San Pietro Clarenza è un comune siciliano di 8149 abitanti.
Cittadina con una grande rilevanza di attività agricola, dedita alla produzione di vino, olio di oliva, agrumi e frutta, viene apprezzata e conosciuta anche per la sua arte tradizionale ed artigianale del ricamo.
La sua storia ci riporta ad un patrimonio architettonico del tardo barocco, con monumenti e Chiese degne di visite turistiche, e di attenzione da parte di coloro che hanno bisogno di ritrovare una cultura millenaria e storica.
Ma quali sono le cosa da visitare a San Pietro Clarenza?
Scopriamolo insieme.
Comune di San Pietro Clarenza: Il Calvario
Nel quartiere di Sant’Antonio si poteva trovare un altarino dell’800 costituito da tre nicchie, che ospitavano il Crocifisso, l’immagine di S. Giuseppe e della Madonna.
Nel 1964 ormai diroccato, viene sostituito da una Croce in Bronzo e due statue in terracotta dell’Addolorata e S. Giovanni.
La forte tradizione regionale vuole che proprio qui si concluda la processione della Via Crucis.
Rimane un posto suggestivo dove i fedeli si assembrano per pregare.
San Pietro Clarenza: Caseggiato Mannino
Questo edificio, affacciato su Piazza della Vittoria, è la dimora in cui abitò il Cavalier Antonio Mannino, un complesso storico di ben 14 stanze che oggi racchiude anche la biblioteca comunale.
Il Caseggiato Mannino è in assoluto l’edificio più antico di tutta la cittadina di San Pietro Clarenza.
Chiesa di San Gaetano
Ogni quartiere di questo comune ospita una sua Chiesa. Situato a via Timpa e mostrando ancora il suo aspetto rurale, questo edificio sacro è l’ampliamento di un’antica edicola votiva. Presenta una struttura composta dai blocchi tipici di pietra lavica e malta.
La Torre
La Torre era il punto più alto del Feudo di Clarenza e per questo veniva usata come vedetta. Rovina storica dal grande fascino situata in Via Rimembranze.
Chiesa Santa Maria delle Grazie
Edificio di culto in stile barocco, si trova alle spalle di un antico convento francescano sconsacrato .
Da non perdere l’osservazione dei bellissimi affreschi e delle decorazioni interne che riportano caratteristiche del settecento.
La Casa Rurale
Fra le cinque cose da visitare in questo Comune ai piedi dell’Etna, non può di certo mancare la Casa Rurale, la strutture domestica di San Pietro Clarenza. Nonostante non abbia complessi elementi artistici o architettonici, rimane un luogo di grande interesse per la funzionalità e la semplicità, caratteristiche molto diverse da quelle che troviamo di solito nei monumenti siciliani.La storia e la cultura religiosa sono i punti cardini di questa piccola città.
Grazioso piccolo paese situato in provincia di Catania, abitato da meno di 20.000 persone, Aci Sant’Antonio si caratterizza per i viottoli stretti e le botteghe caratteristiche che vendono artigianato locale ma soprattutto ottime specialità enogastronomiche tipiche.
Celebre anche nell’antichità, Ovidio e Virgilio attribuirono la fondazione del luogo al mito della storia d’amore tra la ninfa galatea ed un pastorello chiamato appunto Aci.
Si tratta di uno dei borghi più belli d’Italia, oggi meta di numerosi turisti per la bellezza e la diversità delle numerose chiese storiche che ospita, oltre che per piccoli musei locali e gradevoli da visitare.
Sarà divertente trovare un momento per visitare questo luogo durante una vacanza in Sicilia, percorrendo le suggestive viuzze del centro storico e godendo dell’architettura tipica di questa regione.
Le 5 migliori attrazioni di Aci Sant’Antonio
Comune di Aci Sant’Antonio: Il Museo del carretto siciliano
Questo polo culturale è dedicato al simbolo per eccellenza dell’isola, declinato in ogni misura e colore ed acquistato ogni anno da milioni di turisti nei negozi di souvenir. Nel museo è possibile ripercorrerne la storia dalle origini ai giorni nostri, ammirando pezzi antichi e moderni per la raffinata fattura e le tecniche di lavorazione artigianali.
Lo scopo è quello di tramandare anche ai più giovani le tradizioni del passato, per evitare che si perdano le radici di un luogo così ricco di storia e folklore.
Aci Sant’Antonio: Chiesa Madre di Sant’Antonio Abate
Dedicata al Santo patrono del luogo, si tratta dell’edificio di culto più importante di tutto il paese.
L’imponente facciata in marmo bianco nasconde una meravigliosa decorazione all’interno, formata da altari e cappelle, in particolare quella intitolata proprio ad Antonio Abate.
Si tratta di una chiesa semplice ma al contempo maestosa, occupata da un piccolo museo interno che ne propone la storia, anche a seguito della ricostruzione dopo essere stata colpita da un fulmine.
Chiesa di San Michele Arcangelo
Parliamo in questo caso di un edificio storico antico, come attesta un documento rinvenuto che la colloca ad una data molto anteriore al 1600, quando venne distrutta da un terremoto e ricostruita come la possiamo ammirare ancora oggi.
Tuttavia nel 2018 ul ulteriore sisma ha provocato altri danni, che ne hanno richiesto una successiva ristrutturazione.
L’edificio si compone di tre navate divise da colonne, che culminano in un altare di medie dimensioni; è una struttura semplice ma comunque suggestiva, che merita una visita accurata durante il tour del piccolo borgo.
Chiesa di San Biagio
Ancora una volta un edificio religioso, realizzato per il volere dell’antica Confraternita delle anime del purgatorio nel 1592; la cupola venne costruita alla fine del 1700, mentre il prospetto e il campanile sono collocabili intorno al XIX secolo.
L’interno, dalla pianta centrale, è finemente decorato con sculture e fregi marmorei, oltre che da colonne in stile dorico che ornano un unico spazio privo di divisioni.
Si tratta pertanto di una struttura molto diversa dalle precedenti, in grado di ammaliare il visitatore grazie alla cura dei dettagli e alla maestosità dello spazio dedicato ai fedeli.
Chiesa della Madonna della Mercede
Potrebbe sembrare esclusivamente una visita a sfondo religioso, ma queste chiese sono talmente particolari e diverse tra loro che sarebbe impossibile visitare Aci Sant’Antonio senza vederle tutte.
Nel caso specifico, la stessa è dedicata al culto mariano ed è stata costruita nel 1729.
Differente dalle altre per la facciata più semplice priva di decori, al suo interno ospita meravigliose immagini della Madonna.
Lorenzo Urciullo e Antonio Di Martino, in arte Colapesce e Dimartino, non li scopriamo certamente oggi. I due brillanti artisti siciliani hanno alle spalle, oltre che un decennale percorso da solisti, oltretutto una profiqua collaborazione, che li ha visti impegnati anche in altri pezzi (qualcuno ha detto Noia mortale?) e che li ha visti incidere insieme un album, “I mortali”. Eppure, come spesso accade in questi casi, il palco di Sanremo li ha portati alla ribalta per il grande pubblico. In particolare, la loro Musica Leggerissima, brano brillante e argentino quanto profondo, ha dapprima convinto la critica e ora sta spopolando sul web. Un vero e proprio fenomeno di massa, che non toglie però i meriti al duetto tutto siciliano.
Sanremo, Musica leggerissima conquista i giornalisti di settore
E così, sul palco dell’Ariston, Colapesce e Dimartino hanno convinto soprattutto la stampa, che li ha votati in massa: «Noi siamo già vincitori del festival, va bene così – hanno dichiarato all’AGI – la gara non c’entra, non ce ne frega niente». Eppure, anche la gara è andata benissimo: 4 posto in classifica e applausi a scena aperta per i due artisti siciliani. Una canzone che, come loro stesso hanno raccontato, propone «un suono catchy che cela un testo interessante, che parla di dolore e buio». Questo è infatti l’ipnotico e cruciale ritornello della canzone:
“Metti un po’ di musica leggera
Perché ho voglia di niente
Anzi leggerissima
Parole senza mistero
Allegre, ma non troppo
Metti un po’ di musica leggera
Nel silenzio assordante
Per non cadere dentro al buco nero
Che sta ad un passo da noi, da noi
Più o meno”
Come gli stessi cantanti hanno dichiarato a Fanpage.it «Una cosa che non volevamo fare era un disco sul lockdown, però in qualche modo racconta uno stato d’animo, qualcosa che la pandemia ha scatenato, la depressione. Questa canzone è venuta anche da un confronto con persone che hanno affrontato questo periodo manifestando questo disturbo».
Musica leggerissima: un successo indiscusso in radio
Una pezzo che dunque parla di temi profondi con un suono accattivante, o che accosta un suono accattivante o parole che solo apparentemente sono leggere. O più semplicemente, un’opera complessa, stratificata, con tanti punti di vista, sulla quale rimane però un giudizio di merito univoco, pienamente ripreso dal web: Musica leggerissima infatti è la canzone più trasmessa dalle radio italiane secondo la classifica Earone. Sono quattro infatti le canzoni “uscite” dal Festival che attualmente si trovano in top 10, e fra queste il brano di Colapesce e Dimartino è il primo. Seguono “Chiamami col tuo nome” di Francesca Michielin e Fedez (attualmente in settima posizione), con la nona posizione occupata da “Cuore amaro” di Gaia e l’ultima posizione utile per la top ten presa da “Glicine” di Noemi. “Zitti e buoni” dei Maneskin, che ha invece vinto il Festival, è invece undicesima, appena fuori dai primi dieci.
