parte centrale della chiesa stessa.
Sicuramente se si ha un occhio particolarmente allenato nell’osservare, si può facilmente notare come le due ali non sono aperte ai lati ma bensì sono completamente chiuse, mentre in alto si può facilmente notare come siano presenti delle aperture, in cui si crede che fossero state pensate come campanili inizialmente.
Per quanto riguarda invece la porta possiamo dire che risulta essere una delle porte scomparse di Catania, questa porta prende nome di Decima, ovvero una delle porte più importanti delle regione per diverse ragioni.
Questa porta è sorta dal lontano medioevo e andò a sostituire la porta Ariana, e questa porta veniva chiamata anche porta Siracusa, proprio perché questa porta dava la possibilità di poter accedere alla strada principale per raggiungere appunto la città aretusea.
Il nome della porta ovvero Decima risulta essere davvero molto importante e assolutamente storico, ovvero questa porta davvero un ingresso principale alle campagne dove appunto avveniva la tassazione del coltivato e proprio qui avveniva il pagamento della Decima, ovvero un decimo del raccolto ottenuto.
Inoltre questa porta ha visto anche molte tradizioni, infatti si dice che una tradizione volle che sotto la porta passò in penitenza la cosiddetta cittadinanza catanese. Nel 1693, dopo il sisma, in memoria di una edicoletta rinascimentale, venne dedicata nello stesso punto appunto una chiesupola che venne quindi dedicata a San Giuseppe. Per poter piazzare questa chiesupola infatti fu demolita una gran parte delle mure rimaste che vennero sostituite infine con una facciata, che va a rappresentare un gran gioco di curvilinee.
La Chiesa di Santa Lucia al Fortino a Catania rappresenta uno dei luoghi di culto della Sicilia, precisamente di Catania, la cui storia tende a essere abbastanza particolare.
La Chiesa e la donazione del terreno
Inizialmente questa chiesa doveva essere costruita sul finire del XIX secolo: a donare il terreno nel quale la struttura ecclesiastica sarebbe dovuta sorgere fu un nobile devoto del luogo che aveva intenzione di offrire al cristianesimo l’occasione di celebrare le diverse funzioni religiose proprio presso la nuova chiesa.
Questo però non accadde in quanto, proprio quando i lavori stavano iniziando, si palesò una delle crisi maggiormente gravi e note che sconvolsero sia l’Italia che il resto dell’Europa, ovvero il primo conflitto globale.
Pertanto la costruzione venne immediatamente interrotta visto che tutti coloro coinvolti nel progetto di realizzazione della suddetta chiesa furono costretti a partire in guerra.
La realizzazione della Chiesa di Santa Lucia al Fortino a Catania
Il termine della Prima Guerra Mondiale aveva fatto ben sperare i religiosi che abitavano a Catania che la realizzazione della chiesa potesse riprendere dopo la ricostruzione delle varie abitazioni.
Purtroppo, però, la situazione diventò nuovamente abbastanza tragica e tesa, visto che dopo venticinque anni dal termine del conflitto, con l’Italia che lentamente si stava riprendendo, l’Europa venne sconvolta nuovamente da un altro conflitto mondiale.
Come facilmente intuibile, anche in questo caso la realizzazione della chiesa venne interrotta per offrire al regime fascista i soldati che avrebbero dovuto accompagnare le forze tedesche nelle varie battaglie.
Soltanto nel 1954 la Chiesa viene completata, divenendo uno dei luoghi nei quali si celebrarono svariate funzioni religiose.
Gli affreschi e la Chiesa di Santa Lucia al Fortino a Catania
Per quanto concerne gli affreschi, invece, molti di questi vennero rubati durante il periodo successivo al secondo dopo guerra.
La situazione in Italia era molto tesa e la popolazione, portata allo stremo dal conflitto generale, decise di impadronirsi degli affreschi che ritraevano alcune delle scene religiose maggiormente importanti, come Gesù in croce oppure mentre parla ai suoi discepoli.
Ancora oggi la Chiesa tende a essere priva di molti affreschi sia per simboleggiare il grave atto passato che venne compiuto sia per ricordare ai fedeli lo stile di vita che seguì il figlio di Dio, ovvero modesto e povero.
Catania è una delle città più belle e visitate della Sicilia, per i suoi monumenti artistici e religiosi, il suo vivace mercato del pesce e i suoi caratteristici quartieri.
Il patrimonio artistico e culturale di Catania è molto ricco e variegato e molti non sanno che in ogni quartiere vi sono monumenti o luoghi simbolo da visitare. Uno dei quartieri più popolari della città di Catania è il Pigno, sconosciuto ai più, ma che si caratterizza per un dedalo di stradine strette e anguste molto suggestive e dove si può entrare in contatto con la vera anima dei catanesi.
Nascosta tra i vicoli del quartiere Pigno, si trova la parrocchia di San Giuseppe al Pigno precisamente in Via delle Clementine 8 – San Teodoro, Catania (CT), luogo di incontro per giovani e fedeli da ormai più di cinquant’anni.
La Storia della Chiesa di San Giuseppe al Pigno
Il Pigno, in dialetto catanese U Pignu, venne costruito verso la fine degli anni ’50 su ampio vigneto di proprietà della famiglia Pulvirenti, che vendettero i loro possedimenti terrieri ad alcune famiglie di immigrati provenienti dalle altre province siciliane e dalla Calabria per lavorare a Catania. Il quartiere divenne presto un agglomerato di case popolari e ancora oggi mantiene il suo impianto originario.