Il video di Musica Leggerissima, ironico e profondo come ce lo aspetteremmo, è prodotto da Ground’s Oranges con la regia di Zavvo Nicolosi. Il riferimento a Pippo Baudo è tanto visibile quanto dichiarato nei credits di Youtube.
Musica leggerissima alla conquista del web
Insomma, indiscusso successo per la critica, ossimorico “tormentone” senza sofferenza sulle radio, rimane la consacrazione del web. E’ sulla rete che si gioca l’ultima partita per tutte le odierne canzoni, le quali possono ricevere dal mondo di internet un ulteriore “boost” al loro successo (come accadde, per esempio, al successo planetario del 2012 Gangnam Style. In tal senso, non solo Musica leggerissima sta scalando le classifiche di Spotify, ma sta diventando virale anche per quanto riguarda i video e i meme.
Per dire, proliferano i video di questo tipo on line:
Insomma, Musica leggerissima ha conquistato veramente tutti e noi non possiamo che essere felici che due eccellenze tutte siciliane, come Colapesce e Dimartino, stiano ottenendo un così meritato successo.
In bocca al lupo, ragazzi!
Il 2020 è stato un anno decisamente particolare e il 2021 non si preannuncia molto diverso. Gran parte delle nostre abitudini sono state cambiate e, con esse, anche ricorrenze e festività hanno mutato il loro volto. A questa particolare congiuntura non si è potuto sottrarre nemmeno il Carnevale, festività solitamente portatrice di sorrisi, di coriandoli, di gioia. Ogni cosa è stata rinviata a un momento migliore; la pausa ha però offerto la possibilità di fermarsi un attimo a riflettere su quello che è cambiato, ma anche su ciò che è stato.
Abbiamo così deciso di raccogliere e pubblicare una testimonianza di una nostra lettrice, che ci ha raccontato di un’usanza carnascialesca che ha preso piede anche in territorio etneo, oltre a essere diffusa in tutta Italia. Questa peculiarità del Carnevale che fu è ormai andata perduta ma, appunto, ha ritrovato spazio sulle pagine informatiche di questo blog e si offre a una nuova lettura.
Dominò: la perduta usanza delle maschere di Carnevale
“Era il martedì grasso del 2021, il mondo fermo per una pandemia, le strade vuote in
un silenzio assordante interrotto dai sibili di Burian, il vento gelido di origini
siberiane.
Era il momento in cui ognuno di noi realizzava, ancora una volta, le conseguenze di
questo nemico invisibile chiamato coronavirus e si abbandonava ai ricordi.
Fu quel pomeriggio che mia madre mi disse: «ti ho mai raccontato di quella volta che
mi vestii da dominò?» «Dominò?» risposi «Mai sentito pronunciare, cos’è?» Così iniziò il suo racconto. Dalla fine del 1800 circa e fino alla fine degli anni 60, per carnevale le donne si travestivano o, almeno, si “oscuravano” in un abbigliamento che impediva loro di
essere riconosciute.
In questa rinata forma di libertà esse erano libere di uscire per le strade senza essere
accompagnate da un uomo e soprattutto erano libere di sceglierne qualcuno per
… andare in qualche bar e farsi comprare dolciumi varii! Addirittura, era loro
permesso di prendere qualche uomo sottobraccio – naturalmente senza poter
parlare altrimenti sarebbero state riconosciute a scapito della loro buona
reputazione.
Dominò: il costume perduto da Carnevale
Il costume da dominò era formato da un vestito di raso nero, lungo fino ai piedi, sufficientemente largo da permettere di indossare qualche maglione in più ma
soprattutto ampio tanto da mascherare qualsiasi forma di femminilità.
La testa veniva ammantata da un cappuccio che continuava in una mantellina, sempre di
raso nero ma stavolta rivestiti da raso colorato, unico vezzo, insieme a qualche
lustrino o rifinitura dorata, di un abito quasi inquietante come le nere e misteriose
figure che si aggiravano per le strade dei “carnevali” che furono.
Anche il volto, naturalmente, veniva coperto. Erano mascherine con veletta a
ricoprire anche la bocca che completavano l’abbigliamento, insieme a guanti e
borsetta, quest’ultima praticamente un sacchetto che serviva a riporre cioccolatini,
significativi Baci Perugina che lasciavano intendere qualche sentimento represso.
Quando mia madre si vestì da dominò aveva 14 anni, una sua amica la invitò in
questa “avventura” e le prestò anche il costume.
Mi raccontò che l’elastico del cappuccio era troppo stretto e che,scendendole sul volto,
le abbassava la mascherina perciò spesso non vedeva più niente.
Non solo, era anche piuttosto timida e maldestra nel non farsi riconoscere, nonostante
tutto portò al bar il ragazzo che in quel periodo le faceva battere il cuore e stare
sottobraccio con lui fu più dolce di tutti i prodotti del bar di quella sera.
Peccato che l’indomani a scuola lui confessò di averla riconosciuta! «Ma che dici»
rispose mia madre tra lo stupore e l’imbarazzo «Come potevi riconoscermi, niente di
me era visibile!»
«…e tu pensi che non avrei riconosciuto due occhi così?»
Dopo il fallimento di quest’esperienza, come si può capire, mia madre non si vestì
più da dominò. Questo anche perché i costumi cambiarono: era il 1969 e l’eco dei rinnovamenti del ’68 tendeva a liberare le donne da tanti condizionamenti.
Fu così che gli abiti da dominò furono prima conservati e poi dimenticati.” Crediti a Rosaria Guarrera per la testimonianza
Ci siamo: è arrivato San Valentino 2021! La festa degli innamorati è, in genere, una celebrazione che si ama o si odia. C’è chi attende questo giorno pianificando minuziosamente come vivere questo giorno in coppia e chi invece la ritiene una festa adatta solo a vendere cioccolatini. San Valentino è proprio come il sentimento che celebra: o si ama, o si odia. In quest’anno però, in cui abbiamo imparato ad apprezzare anche le piccole cose che prima davamo per scontate, anche la festa degli innamorati è cambiata insieme alle nostre abitudini. Il Covid19 ci ha infatti costretto a lunghi periodi di lockdown, costringendo molte coppie – anche non eccessivamente distanti fisicamente – a sperimentare una nuova condizione.
San Valentino: le origini e le usanze della festa
Le origini della festa di San Valentino sono molto antiche e risalgono al 496, quando papa Gelasio I sostituì la precedente festa pagana dei lupercalia con una di indole cristiana.
I lupercalia erano celebrazioni con un’antica tradizione, inneggianti il ciclo continuo della vita e della morte, ma anche la distruzione dell’ordine come strumento per la rinascita e la purificazione. Anche per questo motivo tipici di tali feste erano cortei in maschera, processioni e giochi legati al mondo delle pulsioni e degli istinti – tradizioni in qualche modo sopravvissute nel Carnevale.
Tali festività, certamente più legate alla cultura pagana anche per il loro collegamento alla parte più sensuale e istintuale dell’uomo, furono come spesso accadde sostituite da una festa cristiana. In particolare, è riconducibile a papa Gelasio I l’istituzione di una festività dedicata all’amore romantico, privo della suo connotazione più sensuale e corporea – seppure inteso, nel solco della tradizione biblica, come finalizzato alla riproduzione.
E’ probabile che solo in un secondo momento la festa sia stata associata alla figura di San Valentino, quando a questo Santo è stata ricondotta l’usanza di vederlo come protettore degli innamorati e dell’amore. A lui è infatti attribuita una leggenda secondo la quale il santo avrebbe preservato l’amore di una ragazza facendole dono di una somma, in qualità di dote, necessaria a convolare a giuste nozze. Questo avrebbe preservato la fanciulla dalla perdizione, permettendole di sposarsi – dato che costei era priva di altri mezzi – e di sfuggire a un destino fuori dal vincolo benedetto. Da questo primo dono d’amore sarebbe dunque nata la tradizione di portare un regalo, in occasione di San Valentino, al proprio amato o alla propria amata.
San valentino 2021: come vivere la festa degli innamorati durante gli anni del Covid
Come abbiamo detto, l’emergenza epidemiologica non solo ci ha spesso arrecato gravi dolori, ma ci ha anche costretto a cambiare le nostre preziose abitudini. In questo caso, ha anche tolto a molte coppie la possibilità di vedersi per lungo tempo. Chissà quante, oggi, saranno costrette a festeggiare a distanza questo San Valentino. Ma niente paura: fortunatamente, esistono oggi tantissimi modi per sentirsi vicini nonostante la distanza fisica!
Il primo è ovviamente quello di ricorrere a una videochiamata: questo potente strumento, ormai di fatto entrato a far parte delle nostre vite, è una potente risorsa anche per gli innamorati. Non solo potete passare del tempo con la persona che amate, ma anche condividere una vera e propria cena: in questo senso, una possibilità di regalo è proprio quello di far recapitare a domicilio un romantico menù, ovviamente da gustare rigorosamente insieme in smartlove.
Non volete rinunciare alla tradizione del regalo? Siete degli amanti del classico e per voi San Valentino è soprattutto fiori e cioccolatini? Ebbene, tantissimi servizi offrono consegne a domicilio di prodotti romantici. In particolare i fiori, molto delicati, sono la specialità di diversi professionisti.
Ci sono anche però idee anche meno convenzionali: è possibile replicare la sensazione di una serata al cinema insieme scegliendo un film da condividere, le piattaforme di streaming offrono tantissime soluzioni in merito. Potete anche scegliere di creare insieme una playlist in cui inserire le vostre canzoni preferite tramite Spotify, qualcosa che potete cantare insieme o da ascoltare separatamente che vi ricordi l’uno dell’altra.
Ma potete anche optare per regali più classici: una bellissima lettera scritta a mano o qualcosa fatto da voi, magari con una leggera spruzzata del vostro profumo per ricordare a chi amate quanto gli mancate.
La fantasia non è mai mancata a coloro che amano e fortunatamente, nonostante tutti i problemi dovuti al periodo, la tecnologia accompagna anche coloro che amano in questo difficile momento.
Sarà difficile tornare alla normalità della foto precedente, ma presto potrebbe essere fatto un ulteriore passo in questa direzione. Stando alle parole del presidente Musumeci in conferenza stampa a Palermo i dati sarebbero molto confortanti: sarebbero infatti in diminuzione sia il numero dei ricoveri (anche in terapia intensiva), sia quelli dei contagiati. Inoltre, la Sicilia fa segnare un Rt intorno allo 0,60 (anche se ancora non ufficiale), un numero di per sé già sufficiente a rientrare nella zona gialla – tuttavia, la zona arancione deve durare, secondo le disposizioni dei vari Dpcm almeno due settimane.
Questo il motivo per cui, almeno fino a domenica, ci si aspetta una zona arancione per poi rientrare in zona gialla da lunedì mattina. Ma potrebbe esserci una sorpresa, nel caso in cui il governo dovesse accogliere la proposta del governatore Musumeci: «Ho buoni motivi per pensare che col dato ufficiale di domani potremo chiedere al governo non solo l’introduzione della zona gialla, mi piacerebbe se il ministro ci autorizzasse a consentire ai ristoratori e a chi somministra cibo di potere tenere aperti i locali per questo fine settimana fino alle 22, in occasione della festa di San Valentino».
Una vera e propria boccata d’ossigeno per la martoriata economia della ristorazione siciliana che potrebbe, approfittando della celebre festa degli innamorati, provare a ripartire in sicurezza. Sarebbe una vera e propria eccezione alla regola, come sottolinea Musumeci stesso: « Noi chiederemo la deroga soltanto in occasione della festività di San Valentino. Poi la zona gialla sarà disciplinata dalle disposizioni nazionali e soprattutto dal nuovo governo.»
Una richiesta, quella del governatore, che non è frutto solo della riflessione del presidente della regione ma anche delle spinte e delle pressioni da parte di Confindustria Sicilia ma anche di Confcommercio e artigiani, sensibili all’avvicinarsi non solo del weekend di San Valentino ma anche delle festività carnascialesche, altro momento favorevole per una possibile ripartenza.
Coronavirus Sicilia: Musumeci vuole la zona gialla ma resta prudente
Nonostante le richieste espresse in prima persona al governo, Musumeci ha mostrato una
Ma Musumeci pur non escludendo questa eventualità aveva tuttavia invitato alla prudenza. In particolare, preoccupano le varianti del Covid-19 (principalmente quelle inglesi e africane), per le quali Musumeci ha dichiarato che «siamo in stato di allerta. Ma in Sicilia non si segnalano particolari presenze, per fortuna, e mi auguro che non debbano essercene perché se continueremo a difendere questo dato epidemiologico credo che, fra marzo e aprile, potremmo avviarci lentamente a una condizione di normalità».
Inoltre, l’invito alla prudenza è d’obbligo anche per sventare il rischio di un possibile ritorno alla zona arancione: «Se il dato dovesse mutare, purtroppo, da Roma e dal Comitato scientifico arriverebbero le richieste di tornare a misure più restrittive quindi, riapriamo lentamente con la massima prudenza e cautela».
Discorso vaccini: riguardo la possibilità per la regione di acquistare autonomamente dosi di ulteriori vaccini, Musumeci ha fatto intendere che non vi riscontrerebbe un problema. «Siamo tutti interessati ad accelerare la somministrazione di vaccini alla maggioranza dei siciliani. Ma come sapete non si può procedere autonomamente senza la relativa autorizzazione. Qualora dovesse arrivare non avremo difficoltà a procedere».
Sant’Agata 2021: l’ottava resta “blindata”
Chi invece non ha potuto comunque approfittare di questa diminuzione nei contagi sono i fedeli di Sant’Agata, costretti ancora una volta a fare i conti con le misure restrittive dovute all’emergenza epidemiologica. Anche l’ottava verrà infatti festeggiata “a porte chiuse”, con l’arcivescovo Salvatore Gristina che presiederà le celebrazioni liturgiche conclusive della ricorrenza agatina intorno alle 19. Unica presenza nella chiesa quella del sindaco Salvo Pogliese, in rappresentanza dei cittadini catanesi e dei devoti, come già accaduto il 4 e 5 febbraio scorsi. E proprio il sindaco, in accordo con l’arcivescovato e il comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, ha disposto la nuova chiusura di piazza Duomo, dalle 7 alle 22 di oggi, per scongiurare possibili assembramenti. Sarà tuttavia possibile attraversare la piazza e accedere agli esercizi commerciali e alle abitazioni private, ma non sarà possibile altresì sostare in piazza.
La Sicilia potrebbe tornare presto a vestirsi di giallo, abbandonando anche l’arancione dopo il rosso. In effetti, l’indice Rt in calo (0.73) non solo giustifica un motivato ottimismo, ma in realtà autorizzerebbe anche oggi stesso il passaggio a zona gialla, visto che la soglia di quest’ultima zona è inferiore all’1.
Tuttavia, per tornare alla zona gialla, si dovranno attendere che terminino le canoniche due settimane disposte dai vari Dpcm per le zone arancioni. Essendo in Sicilia la zona arancionecominciata l’1 febbraio, si dovrà dunque attendere il 15 – il giorno successivo a San Valentino, purtroppo per tutte le coppie e gli innamorati, che dovranno aspettare il giorno successivo per festeggiarlo più liberamente.
I dati sono dunque molto positivi, soprattutto se si considera che attualmente la Sicilia risulta addirittura sotto la media nazionale che è dello 0,84. Una prova che il ritorno alla zona rossa di queste settimane abbia sortito i suoi effetti?
Cosa comporterebbe la zona gialla?
Ma cosa potremmo tornare a fare in zona gialla?
Spostamenti:
Permarrebbe il divieto di circolazione, il cosiddetto “coprifuoco”, dalle 22 alle 5 del mattino, salvo comprovati motivi di lavoro, necessità e salute, insieme alla raccomandazione di non spostarsi se non per gli stessi motivi. Tuttavia, sarebbe possibile tornare a spostarsi da comune a comune – e, in base alle specifiche ordinanze, anche possibilmente fra regioni.
Scuola:
La didattica ormai si avvia verso un rientro alla normalità: come sappiamo, già da questa settimana gli istituti superiori di secondo grado torneranno a fare lezione in presenza, seppure in una variabile fra il 50% e il 75%. Con il rientro alla zona gialla è prevedibile un rientro totale alla lezione in presenza e la dismissione totale della Dad.
Trasporti:
E’ possibile, stando anche alle aree gialle precedenti, che il trasporto pubblico rimanga limitato al 50%, sempre a eccezione dei mezzi di trasporto scolastici.
Altre attività:
E’ possibile che si riaprano teatri, musei, mostre e cinema in un solo giorno della settimana (il venerdì). Rimarrebbero invece chiuse sale giochi, sale scommesse, bingo e slot machine – anche nei bar e nelle tabaccherie. Centri commerciali chiusi nei giorni festivi e prefestivi ad eccezione delle farmacie, parafarmacie, punti vendita di generi alimentari, tabaccherie ed edicole al loro interno.
Bar e ristoranti:
Potrebbero finalmente tornare a riaprire bar e ristoranti, seppure fino alle 18. L’asporto rimarrebbe comunque fattibile sino alle 22 e non ci sarebbero restrizioni per la consegne a domicilio.
Palestre:
Da valutare invece la questione delle palestre, per le quali bisognerà inoltre considerare il mutamento del panorama politico.
Il timore delle conseguenze dei “festeggiamenti di Sant’Agata”
Tuttavia, nonostante i dati al momento siano molto positivi, rimane alta la soglia di attenzione specie nel catanese, dove si stanno concludendo proprio in questi giorni i festeggiamenti in onore della Santa patrona.