È il lontano 1965, quando viene edificata la piccola chiesa di San Giuseppe al Pigno, su un terreno donato al quartiere dal suo precedente proprietario. Nei primi anni ’70, la Chiesa rientra nella giurisdizione della parrocchia Madonna del Divino Amore in Zia Lisa e bisogna appettare alcuni anni prima che diventi una diocesi autonoma.
La storia della Chiesa di San Giuseppe al Pigno è strettamente legata alla figura di padre Greco Concetto, che volle trasferirsi presso la piccola diocesi del Pigno nel lontano 1970 e trasformare il centro di culto in un luogo di accoglienza, di ascolto e di convivialità. Padre Greco, noto ai più come il “prete operaio” è il vero artefice della rinascita della piccola chiesa di quartiere, difatti fu lui che contribuì alla costruzione di un campo di calcio per i giovani, all’organizzazione di sagre ed eventi culturali per avvicinare la comunità o alla predisposizione di processioni e feste in onore della Madonna e di San Giuseppe.
Negli anni, la Chiesa è diventata un punto di incontro per gli abitanti del quartiere e non solo, visti i problemi di criminalità e povertà che caratterizzano la periferia di Catania, si è trasformata in un vero e proprio centro di ascolto, dove trovare sostegno e solidarietà.
L’architettura della chiesa di San Giuseppe al Pigno
La Chiesa è in stile moderno e si caratterizza per un impianto architettonico semplice e lineare.
La facciata piana priva di decorazioni e rosone centrale spicca per il suo bianco immacolato e si caratterizza per un andamento lievemente asimmetrico. Sulla facciata vi è un unico varco di ingresso sormontato da un’ampia finestra e sulla sommità, è posta una maestosa croce lignea. La pianta della chiesa è longitudinale, con un’unica sala di forma rettangolare, dove vengono celebrate le funzioni liturgiche.
L’interno della chiesa di quartiere è abbastanza spoglio, con una serie di finestre poste sui lati e un affresco in prossimità dell’altare. All’esterno, addossato all’impianto principale vi è un piccolo campanile di forma quadrangolare. Il rivestimento del tetto della chiesa è in tegole portoghesi, che creano un particolare effetto cromatico con il candore della facciata. La sala interna della chiesa è arredata con banchi in legno posti su due file, mentre il presbiterio è lievemente rialzato e ospita un altare in marmo bianco, finemente decorato.
L’ingresso della Chiesa di San Giuseppe al Pigno è delimitato da un cancello, un piccolo spazio verde e una breve scalinata di accesso.
Chiesa di Santa Maria delle Grazie in Carruba: la localizzazione
L’Italia è paese di chiese, oltre che di poeti, santi e navigatori. Da nord a sud e da est a ovest, infatti, la penisola italiana offre un territorio puntellato qua e là di meravigliose architetture di natura religiosa, alcune tuttora in attività, esercitanti riti e funzioni relative al culto della religione cattolica, altre sconsacrate, ma pur sempre aperte al pubblico e in grado di ospitare al loro interno manifestazioni ed eventi di particolare interesse storico e culturale.
Nella città di Catania, ad esempio, trova spazio la chiesa di Santa Maria delle Grazie in Carruba. Appartenente alla diocesi di Catania, la dicitura “in Carruba” si riferisce al punto nel quale sorge l’edificio religioso: la chiesa, infatti, è sita all’interno del quartiere Carruba, precisamente all’indirizzo via Messina 715 per info 095 494223.
La via in questione è uno dei corsi più trafficati in assoluto dell’area nordorientale della città, in virtù del fatto che il viale presenta una lunghezza particolarmente estesa (i numeri civici sono più di 700). Pur non essendo affacciata sul mar Ionio, la chiesa dista dalla costa orientale dell’isola siciliana circa 500 metri in linea d’aria.
L’architettura e l’estetica della chiesa
Sul piano architettonico la chiesa di Santa Maria delle Grazie in Carruba presenta una facciata piana estremamente minimalista. Dotata di paraste, le quali corrono lungo la cornice della facciata stessa, la chiesa ospita sulla sua sinistra un campanile, il cui spazio è racchiuso dalla cella campanaria presentante una geometria squadrata.
L’accesso alla chiesa è consentito direttamente dalla strada, nonostante il portone dell’edificio disti una decina di metri dalla carreggiata alla quale fa riferimento.
L’area all’esterno del corpo di fabbrica, sempre appartenente alla metratura dell’edificio religioso, è particolarmente sobrio, con piante sistemate in uno spazio delimitato sulla sinistra e una piccola statua di Santa Maria delle Grazie, che dà il nome alla chiesa stessa, collocata nei pressi dei vegetali.
Il portone di accesso all’edificio è in legno marrone, il che crea un forte contrasto con la parte restante della facciata, interamente dipinta di un tenue bianco panna. Sopra il portone trova spazio anche un pannello decorativo in rilievo, anch’esso decisamente contrastante con le tonalità chiare dell’area frontale della chiesa.
La storia della chiesa e gli interni
Per quanto riguarda il profilo storico, sono poche le notizie riguardanti la storia della chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Trattandosi di un edificio di dimensioni relativamente modeste, la maggior parte delle attività della diocesi di Catania si concentra nelle aree che sorgono al centro della città, demandando agli edifici minori il ruolo di parrocchie di quartiere (dunque in grado di accogliere attorno a sé gli abitanti del quartiere di riferimento, in questo caso Carruba).
A differenza degli edifici bombardati nel corso della seconda guerra mondiale, dall’esterno la chiesa presenta una linea più innovativa e frutto di una costruzione assai più recente rispetto ai fabbricati ricostruiti dopo il conflitto.