Come abbiamo riportato nel programma di Sant’Agata 2021 quest’anno proprio a causa dell’emergenza sanitaria è stato necessario optare per una celebrazione “a porte chiuse”. Come annunciato, la Cattedrale era rimasta chiusa nel corso delle celebrazioni più importanti, insieme a piazza Duomo. Una decisione del sindaco concordata con il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Pubblica Sicurezza per evitare l’avvicinamento delle persone nella zona della Cattedrale. Inoltre, la questura aveva predisposto, a seguito delle indicazioni Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica tenuto qualche giorno fa in prefettura, una serie di presidi mobili atti a prevenire ogni possibile assembramento. Questi presidi, definiti dal capo di gabinetto della questura Francesco Fucarini “puntellamenti”, sarebbero stati presenti sia nella zona fra Villa Bellini e piazza Università, sia nelle strade minore che conducono a piazza Duomo.
Una misura che era sembrata funzionare, e che aveva consentito un sereno svolgimento delle celebrazioni legata alla Santa patrona.
Tuttavia, circolando sul web, è ancora possibile imbattersi in scene come questa: foto di Carmelo Caccamo
Una situazione che ricorda inquietanti precedenti e che sottolinea, ancora una volta, come basti abbassare un attimo la soglia di controllo per rischiare molto. Anche in questo caso, tuttavia, le conseguenze di questi gesti saranno visibili solo fra due settimane: magari i catanesi intendono affidarsi, anche in questo caso, alla protezione della Santa – chissà se questa volta Agata sarà d’accordo.
Ce l’aspettavamo così, come ogni anno, come nella foto. Ma che sarebbe stata una celebrazione anomale, completamente stravolta in ogni suo aspetto dalle norme per il contenimento dell’emergenza sanitaria causata dal Covid, lo si era prospettato. Misure necessarie data la situazione attuale – e l’anno appena trascorso- che stridono con la natura della celebrazione della Santa, momento di comunione da vivere insieme alla propria città. In quei giorni infatti Catania sembra animarsi e respirare all’unisono, un solo corpo e una sola anima votati alla Santa.
Sant’Agata 2021: le porte chiuse e i “puntellamenti” funzionano
Come è stato annunciato precedentemente, quest’anno invece non la Cattedrale nel corso delle celebrazioni più importanti, ma anche piazza Duomo resterà chiusa. Una decisione del sindaco concordata con il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Pubblica Sicurezza per evitare l’avvicinamento delle persone nella zona della Cattedrale. Inoltre, la questura aveva predisposto, a seguito delle indicazioni Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica tenuto qualche giorno fa in prefettura, una serie di presidi mobili atti a prevenire ogni possibile assembramento. Questi presidi, definiti dal capo di gabinetto della questura Francesco Fucarini “puntellamenti”, sarabbero stati presenti sia nella zona fra Villa Bellini e piazza Università, sia nelle strade minore che conducono a piazza Duomo.
Ebbene, il cospicuo dispiego di forze dell’ordine pare star funzionando. Stamattina non si è verificato alcun assembramento durante la messa dell’Aurora, tenutasi dentro la Cattedrale chiusa e alla presenza di poche persone. Inoltre, i pochi devoti che avevano comunque raggiunto porta Uzeda vestiti del tradizionale sacco devozionale sono stati invitati a sgomberare la zona e a non radunarsi negli altri varchi.
Sant’Agata 2021: la messa dell’Aurora
Eppure, come riportato anche dal programma di Sant’Agata 2021, quest’anno la festa è completamente differente. A “porte chiuse” la gran parte delle celebrazioni, visibili in streaming – insomma, una festa in smart-working. Sia le celebrazioni del 3 che la messa dell’Aurora, uno dei picchi spirituali ed emotivi della festa, si sono tenuti in una cattedrale chiusa al pubblico. Pochissime persone, fra cui il Sindaco Pogliese, hanno dunque assistito all’esposizione sull’altare del busto reliquiario della Santa, portato fuori dal sacello. Annullata la tradizionale processione del fercolo che comincia il 4 mattina e finisce con le prime luci del 5.
Dal canale Youtube dell’Arcidiocesi la messa dell’Aurora
Riportiamo in maniera integrale il testo dell’omelia del vescovo Salvatore Gristina, rilasciata dall’Arcidiocesi di Catania . «Fratelli e sorelle, Nel tradizionale programma della festa di Sant’Agata, la Messa dell’Aurora del 4 febbraio ha sempre avuto una caratteristica importante che l’ha resa unica. I devoti hanno atteso durante la notte l’apertura della Cattedrale per vivere il primo incontro con la Santa Patrona, per vederla in volto e per incrociare con gioia il suo sguardo. In questo contesto tutti ci siamo tanto impegnati affinché questo momento di intensa devozione agatina diventasse sempre più sentita e fruttuosa partecipazione alla Santa Messa. Ed infatti, oggi riconosciamo che la Messa dell’Aurora del 4 febbraio costituisce davvero una celebrazione esemplare. E Sant’Agata di tutto ciò è stata ed è veramente contenta. Pure quest’anno avremmo vissuto questo momento bello, unico e partecipato. Ed invece, a causa della pandemia, la Cattedrale è vuota – e vi assicuro che ciò è veramente impressionante – perché non c’è la presenza devota dei fedeli. Tra le tante privazioni causate dalle difficoltà in corso, l’impossibilità di partecipare di presenza quest’anno alla Santa Messa dell’Aurora è certamente quella che più ci arreca dispiacere. Offriamo al Signore questa sofferenza con la speranza che, per l’intercessione di Sant’Agata, essa affretti il ritorno alla possibilità di onorare la Santa Patrona come lei merita e come noi desideriamo intensamente. Il collegamento via streaming offre la possibilità di vedere Sant’Agata ed è giusto che il nostro sguardo si fissi su di lei. Ma, e lo sappiamo bene, anche quando abbiamo visto di presenza la Santa concittadina, lei ci ha invitati ad imitarla in quello che sempre faceva: guardare Gesù, per amarlo sempre più. Anche adesso Agata ci rivolge lo stesso invito e noi vogliamo accoglierlo lasciandoci guidare dalla Parola che abbiamo ascoltato. La prima lettura è tratta dalla Lettera agli Ebrei (12, 18-19.21-24). L’autore si rivolge a persone che vivevano fortemente l’esperienza del passaggio dall’antica alla nuova Alleanza. Nel testo si fa riferimento al momento in cui Dio offrì l’alleanza al popolo che aveva liberato dalla schiavitù dall’Egitto. E ciò avvenne con quelle impressionanti manifestazioni ricordate: fuoco ardente, oscurità, tenebra, tempesta, squillo di tromba. I cristiani, sia quelli cui si rivolgeva la Lettera, sia quelli di ogni tempo, sono invitati a credere che noi ci accostiamo a qualcosa di ben diverso: alla Gerusalemme celeste, alle migliaia di angeli, all’adunanza festosa di coloro che sono stati rigenerati in Cristo, agli spiriti dei giusti. Il centro di tutto è Gesù, mediatore dell’alleanza nuova che nasce dal suo sangue purificatore. Se guardiamo con attenzione, con gli occhi della fede scorgiamo nell’adunanza festosa dei redenti la nostra amata Sant’Agata, redenta dal sangue di Cristo, unita a Lui con quell’amore straordinario che le permise di offrire la sua giovane esistenza all’amato Gesù. Noi, in questo momento ci accostiamo a Gesù. Infatti, è Lui che ci ha convocati per incontrarlo ed accoglierlo in noi, ed anche se non possiamo riceverlo nella comunione sacramentale, possiamo valorizzare la opportunità di riceverlo spiritualmente. Se ci è possibile, oggi stesso o domani, solennità di Sant’Agata, partecipiamo alla Santa Messa in una chiesa per ricevere il corpo del Signore. L’incontro con Gesù deve farci provare la stessa gioia che provava Agata. Alla gioia dell’incontro è associata quella di ricevere ancora una volta la stessa missione che Gesù diede ai Dodici, come ci ha ricordato la pagina del Vangelo di Marco (6, 7-13). La missione è descritta con uno stile particolare che noi possiamo esprimere con le indicazioni che frequentemente Papa Francesco ci ricorda. Gesù mandò i discepoli, li lanciò nelle prime esperienze missionarie. Il Papa ci ricorda che dobbiamo essere una “Chiesa in uscita”, non chiusa in se stessa, ma coraggiosa, per la forza dello Spirito Santo, nell’andare dappertutto per vivere e testimoniare il Vangelo. Gesù diede agli inviati il potere di affrontare e vincere le forze del male presenti in tante persone, ridando loro salute e piena dignità umana e spirituale. E in ciò possiamo vedere il rinvio all’espressione cara a Papa Francesco: la Chiesa deve essere un “ospedale da campo” dove vengono curate le ferite di ogni persona, sempre e particolarmente in questo tempo di pandemia e tutte le volte che le malattie fisiche o morali sfigurano la bellezza del volto delle persone create ad immagine del Signore. Gesù volle i primi Apostoli e gli inviati di sempre, liberi da quei legami che impediscono, o rendono più difficile, il compimento della missione evangelizzatrice e di servizio della promozione umana. Questa libertà, lo dobbiamo riconoscere, è quella più difficile da accogliere e da vivere: la libertà di essere una “Chiesa povera per i poveri”, secondo un’altra espressione di Papa Francesco. Al riguardo, non scoraggiamoci: è importante aprirci a questo discorso e incominciare a porre gesti, anche semplici, che siano testimonianza di condivisione e, quindi, di vittoria sulla bramosia della ricchezza e del successo a qualsiasi costo, compreso quello dello sfruttamento delle persone più sprovvedute di beni materiali, di cultura e di possibilità di riuscita sociale. Abbiamo in tutto ciò, sorelle e fratelli carissimi, la possibilità di una autentica nostra conversione personale che spinga quanti incontriamo a pensare che è possibile abbandonare le vie del male e incamminarci con decisione nella via della fraternità. A tal proposito, mi pare provvidenziale che quest’anno il nostro 4 febbraio agatino coincida con la celebrazione, per la prima volta, della Giornata della Fratellanza Umana. Accogliamo l’invito di Papa Francesco a pregare e lavorare ogni giorno dell’anno affinché tutti possiamo vivere insieme nel nostro mondo fraternamente ed in pace. Il Signore conceda a tutti noi devoti di Sant’Agata di vivere e di agire con questo stile. E così anche a noi potrà essere applicato l’elogio contenuto nella tavoletta di marmo posta da quel misterioso giovane accanto alla testa della defunta Agata: ebbe una mente santa, diede sempre spontaneamente onore a Dio, e perciò divenne ed è sempre liberazione della Patria, della nostra cara Catania e del nostro territorio».