Nel corso degli anni la chiesa non è stata oggetto di ampliamenti, anche per via delle dimensioni piuttosto contenute degli interni: il fabbricato, infatti, presenta una sola e unica navata, con il presbiterio leggermente rialzato rispetto al piano della stessa.
La pianta presenta una base rettangolare che si allunga verso l’abside. Sia sul lato destro che sul lato sinistro della navata sono collocate statue decorative, con una serie di affreschi che trovano spazio all’interno della chiesa.
In questo delizioso quartiere catanese vi è un luogo di culto cattolico, la Chiesa di San Giuseppe la Rena, eretta nel 1957 (in via Brucoli).
Luogo imperdibile da visitare, la piccola e accogliente chiesa di San Giuseppe la Rena, risalente al XIX secolo, è un punto di riferimento per i devoti, residenti in questo storico ed affascinante quartiere della città di Catania.
La chiesa di San Giuseppi ‘a Rìna (così viene chiamata in dialetto catanese) è meta dei fedeli, in modo particolare durante i festeggiamenti di San Giuseppe (19 Marzo).
Questa accogliente e ben organizzata chiesa parrocchiale è stata più volte ristrutturata, ed al suo interno troviamo un affresco che ricorda la missione gesuitica della Madonna del Lume.
Da menzionare anche l’altare dedicato a San Michele Arcangelo, protettore dei raccolti.
Chiesa di San Giuseppe la Rena: Cenni storici
Nel 1820, Giuseppe Messina, massaro di San Giuseppe la Rena, costruì e donò un cereo in onore della patrona Sant’Agata, denominato Cereo dei rinoti, che è il più antico dei tredici cerei, ed è realizzato in stile barocco.
Come riportato da Portale di Sicilia, la borgata sorse intorno la fine del XVIII secolo a ridosso della Piana di Catania, come piccolo insediamento di abili contadini, abitanti dediti all’agricoltura, in modo particolare all’orticoltura.
Conservò la sua peculiarità di borgo rurale fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, e in seguito modificò in parte il suo aspetto, anche in correlazione dello sviluppo dell’area industriale nella vicina Pantano d’Arci, e dell’aeroporto di Fontanarossa.
Dal 1995 al 2013, assieme ai quartieri limitrofi ha istituito la X Municipalità “San Giuseppe La Rena-Zia Lisa”.
Cenni sulla struttura architettonica della Chiesa Parrocchiale di Catania San Giuseppe la Rena:
La facciata è simmetrica e piana, con copertura pitched roof (detta anche a capanna). Vi è un unico varco d’accesso.
Volumetria prismatica a pianta rettangolare. Caratterizzata da un modesto sviluppo longitudinale. Volumetria prismatica a base rettangolare. Sul lato sinistro è sovrastata dal campanile che si erge sulla facciata dove sono siti gli ambienti parrocchiali e per tutta la loro luce.
Le testimonianze dei fedelissimi:
Antonio Luca Cuddè :
Ricordiamo che la parrocchia è intitolata a San Giuseppe, che non esiste soluzione, teoria, via o percorso valido che non passi per il bene di tutti e la pubblica convocazione, come pubblica e palese era l’opera di Nostro Signore. Possano presto giungere i frutti delle nostre preghiere.
Riferimenti geografici:
San Giuseppe la Rena è distante circa 10 km da Catania e si trova a 11 metri sul livello del mare.
Indirizzo: Via S. Giuseppe Alla Rena, 164, 95121 Catania CT
Telefono: 095 341889
Situata nella parte meridionale del territorio del capoluogo etneo.
La chiesa di San Leone Vescovo é situata in Piazza San Leone a Catania, l’epoca in cui è stata costruita non è ancora stata inquadrata dagli studiosi, quindi non si conosce la data precisa.
Ma si ipotizza sia stata edificata intorno al periodo dei Saraceni, dunque verso l’anno 1000. La sua consacrazione è stata effettuata da Mons. Vescovo Aliparto.
La Storia: Chiesa di San Leone Vescovo
La struttura della chiesa di San Leone Vescovo risulta essere grande, in quanto si pensa sia la struttura più ampia rispetto a tutte le chiese Saracene a tre navate.
In cima è posizionato un campanile a forma di una piccola torre, con delle finestre romaniche che sono separate da delle colonne di piccole dimensioni in pietra.
Una di esse infatti è a forma di spirale ed è stata costruita verso l’anno 1220 ( più precisamente nel 1224).
In quel punto nel 1951 è stato rimosso l’orologio comunale. Sin dalla nascita la chiesa era stata riconosciuta e destinata a Santa Caterina, ma nel 1224 durante il periodo dei Normanni è stata consacrata dal vescovo di Bisignano Guglielmo.
Quest’ultimo è stato riconosciuto come Santo da quello stesso anno. Successivamente intorno al 1630 è stato nominato padrone della terra Saracena San Lione, che è stato affermato doppiamente da Innocenzo X all’inizio della sua carriera da Pontefice.
La struttura e gli affreschi
L’interno della chiesa è caratterizzato da tre navate che è dotato da enormi pilastri, 6 per la precisione. Attraverso di essi sono posizionate le arcate che pronunciano chiaramente le campate.
Inoltre la chiesa di San Leone Vescovo è conosciuta per i suoi affreschi, ce ne sono alcuni che rappresentano addirittura quattro avvenimenti del vecchio testamento.
Le opere d’arte sono senza dubbio una parte che la rendono affascinante sotto tanti aspetti. Ad attirare l’attenzione per esempio è una stata realizzata in marmo che raffigura la Beata Vergine di Stile manierista, in più la visione del Ciborio con caratteristiche a livello del periodo del rinascimento.