Oggi è il 3 febbraio, un giorno importante per tutti i catanesi, un giorno che racconta una storia d’amore verso la propria patrona antichissima, che parla dialetto siciliano, che profuma di cassatelle. Un giorno che tutti i catanesi attendono per tributare il giusto omaggio a Sant’Agata, ma anche per reincontrarsi tra le strade della nostra bellissima cittadina.
Eppure, il 3 febbraio di quest’anno sarà tutto diverso. L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha costretto tutti a rivedere i propri piani e così anche nel frangente dei festeggiamenti per la Santa patrona si sono dovuti prendere i dovuti accorgimenti. Ne abbiamo parlato in Sant’Agata 2021: come cambia la festa della patrona , dove si sono visti tutti i cambiamenti – e le indicazioni dell’Arcidiocesi in merito di lunghe tradizioni come il sacco per la santa.
La comunicazione dell’Arcidiocesi
L’Arcidiocesi ha comunque fatto presente che, nonostante molte tradizioni della festa abbiano subito modifiche a causa del Covid, questo non deve far mutare ciò che i catanesi provano verso la festa. Al contrario, l’Arcivescovo ha aggiunto nel suo messaggio rivolto anche all’associazione Amici del Rosario e ai collaboratori del Maestro del Fercolo l’auspicio che «la privazione divenga possibilità, una risorsa per crescere nell’autentica devozione».
In tal senso, assumono un valore importante le parole scritte nel comunicato dell’Arcidiocesi in merito al tradizionale abito votivo indossato per la Santa, il sacco: «I fedeli che lodevolmente hanno indossato il sacco o che desiderano indossarlo quest’anno per la prima volta a seguito di un voto, lo indossino volentieri e chiedano la benedizione nella chiesa più vicina alla propria abitazione». Nella circolare si aggiunge inoltre come «indossare nei giorni di festa il sacco anche solo nella propria casa mentre si partecipa alle dirette on line delle varie celebrazioni, sarà un segno d’amore… Lontani da ogni esteriorità, risulterà più chiaro e più forte il motivo che ha ispirato il voto ed orienterà con maggiore profondità la preghiera di ringraziamento o di richiesta».
In aggiunta a ciò, monsignor Gristina aveva ricordato il legame fra Agata e la parola di Dio tramite Gesù, e ha aggiunto: «se vogliamo davvero imitare Agata, a leggere e ad approfondire il Vangelo».
Sant’Agata: chiude piazza Duomo dal 3/02 al 5/02
Com’era già stato preannunciato, non sarà possibile seguire di presenza le manifestazioni quest’anno e le celebrazioni liturgiche dei giorni più importanti saranno a porte chiuse. Anche per questo motivo, Piazza Duomo rimarrà chiusa dal 3 al 5 febbraio. Il sindaco Salvo Pogliese ha infatti disposto il divieto di stazionamento per le persone in piazza Duomo: il 3/02/2021 dalle 05 alle 12:00 e 5/02/2021 dalle 05 alle 15, un provvedimento preso «in considerazione della necessità di evitare fenomeni di assembramento, in particolare a piazza Duomo».
La decisione del sindaco, si sottolinea in una nota del Comune, è stata concordata con il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Pubblica Sicurezza e si aggiunge alle altre iniziative promosse dai competenti organi dello Stato per evitare l’avvicinamento delle persone nella zona della Cattedrale.
La Questura ha inoltre predisposto, a seguito delle indicazioni Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica tenuto qualche giorno fa in prefettura, una serie di presidi mobili atti a prevenire ogni possibile assembramento notturno in occasione della festività della santa. Proprio per questo motivo tali presidi saranno meno intensi, ma sempre presenti, anche nelle ore diurne: l’obiettivo è soprattutto quello di «consentire lo scorrimento degli eventi autorizzati ed evitare soprattutto gli assembramenti».
I presidi sono stati definiti dal capo di gabinetto della questura Francesco Fucarini “puntellamenti” e saranno presenti sia nella zona fra Villa Bellini e piazza Università, sia nelle strade minore che conducono a piazza Duomo.
In ogni caso, è sempre bene ricordarlo, non vi dev’essere nessun timore da parte dei fedeli di perdere le celebrazioni per Sant’Agata: le più importanti fasi saranno infatti non solo trasmesse in streaming sulla piattaforma social dell’Arcidiocesi, ma anche su diverse reti televisive. Qui trovate nel dettaglio il programma di Sant’Agata 2021.
Sant’Agata è da sempre una delle celebrazioni religiose più popolate, la terza festa religiosa al mondo, sentita dai catanesi che possono raggiungere la Santa e da quelli che – da lontano- si riabbracciano con lei nella fede. Quest’anno, tuttavia, sarà una festa di Sant’Agata molto diversa. Il Covid-19 ha praticamente stravolto ogni aspetto della nostra vita, mutando la nostra quotidianità e stravolgendo i nostri progetti. Anche la festa della Santa Patrona di Catania non ha fatto eccezione, così quest’anno dovremo assistenze a una festa insolita, priva di molti dei suoi caratteri.
Sant’Agata 2021: come cambia la festa
La prima cosa, che non può passare inosservata osservando il programma di Sant’Agata 2021, è la tanto scontata quanto completa assenza di processioni e possibili assembramenti. Tutte le celebrazioni esterne sono state sospese, mentre quelle interne – specialmente le più intense celebrazioni liturgiche del 3, 4 e 5 febbraio – verranno celebrate a porte chiuse. Dunque quest’anno niente fuochi d’artificio, bancarelle e “cannalori” – uno spettacolo che certamente mancherà a tutti i devoti.
Proprio per questo motivo i più importanti momenti dedicati alla Santa verranno trasmessi in streaming tramite i canali social dell’Arcidiocesi di Catania, ma non solo: l’Ufficio Comunicazioni sociali della Diocesi ha anche concesso «piena e gratuita disponibilità alle emittenti private» per trasmettere a loro volta le immagini delle celebrazioni liturgiche. Si è pensato dunque anche a chi per esempio non dispone di una connessione a internet, o a tutti quei fedeli magari in avanzata età che non hanno grande dimestichezza con i social e i meccanismi dello streaming. Passando dalla televisione invece si è voluto «consentire a tutti la partecipazione da casa».
In tal senso, proprio per ovviare eventuali dubbio che potrebbero sorgere, l’Arcidiocesi di Catania ha pubblicato un comunicato in cui elenca cosa è possibile fare e cosa no in quest’edizione particolarmente delicata di Sant’Agata.
Sant’Agata 2021: cosa si può fare
Offerta della cera
Partiamo dalla tradizionale offerta della cera alla Santa, la suggestiva processione che solitamente apriva i festeggiamenti il 3 febbraio partendo dalla Chiesa di Sant’Agata alla Fornace in Piazza Stesicoro per raggiungere la Cattedrale in piazza Duomo.
L’Arcidiocesi ha confermato che è sempre possibile offrire a Sant’Agata cera bianca e fiori, ma bisognerà attenersi alle nuove disposizioni in virtù dell’emergenza sanitaria e rispettare i giorni e le ore in cui la Cattedrale è aperta al culto, come da programma. E’ bene ribadire infatti che le porte della Cattedrale rimarranno chiuse il 3, 4 e 5 febbraio, e inoltre il pomeriggio del 12 febbraio, quando le celebrazioni verranno svolte a porte chiuse. La Cattedrale rimarrà invece aperta ogni giorno dalle ore 9,00 alle ore 12,00 e dalle ore 16,30 alle ore 19,00.