Questa opera del 1552 è stata prodotta da uno sculture di origine Toscana, la sua lavorazione è stata complicata. Ovvero ha utilizzato una lastra in marmo che è stata scolpita nella parte bassa.
Nella parte centrale di questa incisione una piccola porta di aspetto metallico, ed è qui che l’artista toscano ha raffigurato San Giacomo di Altopasso. Sulla parte laterale invece del portello sono rappresentati due figure angeliche, scolpiti con tema floreale.
Fonte per il Battesimo
Nel XVI secolo tra le tante costruzioni è stato costruita anche la fonte battesimale. I materiali con cui è stata realizzata sono il legno e la pietra, infatti questa risulta essere costruita con metà di essi.
Rende particolare la fonte la figura di un leone accovacciato, la parte del suo schienale mantiene una colonnina bombata, inoltre istoriata con un ceppo di foglie che mantiene una vasca dall’aspetto tondeggiante.
San Leone e il mago Eliodoro
Leone è stato nominato Taumaturgo per via dei numerosi miracoli che ha compiuto. Quest’ultimo è stato collegato ad una figura quasi leggendaria che risale circa al 778.
Ovvero è legato al necromante Eliodoro, si vocifera infatti che il giovane mostrava di avere interesse a far parte a pieno della religione cattolica.
Tanto da voler diventare vescovo della diocesi di Catania, ma non gli fu riconosciuto questo titolo da parte della Chiesa, per questo finì per diventare un uomo che praticava la magia.
Successivamente morì bruciato per via delle sue capacità innaturali. L’opera che è presente in chiesa rappresenta questa storia del tutto coinvolgente.
Le quattro Cappelle
All’interno della chiesa sempre è possibile ammirare 4 cappelle, di cui la prima è stata dedicata alla Madonna delle Grazie, la seconda alla statua della Vergine Santissima. La terza alla Vergine Santissima Addolorata e la quarta è stata riconosciuta in onore di San Leone.
Il Portale d’Ingresso
Il portale nella parte laterale è ornato dalla pietra di colore giallo, quest’ultimo è realizzato in stile rinascimentale e inoltre sono raffigurate anche delle figure angeliche. Alla base sono raffigurati invece i distintivi dei feudatari di quel tempo.
L’organo
L’organo risale circa al diciottesimo secolo, è largo 1 metro e alto 2,88 m. Adesso è situato sulla parte destra della navata centrale, nel 2006 è stato restaurato.
L’altare maggiore
La chiesa è dotata di un altare maggiore in stile barocco, a renderla ancora più incantevole è la statua della Vergine Maria del XVI secolo.
Liotru
Infine tra tutte le opere c’è quella del Liotru, quest’uomo si dice che abbia realizzato personalmente questo lavoro, mediante le sue pratiche di magia. Liotru è il nome che è stato scelto dal popolo al posto di Eliodoro.
Come ogni turista tornato da Catania sà già, la visita alla città non può dirsi completa se non si fa tappa alla chiesa di San Giovanni Battista in San Giovanni Galermo, situata nell’omonimo quartiere della città. Questa chiesa, infatti, oltre ad essere un grande esempio di arte siciliana, è ricca di storia e cultura e merita indubbiamente una visita.
Chiesa di San Giovanni Battista in San Giovanni Galermo: Partiamo con un po’ di storia
La storia di questa chiesa inizia nel 1130, quando la chiesa viene edificata sopra la grotta di San Giovanni, patrono della comunità di Galeno, e da diverse fonti risulta dedicata al culto di San Giovanni Battista già dal XIV o XV secolo.
La tradizione vuole che la chiesa si sia salvata dall’eruzione dell’Etna del 1669 per intercessione di Sant’Agata, che fermò la lava. Purtroppo, la chiesa non è rimasta indenne ad ogni calamità avvenuta nel corso della storia, pertanto fu completamente restaurata nel 1884 a causa dei danni subiti da un terremoto. Recentemente sono stati ultimati nuovi lavori di ristrutturazione che hanno restituito alla chiesa il suo antico splendore.
Il culto del patrono è molto caro alla comunità che ogni anno ne celebra la sagra, che dura ben due interi giorni, seguendo una combinazione di tradizioni antiche e nuove da non perdere assolutamente. Se passi da Catania fra il 23 e 24 giugno dovresti assolutamente passare per San Giovanni Galermo.
E ora un po’ di arte
L’esterno
La facciata della chiesa si presenta tripartita, costruita su due ordini, con un grande portone d’accesso centrale, e simmetricamente, nell’ordine superiore, un edicola votiva di San Giovanni. La facciata è legata, sul lato destro, ad un grande campanile quadrangolare dotato di quattro campane, noto monumento nazionale.La chiesa è sviluppata in una pianta a croce latina immissa.
L’interno
All’interno la chiesa è sviluppata con una navata unica e rettangolare, che prosegue fino al presbiterio, rialzato e quadrangolare, e all’abside semicircolare, dove è possibile ammirare l’edicola con una statua del Santo titolare.
Degno di nota è anche il grande altare bianco a quattro piedi, così come gli stucchi e i decori aggiunti durante l’ultimo restauro, che assitono nella presentazione del considrevole pregio e valore di questo edificio religioso.L’interno della chiesa ha un grande valore anche dal punto di vista degli elementi decorativi.
Particolarmente degne di nota sono le due tele dedicate alla Vergine Maria, una Sacra conversazione dipinta da Giuseppe Zacco e una Madonna del Rosario, in abito azzurro, con il Bambin Gesù in braccio.