Indossare il sacco
Per quanto concerne invece il tradizionale sacco di Sant’Agata, una delle immagine più iconiche della festa, l’Arcidiocesi si è così espressa:
“Indossare nei giorni di festa il “sacco” anche solo nella propria casa, mentre si partecipa alle dirette delle varie celebrazioni, sarà un segno d’amore a Sant’Agata e ci permetterà di sottolineare la nostra identità di battezzati, cristiani che intendono ispirare la propria vita al messaggio ed alla testimonianza della nostra amatissima concittadina e patrona, che ha dato la vita per essere fedele al Vangelo. Lontani da ogni esteriorità risulterà più chiaro e più forte il motivo che ha ispirato il voto ed orienterà con maggiore profondità la preghiera di ringraziamento o di richiesta secondo le motivazioni care a ciascun devoto/a”.
Insomma, anche se quest’anno dovremmo tutti adattarci ancora una volta alle costrizioni imposte dalla situazione sanitaria, sembra che Sant’Agata troverà ancora una volta il modo per raggiungere i suoi amati catanesi.
Ricordiamo al contempo l’importanza di rispettare e osservare scrupolosamente le regole: solo di recente infatti siamo riusciti ad abbandonare la zona rossa, per rientrare in una sempre prudente zona arancione. L’auspicio è quello di tornare il prima possibile in zona gialla, una condizione che aiuterebbe non poco moltissime persone che dipendono economicamente da questo passaggio. Sicuramente la Santa apprezzerà in special modo coloro che quest’anno, volendo esprimerle il proprio affetto e la propria devozione, si ricorderanno di proteggere se stessi e gli altri.
Programma di Sant’Agata 2021: quest’anno a porte chiuse
Sarà una celebrazione di Sant’Agata completamente diversa quest’anno, a causa dell’emergenza Covid. Così, dopo aver visto mutare tantissime abitudini della loro quotidianità, i catanesi dovranno anche fare i conti con le nuove restrizioni applicate in considerazione della corrente situazione epidemiologica. Un momento storico che rende impossibile la compresenza di numerose persone nello stesso luogo, bandendo gli assembramenti – e di conseguenza, feste e processioni.
Dunque, almeno per quest’anno, Sant’Agata non sarà la terza festa religiosa al mondo per numero di visitatori, sebbene non dubitiamo che sarà altrettanto (se non maggiormente) sentita da tutti i suoi devoti. In ogni caso, non sarà possibile prendere parte a nessuna processione, mentre le celebrazioni religiose saranno a porte chiuse il 3,4,5 e 12 febbraio, mentre la Basilica Cattedrale resterà chiusa.
Sant’Agata dove seguirla
Dovendo rinunciare dunque alla presenza fisica, dove seguire Sant’Agata quest’anno? Bene, le funzioni religiose saranno trasmesse in diretta streaming sui canali social dell’Arcidiocesi di Catania: basterà dunque connettersi a Youtube oppure tramite Facebook. Sempre l’Arcidiocesi si è così espressa in merito: “A Sant’Agata continueremo a rivolgerci perché sia nostra compagna di viaggio in questa difficile prova che la vita ci offre. A Lei, nostra amata protettrice, affideremo ancora una volta gli ammalati, il personale sanitario, il volontariato ed i responsabili del bene comune. Con fiducia osiamo sperare di poter sperimentare ancora una volta la forza del Suo patrocinio”.
Sant’Agata: il programma delle celebrazioni
Martedì 02 febbraio – Giornata mondiale degli Istituti di Vita Consacrata
Ore 10,00 – Santa Messa all’altare di Sant’Agata.
Ore18,00 – Nella festa della Presentazione del Signore S. E. Mons. Arcivescovo presiederà la Santa Messa. (in streaming sui canali social dell’Arcidiocesi) Mercoledì 03 febbraio –
Ore 12,00 – L’Arcivescovo presiede la liturgia della Parola durante la quale il Signor Sindaco, a nome della intera cittadinanza, farà l’offerta della cera alla Santa Patrona. La liturgia non sarà aperta ai fedeli, ma si invitano le famiglie a radunarsi in preghiera nelle proprie case alle ore 20,00 e ad accendere un lume rosso dinanzi ad una immagine di Sant’Agata. (in streaming sui canali social dell’Arcidiocesi).
Giovedì 04 febbraio
Ore 06,00– L’Arcivescovo, a porte chiuse e senza la presenza fisica dei fedeli, partecipa insieme al Signor Sindaco alle operazioni di apertura del sacello e presiede la Messa dell’aurora. Al termine della celebrazione il Busto-Reliquiario della Santa Patrona sarà riposto nel sacello.
Ore 18,00 – L’Arcivescovo, presiede la celebrazione dei Primi Vespri e rivolge il tradizionale messaggio alla Città. Venerdì 05 febbraio – Solennità di S. Agata
Ore 10,00 –L’Arcivescovo presiede il Pontificale, con la presenza del Sindaco a nome della intera cittadinanza. Nel corso della giornata i fedeli ed i devoti sono invitati a partecipare alla Santa Messa della solennità nella chiesa più vicina alla propria abitazione nel rispetto delle norme anti covid e secondo le disposizioni delle autorità a quel momento in vigore. Dal 06 all’11 febbraio Sante Messe all’Altare di Sant’ Agata alle ore 10,00 e alle ore 18,00. Giovedì 11 febbraio
Ore 16,30 – L’Arcivescovo presiede la Santa Messa nella giornata internazionale dell’ammalato. Saranno presenti soltanto i cappellani degli ospedali. Al termine della celebrazione l’Arcivescovo impartirà la benedizione col Velo di Sant’Agata.(in streaming sui canali social dell’Arcidiocesi) Venerdì 12 febbraio – Chiusura delle Celebrazioni
Dalle ore 08,00 alle 0re 12,00 la Cattedrale rimane aperta per la preghiera personale dei fedeli e dei devoti.
Ore 19,00 – L’arcivescovo, senza la presenza fisica dei fedeli e a porte chiuse, presiede la Santa Messa a conclusione delle annuali celebrazioni.
Sant’Agata, ogni catanese lo sa, è molto più che una semplice festa. Non è solo un momento di intensa religiosità, che unisce i cittadini alla loro Santa, e non può essere ridotta nemmeno a un magistrale esempio di folklore e tradizione. Per 5 giorni la Santa inganna il tempo e avvolge nel suo manto la città – uno spazio al di fuori del quotidiano, del convenzionale. Se lo chiedete a un sociologo, probabilmente la prima cosa che vi dirà sarà che Sant’Agata è la terza festa religiosa del mondo dopo Siviglia e Lima, con un milione e mezzo di presenze. Se lo chiedete a un catanese, probabilmente vi dirà che non c’è un modo per definirla, ma solo un modo di sentirla.
Eppure, quest’anno sarà una festa diversa a causa del Covid-19, che ormai da un anno fa scempio delle nostre abitudini, non risparmiando nemmeno le tradizioni a cui siamo più legati. Assolutamente vietati gli assembramenti, adottato uno specifico programma; una necessità, di certo non una scelta. Tuttavia, il legame fra la Santa e i suoi cittadini appare profondo come il mar Mediterraneo e infrangibile come la pietra lavica.
Allora, per consolarci della momentanea rinuncia alla vicinanza fisica con la Santa, il nostro suggerimento è quello di non farci quantomeno mancare tutti i cibi fisici della sua festa – ovviamente, in modalità asporto, in ossequio alle disposizioni vigenti.
Sant’Agata: le “minnuzze” e le olivette
Entrambe costituiscono una tappa fondamentale della festa, ormai segno riconoscibile del legame con la Santa. In particolare le cassatelle, con la loro forma specifica e il loro legame con la biografia della Santa, ma anche con il loro cromatismo, sono ormai universalmente riconosciute come il dolce di Agata. Anche le olivette non possono mancare però nella lista della spesa di coloro che non temono di assumere molti zuccheri: esse richiamano quando Agata sostò per allacciarsi un calzare, inseguita dai soldati di Quinziano, e comparì un ulivo in grado di fornirle ristoro. Possono essere mangiate “al volo”, per strada, o portate come prelibatezze ai propri cari.
Sant’Agata: i torroni
Ci sono diversi tipi di torroni che potrete gustare durante la festa, se siete abbastanza coraggiosi da mettere a rischio i vostri denti. Si parte dal torrone con mandorle(o con mandorle caramellate), forse il più classico, ma sicuramente non il più scontato. Presenza fissa di tutte le bancherelle che popolano il magnifico mosaico di vita che si riunisce durante la festa, gioia e dolori di tutti i dentisti. Abbiamo poi il torrone di Sant’Agata, dal gusto decisamente più dolce – e per questo, forse, talvolta meno apprezzati. Se quest’ultimo è composto da un mix di marzapane, frutta secca e canditi, il torrone gelato di Sant’Agata è invece fatto di pasta reale e poi ripieno con frutta candita e secca, a cui viene ovviamente aggiunto l’ingrediente da cui deriva il nome: il gelato. Viene spesso servito a spicchi di forma triangolari.