Occorre, poi, fermarsi ad ammirare l’altare laterale dedicato al Santo patrono, sopra il quale si trova un altro quadro dello Zacco, Il predicatore del Giordano, che raffigura San Giovanni, intento a predicare alla folla, mentre alla sua destra si può notare un agnello, noto simbolo della la figura di Cristo, che assiste il Battista nella sua attività di predicazione.
Citiamo per ultimo, ma non per questo lo riteniamo meno importante, l’altare della crocifissione, sopra il quale si trova una statua di Cristo in croce, affiancato da Maria e dal suo discepolo San Giovanni. L’opera, insieme all’altare, merita sicuramente un’occhiata!
La chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Catania è stata costruita per la prima volta nel 1557 e ha subito un rovinoso crollo più di cento anni dopo, nel 1693. Dopo questi avvenimenti, la ricostruzione della chiesa è stata rinviata al 1752: gli ultimi ritocchi effettuati sulla facciata, sul pavimento e sugli stucchi, risalgono al 1888.
Questa chiesa è dedicata alla memoria dei Santi Medici Cosma e Damiano, nati da Santa Teodora e periti sotto l’impero di Diocleziano: Cosma e Damiano erano due gemelli medici, che offrivano cure e guarigioni senza chiedere in cambio alcuna somma di danaro.
Chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Catania: l’architettura
La facciata di questa chiesa appare piana e del tutto simmetrica, composta da lastre di pietre bianche calcaree: sono visibili ben due diversi ordini, ciascuno contenente una diversa porta. Nel primo ordine è possibile osservare un unico portone, arricchito da entrambi i lati con due colonne trabeate sporgenti dal muro in pietra.
Al secondo ordine è invece presente una finestra perfettamente corrispondente alla posizione sottostante del portone, contornata superiormente da un arco e lateralmente dalla prosecuzione delle trabeate sottostanti, simili a colonne in rilievo.
Al di sopra del secondo ordine è presente il frontone: esso appare dentellato e decorato con piccoli dislivelli nella pietra circostante e del tutto privo di lucernario centrale. Il campanile si erge sulla destra dell’asse centrale della chiesa, parecchio arretrato rispetto alla direzione della facciata: esso prosegue il motivo in pietra bianca e termina con uno spigolo.
In cima, al di sopra del frontone e sul tetto spiovente della chiesa, è presente una croce decorativa classica, di metallo, aggiunta in un secondo momento rispetto alla costruzione originale della struttura.
Chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Catania: la piantina
Per quanto riguarda la pianta della chiesa, questa risulta a base rettangolare, e il progetto planimetrico prevede un’aula unica, priva di navate laterali.
La navata centrale è preceduta, all’ingresso da un imponente vestibolo che ospita una cantoria decorata di poco sporgente, sorretta da otto colonne a fusto liscio, organizzate in una composizione a serliane, a formare un arco nella parte sovrastante.
Proseguendo verso l’altare, la navata appare priva di colonne laterali, ma arricchita da due archi per lato a formare quattro nicchie semicircolari incassate, contenenti immagini sacre e statue di culto. É presente inoltre un presbiterio di pianta rettangolare, che si mostra rialzato e delimitato da un arco, a sostegno dell’abside semicircolare che lo sovrasta.
Catania è una delle città d’arte più suggestive della Sicilia, ricca di monumenti storici e di chiese.
Sicuramente la Chiesa di Santa Maria della Salette è uno dei complessi architettonici più importanti di Catania che devi visitare se sei in vacanza nella città sicula.
E’ una chiesa parrocchiale situata nell’antico quartiere di S. Cristoforo in Via Santa Maria della Salette, 116 Catania, quartiere storico che offre un prospettiva dell’animo della città di Catania ed è famoso per il suo street food.
La chiesa risale al 1872 ed è un importante luogo di culto cattolico in cui si svolgono le celebrazioni liturgiche.
Descrizione della Chiesa di Santa Maria della Salette
La facciata della Chiesa è simmetrica e ricoperta in mattoni rossastri realizzati con la pietra lavica, presenta il portale d’ingresso archiacuto realizzato in calcare bianco a cui si accede da una breve rampa di scale a profilo curvilineo; è sovrastata da un rosone e da una bifora in pietra bianca, un tipo di finestra divisa verticalmente da due aperture.
Ai lati del portale d’ingresso e del rosone puoi ammirare quattro finestre monofore archiacute anch’esse realizzate in pietra bianca. Il tutto è sormontato da un’archeggiatura pensile che enfatizza il tetto spiovente.
All’interno della Chiesa puoi osservare colori chiari come il bianco nelle pareti e oro, bianco e azzurro nel soffitto. E’ presente un unica navata e l’abside della chiesa è sormontata da volte a crociera.
Storia della Chiesa di Santa Maria della Salette
La costruzione della chiesa fu iniziata nel 1872, quando ci fu la posa della prima pietra il 29 giugno del 1872, voluta dal beato Card. Dusmet e fu progettata dall’architetto Carmelo Sciuto Patti.
Dopo il bombardamenti a causa della seconda guerra mondiale, la Chiesa venne distrutta nel maggio del 1943, rimasero solo le pareti longitudinali, le pareti del presbiterio e l’arco trionfale.
La chiesa fu ricostruita e riedificata subito dopo la guerra e nel marzo del 1948 viene elevata a Parrocchia e affidata ai salesiani. Dopo qualche mese, nel gennaio del 1949 viene nominato il primo parroco salesiano della Salette: Sac. don Stefano Nicoletti.
In contemporanea alla costruzione della chiesa nel marzo del 1893 nasce e viene inaugurato l’oratorio festivo Leone XII alla Salette affidata ai salesiani per poi essere cambiata in Oratorio Salesiano S.Giovanni Bosco.
La festività religiosa della Chiesa di Santa Maria della Salette
Puoi vedere i festeggiamenti della sua patrona e titolare, la Madonna delle Salette, il 19 settembre in cui è preceduta da un triduo liturgico e la sera il simulacro della Madonna esce dalla chiesa parrocchiale per attraversare le vie del quartiere in processione accompagnata dalle preghiere dei fedeli, la banda musicale e lo sparo dei fuochi d’artificio.
Al termine della processione si tiene uno spettacolo pirotecnico di chiusura e la solenne benedizione ai fedeli. Nei giorni precedenti e in quelli successivi alla festa religiosa potrai prendere parte ai festeggiamenti in onore della patrona partecipando alle numerose sagre e spettacoli musicali.
Il comune di San Gregorio di Catania appartiene all’area metropolitana della città di Catania e dista 9 km dal centro di Catania, 15 km dall’aeroporto Fontanarossa, e circa 11 km dalla Stazione Centrale.
Trasporto pubblico dei Comuni Etnei – San Gregorio: Collegamenti principali
Il mezzo pubblico più utilizzato per raggiungere San Gregorio (o per partire dal comune etneo verso altre destinazioni) è l’autobus, usufruendo delle corse interprovinciali effettuate dalle autolinee Sais, Ast (Azienda Siciliana Trasporti) e dalla municipale catanese Amt (Azienda Metropolitana Trasporti) , oltre ai servizi di trasporto offerti da alcune autolinee private con sede nelle città limitrofe.
Il casello autostradale di San Gregorio, oltre ad essere una importante via di accesso alla città, è anche la fermata utile e principale (in alcuni casi, l’unica) dei bus appartenenti alle autolinee che effettuano corse dirette a San Gregorio.
Gli orari, comunque, sono piuttosto flessibili, anche perché come già detto, il casello di San Gregorio rappresenta un importante svincolo autostradale nonché la principale via di accesso alla città per chi proviene dal circondario.
Trasporto pubblico dei Comuni Etnei – San Gregorio: Vicende della mobilità interna
La mobilità interna di San Gregorio ha recentemente subito fasi alterne di efficienza.
Il mezzo pubblico utilizzato per spostarsi a San Gregorio è il bus navetta, un servizio gratuito inizialmente gestito dalla Seabus, che collega la città con le frazioni a sud, operando anche un interscambio con alcune linee dell’ AMT.
Nel febbraio 2019, il contratto con la Seabus è scaduto e la stessa ditta incaricata si è dichiarata non disponibile a proseguire il servizio alle stesse condizioni, perché definite “antieconomiche”. Quindi è stata bandita una gara per affidare il servizio a una ditta diversa: ma la gara è andata deserta, nè il budget del Comune avrebbe potuto essere incrementato (per mancanza di fondi) al fine di venire incontro alle richieste della ditta precedentemente incaricata del servizio.
Pertanto l’Amministrazione comunale è intervenuta con provvedimenti volti a diminuire i costi e cercare di comporre una trattativa utile con le imprese del settore trasporti.
I provvedimenti adottati riguardavano la riduzione del numero delle corse e una redistribuzione delle stesse in base alle esigenze stagionali.
Erano previste, pertanto, dieci corse, la prima con partenza da Piazza Marconi, l’ultima con partenza da Via Sgroppillo.
Il servizio, attualmente, vede dieci corse giornaliere che si snodano su un percorso di 12 Km con partenza della prima corsa da piazza Marconi alle 6,55 e l’ultima corsa con partenza da Via Sgroppillo (rotatoria) alle ore 15,15.
Inoltre, durante le corse: 6,55; 11,15; 13,15 e 14,15 il pulmino collega gli istituti “Galileo Galilei” e “Guglielmo Marconi” col territorio di San Gregorio per garantire agli studenti il collegamento alle proprie scuole.
Le corse previste, sebbene ridotte nel numero, sono riuscite comunque a garantire i servizi essenziali ai cittadini, compresi gli studenti che giornalmente si recano in istituti scolastici situati in città limitrofe. In questa ottica di ottimizzazione e sincronia tra costi e benefici, sono state eliminate, per quattro delle dieci linee, le corse del sabato e si è disposta l’interruzione delle stesse per il periodo estivo dal 10 giugno al 10 settembre e per il periodo delle vacanze natalizie, dal 20 dicembre al 6 gennaio.
Trasporto pubblico dei Comuni Etnei – San Gregorio: Situazione attuale
Secondo un recentissimo aggiornamento delle disposizioni riguardanti la mobilità, dal 12 settembre 2019 il servizio “bus navetta” è stato ripristinato a condizioni ancora differenti. Il servizio prevede, infatti, 6 corse nei giorni feriali, più una suppletiva il martedì, giorno in cui si svolge il mercato settimanale. Il servizio non è attivo il sabato, nei giorni festivi e nel periodo estivo. Queste disposizioni saranno operative fino al 10 giugno 2020.
L’edificazione della chiesa di Santa Maria di Gesù risale al 1442. E’ una basilica situata a Catania, in Sicilia più esattamente nel lato nord della piazza da cui prende il nome. Originariamente, più esattamente nel Trecento questa basilica svolgeva la funziona di un piccola cappella accanto alla quale sorse in tempi successivi, un piccolo convento di frati francescani.