E per gli amanti del salato?
Anche coloro che preferiscono il salato non rimarranno certamente delusi durante le celebrazioni della Santa. Ovviamente, il primo pensiero corre ai canonici arancini, che anche durante i primi di Febbraio non sfigurano mai – anzi! Ma i più golosi sapranno certamente dove trovare eccelse grigliate di carne, magari accaparrandosi generose porzioni lungo via Plebiscito e gli spiazzi di castello Ursino. Aggiungiamo che non c’è un modo migliore di riscaldarsi, se non accompagnandola con un corposo bicchiere di rosso. Se poi volete “passarvi la bocca”, ecco allora che non possiamo che consigliarvi i “piretti“, cedri tagliati a fettine disposte in piattini e conditi col sale.
Insomma, anche sul fronte del cibo, Sant’Agata mette proprio tutti d’accordo.
Se hai in mente di trascorrere qualche giorno in uno dei posti più belli e incantevoli d’Italia, puoi scegliere di recarti in Sicilia in una delle frazioni della provincia di Messina, Mili san Pietro, qui potrai visitare l’Abbazia di Santa Maria di Mili. Una volta giunto sul posto i tuoi occhi potranno, immediatamente, godere della vista di un paesaggio e di una natura meravigliosi. La stessa Abbazia che è collocata sulla riva sinistra del torrente Mili nascosta dal verde dei Peloritani crea un senso di gioia interiore nel cuore di chi visita questi posti. Lo stupore e la meraviglia di questo luogo non si limitano al paesaggio, visitare l’Abbazia di Santa Maria di Mili, infatti, ti permetterà di fare un viaggio indietro nel tempo.
Qualche cenno storico sull’Abbazia di Santa Maria di Mili
L’Abbazia di Santa Maria di Mili, che a pieno titolo si può annoverare tra una delle più antiche testimonianze della cultura religiosa normanna della Sicilia, è nata probabilmente sui resti di un antico cenobio di epoca Bizantina e riedificata dal Conte Ruggero I d’Altavilla che, con un atto di donazione stilato nel 1092, affida l’ Abbazia ai monaci basiliani, di rito orientale, guidati dall’abate Michele. Il conte Ruggero I d’Altavilla, fa dono oltre che dell’Abbazia, anche di una grande estensione di terreni annessi ad essa, su questi terreni è seppellito il figlio Giordano morto in battaglia nelle vicinanze di Siracusa. Le donazioni del conte Ruggero I d’Altavilla hanno favorito lo sviluppo economico, dovuto soprattutto all’agricoltura, che si è creato successivamente intorno all’Abbazia. Lungo tutto il decorso dei secoli questa Abbazia ha vissuto momenti di grande splendore alternati a momenti di decadenza, dovuti all’avvicendarsi delle diverse vicende storiche, pensiamo ad esempio all’usurpazione delle terre da parte dei nobili messinesi tra il ‘300 e il ‘400. Successivamente nel XVI secolo l’Abbazia ha vissuto un altro momento di splendore, in questo momento storico, infatti, viene visitata da Re e visitatori regi, che ne garantiscono la cura ed il culto, in questo periodo fu rifatto il soffitto e prolungata la navata centrale. Purtroppo con l’avvento delle leggi eversive dello Stato unitario, il convento viene acquisito dal demanio per essere venduto ai privati, la chiesa, invece da allora è stata acquisita dal Fondo Edifici di Culto del Ministero degli interni. Tuttora la chiesa attende di essere restaurata.
Abbazia di Santa Maria di Mili la giusta scelta per un itinerario turistico
Nonostante che questa Chiesa rimanga ancora in attesa di un restauro che le ridoni parte dell’antico splendore, scegliere di visitare questo scorcio della Sicilia, rimane uno dei luogo più belli da visitare. Anche se non è possibile visitare l’interno di questo monumento medievale, l’esterno ripaga abbondantemente il visitatore: esso potrà ammirare già al suo ingresso, dopo avere percorso la scalinata panoramica che porta all’Abbazia, l’ingresso caratterizzato da un arco di epoca barocca sormontato dallo stemma dei basiliani, è presente anche un finta balconata che lascia vedere un imponente muro di cinta. Potrà, poi, ammirare gli stupendi archi intrecciati di stampo normanno, le cupole rotonde e l’abdise centrale che ricordano le Moschee nordafricane e il portale di marmo e pietra calcarea. Al centro della navata si trova una botola, essa per mezzo di una scala conduce ad una cripta sotterranea, qui venivano poste le spoglie dei monaci basiliani. La vegetazione presente nella zona è ricca di agrumeti che a primavera deliziano l’olfatto dei visitatori con il loro profumo di zagara.
Passeggiare nella natura incontaminata: la Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro
Il turismo sta mutando e ne siamo tutti consapevoli. Il cambiamento nasce da una nicchia di viaggiatori e turisti stanchi di luoghi affollati, desiderosi invece di scoprire località tranquille nelle quali la natura possa agire come ricarica energetica naturale.
Passeggiare in questi luoghi è sempre rinfrancante e l’Italia, da nord a sud, concede panorami diversi tra loro e decine di spunti interessanti per scoprire biomi e territori diversi.
La macchia mediterranea sta incrementando notevolmente i favori di questo target in continua ascesa e se anche tu ti senti attratto da luoghi incontaminati, silenti, lontano da folle e masse turistiche oggi ti portiamo all’interno della Riserva Naturale Orientata Bosco.
La riserva si trova in Sicilia, nel territorio di in prevalenza situato nel comune di Caltagirone e, in minima parte, in quello di Mazzarone.
Siamo quindi all’interno della provincia di Catania, un territorio che risente della presenza del più bel vulcano al mondo, così viene definito l’Etna da molti geologi, quindi terreni ricchi di quarzo e sabbie fossili nelle quali la macchia tipica ricopre un’importanza naturalistica considerevole.
La Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro è la seconda più ampia di Sicilia
Con i suoi 2582,5 ettari principali e una zona definita B di area di preserva di 3976,876 ettari, la Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro è la seconda oasi naturalistica più grande dell’intera isola, un territorio ricco di essenze arboree tra le quali immergersi in passeggiate alla scoperta di un bioma interessante e per molti aspetti unico nella macchia mediterranea.
La quercia è la regina dei boschetti di questa riserva, un tempo sughereto d’elezione della Sicilia, oggi ancora in parte esclusiva per la raccolta di sughero di quercia pregiatissimo, pur rispettando norme e regolamenti di concessione stabiliti dalle leggi regionali in materia di tutela ambientale.
Perché la Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro offre paesaggi unici nel suo genere?
Perché qui, più che altrove, il territorio nei secoli ha concesso all’uomo di integrarsi con l’ambiente non sfruttato, ma preservato al fine di mantenere un’area verde ancora prima della destinazione a Parco protetto.
Mulini isolati che spuntano all’improvviso usufruendo di piccoli torrenti e cascatelle, villaggi che riportano al passato più tipico dell’isola, come il bel borgo Santo Pietro nel quale si sono esaltate concezioni di turismo eco-friendly con strutture ricettive non impattanti dal punto di vista ambientale, anzi, perfettamente armonizzate con le tradizioni locali.
Sono queste l’espressione massima di un turismo possibile che può rappresentare il futuro nel quale natura e presenza umana convivono senza sofferenze ma armonie, empatie.
Musei rurali e centri di tutela per la fauna sono i fiori all’occhiello del Parco
All’interno della Riserva Naturale Orientata Bosco, molteplici sentieri concedono al visitatore di esplorare diverse tipologie d’ambiente, tra boschetti e radure, macchie fiorite nelle quali i profumi del Mediterraneo esaltano la natura siciliana incontaminata.
Il Parco è anche didattico, rivolto sia ai bambini delle scuole così come anche ai visitatori occasionali che possono scoprire l’antica evoluzione agricola della coltivazione, trebbiatura, lavorazione del grano nella Stazione Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia, oppure conoscere meglio fauna e flora locale nel Museo della Macchia Mediterranea.
Sempre nel Parco è situato un centro fondamentale per il recupero delle testuggini, le tartarughe terrestri che in passato hanno rischiato l’orlo dell’estinzione, oggi in recupero anche grazie a progetti splendidi come questo.
Le Catacombe di San Giovanni Siracua: una perla di Arte Paleocristiana
Un luogo sotterraneo dall’atmosfera suggestiva, le catacombe di San Giovanni a Siracusa, vi offriranno un’esperienza unica a contatto con il sacro, il lontano, il misterioso. Un viaggio da vivere in silenzio, lontano dal frastuono del mondo esterno, ma tenendo gli occhi ben aperti per percepire la comunione tra mondo dei vivi e mondo dei morti.