La cappellina era posta in un’area chiamata Selva del convento di Santa Maria di Gesù e si trovava in un viale compreso tra Giardino Bellini, via Plebiscito e viale Regina Margherita. In quell’epoca la chiesa aveva un scopo prevalentemente funerario. La chiesa si trova esattamente in Piazza Santa Maria di Gesù, 7, 95124 Catania CT
La vera chiesa venne edificata solo nel secolo successivo ovvero il Quattrocento. Con il passare degli anni furono sempre maggiori le decorazioni che vennero apportate alla stessa. Vere e proprio opere d’arte facevano da sfondo alla basilica che in poco tempo si vide gremita di addobbi.
Un violento terremoto però, avvenuto nel 1693, distrusse completamente la chiesetta. La sua riedificazione avvenne così nel XVIII secolo ed è rimasta ad oggi intatta. Nel 1949 la basilica è stata elevata a parrocchia.
Tutte le caratteristiche della Chiesa di Santa Maria di Gesù
La facciata della Chiesa si presenta simmetrica piana, austera e di stampo romanico. Le maggiori decorazioni si trovano ai lati e sono molto simili a quelle delle chiese situate lungo l’area etnea. Le caratteristiche particolari della chiesa sono l’alternanza delle pietre di colore nero e bianco.
La basilica al suo interno presenta una navata singola mentre ai lati è dotata di cappelle riprodotte dalle famiglie più nobili di Catania. Tra le più note spicca la chiesetta Paternò Castello da cui potrai accedere semplicemente attraverso un portale di sculture. Lo spazio interno è disposto longitudinalmente con la presenza anche di un presbitero.
All’esterno la chiesa presenta una caratteristica fondamentale, ovvero la facciata decorata con preziosi stucchi voluta fortemente dal frate Girolamo Palazzotto. In realtà questo abbellimento è servito maggiormente per coprire le opere d’arte più antiche ed ormai rovinate.
La chiesa di Santa Maria di Gesù a Catania presenta così uno stile omogeneo è molto raffinato. Le sue caratteristiche sono principalmente dovute ai canone delle scuole del XVI secolo, ovvero agli anni in cui venne costruita.
Sull’altare maggiore sono presenti diversi dipinti su tavola, come quello denominato Immacolata Concezione pitturato nel 1525 dal pittore Angelo Di Chirico. L’affresco raffigura nello specifico due sante donne, Sant’Agata e Santa Caterina d’Alessandria. Oltre a queste dipinti la chiesa presenta anche opere di altri famosi autori come Giuseppe Zacco, morto nel 1834 e Antonello Gagini di alcuni secoli prima.
Ad oggi la chiesa situata a Catania è un vero e proprio convento dedicato all’Ordine dei Frati Minori Osservanti.
La Sicilia è una regione costellata da bellezze e scorci unici e quando si visita Catania non si può far a meno di visitare Piazza del Duomo, la Cattedrale di Sant’Agata, l’Etna. Questa meravigliosa città, però, nasconde dei tesori e delle mete meno battute dai turisti, che vale davvero la pena visitare. Tra questi vi è la Chiesa di Santa Maria della Rotonda, il cui complesso risale all’epoca romana.
Scopriamo nel dettaglio la sua storia e perché vale la pena visitarla.
Chiesa di Santa Maria della Rotonda: La sua storia
La Chiesa di Santa Maria Rotonda nasce nell’epoca bizantina dove prima c’erano delle strutture termali di origine romana. Il nome “Rotonda” è stato dato per la struttura architettonica della chiesa, che presenta una cupola a tutto sesto, su un edificio il cui perimetro quadrato culmina in un’aula circolare.
In epoca romana, l’edificio era considerato il più importante luogo di culto a Catania, una sorta di Pantheon, e fu consacrato alla Vergine Maria nel 44 d.C.. Tuttavia, nel XVIII secolo, il Principe Biscari avanzò l’ipotesi che si trattasse di una stazione termale di origine romana e non di un luogo sacro. Questa ipotesi fu presa con grande considerazione dagli studiosi, in quanto la struttura presenta proprio la caratteristiche di un edifico termale, con aree quadrangolari e circolari connesse tra loro. È stato perfino ipotizzato che l’edificio sia stato eretto su una precedente struttura termale risalente all’età ellenistica, in quanto sono stati rinvenuti resti dell’età greca.
Nel VI secolo, con la dominazione bizantina, il complesso fu trasformato nell’ex basilica di Santa Maria della Rotonda. La chiesa fu adibita nella grande sala rotonda e nel presbiterio si trovano ancora degli affreschi della Madonna e dei vescovi Nicola e Leone il Taumaturgo.
Dal XI secolo fino al Rinascimento, la struttura fu usata come Necropoli, tant’è che si possono notare ancora scheletri umani all’ingresso del sito. Nel 1169, però, ci fu un terremoto che provocò gravi danni e l’edificio subì ulteriori modifiche. Infatti, vi sono dei nuovi affreschi della Vergine, tutt’ora visibili, che risalgono al XVII secolo.Nel XVI secolo cominciarono dei lavori di costruzione nell’area circostante, che celarono completamente la struttura. Nel 1693 l’edificio fu fortunatamente risparmiato da un forte terremoto e non subì danni, ma purtroppo durante i bombardamenti del 1943 fu gravemente danneggiato. Così, la chiesa venne chiusa al culto, ma negli anni Cinquanta vennero effettuati degli scavi, con cui furono riportati alla luce numerosi parti del complesso.
Infine, dal 2004 al 2008 vennero effettuati nuovi scavi, che portarono al rinvenimento della struttura, al fine di permettere la valorizzazione e la fruizione del complesso.
Dopo gli ultimi lavori, il complesso è stato aperto e chiuso al pubblico numerose volte, ma dal 2016 è stato riaperto definitivamente, grazie all’associazione Etna ‘ngeniousa. L’edificio, infatti, è aperto al pubblico il mercoledì e la domenica dalle 9.00 alle 13.00 e l’ingresso è gratuito.
Chiesa di Santa Maria della Rotonda: La struttura
L’edificio della chiesa presenta una pianta quadrata con due ingressi, una a sud che presenta un porta in calcare risalente al Cinquecento e una ovest, con una porta gotica in pietra lavica, che risale al Duecento. Vi sono, inoltre, due aree presbiterali. In una vi è un presbiterio, circondato da sinistri corridoi che fanno da deambulacro. Nell’altra, situata ad est, vi sono i resti di un piccolo catino absidale.
L’area circolare è circondata da enormi arcate, con accessi a delle nicchie che fungevano da cappelle. Sulla cupola, invece, vi è un lucernario che veniva usato come campanile. All’esterno, vi era una merlatura, che fu poi distrutta nei bombardamenti del 1943.
Chiesa Santa Maria della Mercede a Catania: Origine Storica
Le chiese costellano Catania in un numero inverosimile agli occhi del turista, che ne può incontrare nel suo pellegrinare di via in via e di quartiere in quartiere, di maestose o minute, stratificate per epoche, fastose o mistiche, svettanti o incastonate quasi nascoste negli edifici cittadini.Resistendo alle guerre, alle eruzioni laviche e ai terremoti, questo patrimonio architettonico, soprattutto barocco, affonda le sue radici nella corrente dei secoli che lega questa sponda dello Jonio al mondo greco.
La Chiesa Santa Maria della Mercede si inserisce a pieno titolo in questo connubio strettissimo e fecondo tra vita civile e vita religiosa. Anticamente, infatti, intorno al Settecento, una chiesa S. Maria della Mercede officiata dai padri Mercedari esisteva, non lontano dall’attuale chiesa. Nel secolo successivo l’inaugurazione del Viale Regina Margherita ne causò l’abbattimento. Su volere del Cardinale Dusmet, nel 1883, essa venne ricostruita in Via Caronda, 102.
Info: 095 502198
La leggendaria apparizione della Vergine a San Pietro Nolasco gli ispirò la fondazione di un ordine di religiosi. I mercedari oltre ai tre voti di povertà, obbedienza e castità, facevano voto di redenzione, col quale si impegnavano a sostituire con la loro persona i prigionieri in pericolo di rinnegare la fede. Per questo erano devoti a Maria, invocata con il titolo di Santa Maria della Mercede, dallo spagnolo merced a sua volta dal latino merces, è la Madonna della Mercede ovvero della misericordia o della grazia ricevuta.
Caratteristiche architettoniche e opere artistiche
La pianta presenta un’unica navata con presbiterio rettangolare ed abside semicircolare.
L’ immacolato soffitto a volta contiene l’unica navata che culmina con l’altare.
La facciata simmetrica e tripartita si sviluppa su due ordini.
La porta d’ingresso si trova al prim’ordine ed in corrispondenza dell’asse mediano.
In modo altrettanto simmetrico e centrale troviamo al secondo ordine entro una nicchia dipinta di azzurro una candida rappresentazione scultorea della Madonna con bambino.
Dalla balaustra di coronamento svetta la torre campanaria dipinta in cotto bruciato.
L’edificio ha una volumetria prismatica a base rettangolare adiacente al muro di controfacciata, con articolazione su due livelli, il vestibolo al piano terreno e la superiore cantoria. La navata presenta una copertura in coppi a due falde su orditura lignea, ad una quota più bassa sul presbiterio e a due displuvi sull’abside. Una scala interna di brevi rampe collega la cantoria ed il campanile, le prime quattro rivestite in marmo raggiungono la cantoria, seguono dieci rampe grezze in muratura sino al campanile. Una scala esterna di cinque gradini in basalto lavico consente l’accesso al sagrato.
Il pavimento della navata è costituito di mattonelle in marmo grigio, bianco, rosso, accostate a disegni geometrici, mentre più essenziali mattonelle di marmo grigio e bianco sono disposte a scacchiera nel presbiterio fino al sagrato rivestito con lastre in basalto lavico.
Tra i dipinti di maggior rilievo, nella prima arcata di destra, la tela della Madonna della Mercede con S. Pietro Nolasco.Qui la Madonna, a differenza della Madonna con bambino in facciata, indossa i classici colori della iconografia cattolica con veste azzurra e mantello rosso. Nelle chiese intitolate alla Madonna della Mercede di solito ha la tunica, lo scapolare ed il mantello bianchi come l’abito dei Mercedari.La muratura dell’edificio è strutturata in conci di basalto lavico e malta mentre la facciata è in pietra calcarea. Quando visitarla
Giorni feriali: 18.00
Sabato e giorni prefestivi: 18.30
Domenica e giorni festivi: 10.30 – 20.00
La commemorazione dell’apparizione della Vergine della Mercede a san Pietro Nolasco si celebra il 10 agosto.
La festa della Beata Vergine della Mercede è collocata dalla Chiesa cattolica il 24 settembre. Perché visitarla
La candida Madonna con bambino entro la nicchia a fondo celeste in facciata, il soffitto immacolato della navata che contrasta col calore cromatico dei coppi e del peculiare pavimento a scacchiera, fanno di questa chiesetta, secondaria rispetto a chiese più maestose, una piacevole sorpresa nella quale imbattersi per una pausa accogliente e morbida di misticismo e praticità, senso del sacro e modernità.