Catacombe di San Giovanni a Siracusa: un viaggio tra storia e arte
All’attivo in età imperiale e tardo-imperiale, queste catacombe, vengono considerate seconde per importanza e dimensione solo a quelle di Roma. Sono molto famose perchè, secondo la tradizione, in quella che adesso è la cripta di San Marciano, primo vescovo di Siracusa, si sarebbe svolta una predicazione dell’apostolo Paolo alla prima comunità cristiana d’occidente. La costruzione ebbe inizio nel IV secolo (dopo l’editto di Costantino) e segue il percorso di un ex acquedotto greco e le sue cisterne per l’acqua. Nel corso dei secoli, i vari invasori di Siracusa contribuirono al saccheggio delle catacombe e della chiesa che risentirono anche dell’azione distruttiva di diversi terremoti. Nel VI secolo furono abbandonate e riscoperte soltanto nel XVI, mentre nel secolo scorso si ebbe l’avvio degli scavi archeologici condotti magistralmente da Paolo Orsi.
Sono rintracciabili tre diverse tipologie di sepoltura: la forma, che è la più umile delle tre, è un sepolcro scavato nel pavimento per mancanza di risorse e spazio; il loculo è una cavità rettangolare chiusa mediante lastre in pietra o marmo; l’arcosolio è la tipologia più ricercata ed è costituito da un arco inciso sulla roccia, chiuso da una tabula detta mensa e sormontato da una nicchia arcuata.
La struttura delle Catacombe
Le catacombe presentano una pianta che ricorda molto il castrum romano (un tipico accampamento militare). Possiamo individuare una galleria centrale, chiamata “decumanus maximus” da cui se ne diramano dieci secondarie, le “cardines”: cinque a nord e cinque a sud che portano a quattro rotonde (le ex cisterne per l’acqua). A nord si trova la “rotonda di Antiochia” mentre a sud la “rotonda Marina”, la “rotonda di Adelphia” e la “rotonda dei Sarcofaghi”. A queste si aggiunge un’altra cisterna, piccola e di forma rettangolare, detta “cubicolo di Eusebo”.
Dove si trovano?
Questo tesoro di inestimabile valore è custodito con cura nei sotterranei della Basilica intitolata a San Giovanni Evangelista, discepolo di Cristo. Si accede alle catacombe dalle spalle della Basilica, tramite un passaggio scavato nella roccia. La chiesa è una bellezza a cielo aperto da visitare ,quindi, fin nei suoi meandri ed è adiacente al Santuario della Madonna delle lacrime con la sua meravigliosa guglia e al Parco archeologico della Neapolis. Qui è possibile visitare la Cripta dipinta di San Marciano e la Catacomba di San Giovanni.
La Basilica di San Giovanni e La Cripta di San Marciano
Nella basilica è stata fin da subito riconosciuta un’antica cattedrale di Siracusa che si ergeva nella regione delle catacombe dove, come vuole la tradizione, fu sepolto San Marciano. La chiesa è un incontro armonico di elementi provenienti da varie epoche, parla numerosi linguaggi artistici. La costruzione, tuttavia, è bizantina, così come la cripta che si trova a circa cinque metri sotto il livello stradale e risale al VI secolo. Importante fu anche l’intervento dei Normanni nell’ XII secolo che ricostruirono la facciata principale, rovinata da un terremoto. Il loro apporto è visibile anche nella cripta di San Marciano che circondarono di capitelli in marmo raffiguranti gli Evangelisti e decorarono la parete con figure e affreschi che oggi, dopo un lavoro di restaurazione, è possibile ammirare in tutto il loro fascino.
Nei giorni appena trascorsi i siciliani hanno potuto nuovamente assistere allo spettacolo pirotecnico naturale offerto dal vulcano Etna. Nel tardo pomeriggio di domenica 13 dicembre infatti l’Istituto nazione di Geofisica e Vulcanologia (Osservatorio Etneo) ha riportato un incremento dell’attività stromboliana, che è cresciuta in breve tempo da livelli medi ad alti. L’attività ha interessato principalmente il versante S del cratere di Sud-Est, con ampie fontane di lava visibili a grande distanza – persino dalla Calabria – e forti boati.
Già nelle ore successive però, stando alle reti di monitoraggio dell’Istituto, l’attività stava scemando. Si sarebbe, insomma, trattato di un evento senza conseguenze straordinarie, che ha permesso però a moltissimi ammiratori de “A Muntagna” di poterne saggiare anche una volta sia la magnificenza sia la possanza. Spettacoli pirotecnici di questo tipo non sono inusuali per il vulcano. Come di sovente, l’attività è stata accompagnata da copiose piogge di “rina”, ovvero pioggia cinerea che ha coperto auto, marciapiedi e strade.
L’attività eruttiva di domenica è avvenuta nello stesso giorno di un altro evento, la festa di Santa Lucia. Una coincidenza che, se da un lato ha alimentato suggestioni romantiche su eventuali omaggi del vulcano alla Santa, dall’altro ha riportato nel cuore e nella mente dei siciliani il ricordo di un altro, tragico, evento.
Il terremoto di Santa Lucia
Era il 13 dicembre del 1990, esattamente trent’anni fa, quando la terrà fu scossa da un terremoto di magnitudine 5.7 secondo gli studiosi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Nonostante fosse stato classificato come entità media, il sisma portò via con sé 18 persone, la gran parte residenti nella cittadina di Carlentini. Un terremoto spaventoso, l’ultimo a infliggere un simile tributo a un’isola storicamente martoriata da eventi di questo tipo, e in grado di inghiottire interi palazzi. I danni furono estremamente ingenti, stimati all’indomani della tragedia come oltre 500 miliardi di lire.
In particolare molta preoccupazione fu legata al polo petrolchimico di Priolo, Melilli e Augusta dove venne operata una riduzione degli stoccaggi e la messa in sicurezza degli impianti per timore di una successiva scossa. Una scossa che arrivò qualche giorno dopo, il 16 dicembre alle 15 circa, ma fu di entità tale da non causare danni eccessivi.
I disagi maggiori furono tuttavia per gli sfollati: un massa numerosissima di senzatetto, stimati in quasi 12.000, che dovettero fare i conti con numerose sistemazioni di emergenza. Ad appesantire ulteriormente la situazione, le avverse condizioni meteorologiche che imperversarono quell’anno impietose, con 25 giorni di pioggia consecutivi.
La reazione al terremoto di Santa Lucia
Come spesso accade in questi casi in Italia, la riposta della politica fu lenta e intempestiva, nonostante le promesse iniziali. Nel marzo del 1991 scoppiarono numerose proteste, che infuocarono prima i territori siracusani e poi quelli catanesi. La protesta, complice ancora una volta la lentezza del sistema burocratico italiano e le sue falle, si protrasse sino all’autunno quando alcuni Municipi delle città più colpite furono occupati in segno di protesta. Ma per vedere effettivamente i primi interventi strutturali e stanziati i primi fondi sufficienti i siciliani, martoriati da questo flagello, dovranno attendere il 1993. Solo allora arrivarono i primi fondi della legge 433/91, che prevedeva una donazione di 3mila e 870 miliardi di lire.
Ancora nel 2010 questo fondo è stato soggetto a rimodulazione per quanto riguarda i fondi non investiti. Una storia fortemente amara per tutti coloro che hanno a cuore questa terra e che detestano vederla martoriata. Un motivo in più per godere della pace offertaci in questi anni dal nostro amato vulcano e per ricordarci di quale forza siamo dotati noi siciliani, in grado di ricostruire sempre a partire dalle macerie.
Per tutti i siciliani è semplicemente “a muntagna”, per i catanesi una presenza confortante da guardare quando si rientra a casa dopo lungo tempo, una costante del panorama. Ma l’imponente vulcano, il più alto fra gli attivi terrestri della placca euroasiatica, ieri ha deciso di dare nuovamente spettacolo. Così, tutti i suoi ammiratori hanno potuto osservare l’eruzione dell’Etna in tutta la sua magnificenza, e per di più in occasione dei festeggiamenti per Santa Lucia. Un doppio evento che non ha mancato di solleticare suggestioni nel cuore dei siciliani, ma ha anche riportato alla memoria ricordi dolorosi.
Eruzione Etna, le prime attività già in serata
L’attività eruttiva dell’Etna è stata prontamente segnalata dall’Istituto nazione di Geofisica e Vulcanologia (Osservatorio Etneo). Le reti di monitoraggio hanno infatti rilevato come intorno alle 19 di domenica pomeriggio vi sia stato un incremento dell’attività stromboliana, che è cresciuta in breve tempo da livelli medi ad alti. Sempre nel comunicato si legge: «contemporanemente si è osservato un incremento dell’attività infrasonica sia nel numero che nell’ampiezza degli eventi e a partire dalle 21.10 si osserva la presenza di tremore infrasonico».
L’attività ha interessato principalmente il versante S del cratere di Sud-Est, con ampie fontane di lava visibili a grande distanza – persino dalla Calabria – e forti boati. Pur nella sempre necessaria vigilanza che si accompagna a eventi simili, uno spettacolo pirotecnico sempre straordinario, che per di più questa volta si accompagna alle celebrazioni della Santa Lucia. “A Muntagna” ha voluto così stupire ancora una volta i suoi osservatori, regalandogli un momento di rara bellezza.
Secondo il comunicato delle 5.30 circa del mattino del 14 dicembre dell’Istituto, l’eruzione andava scemando: “l’attività esplosiva al cratere di Sud Est è stata d’intensità variabile ed al momento appare nuovamente in decremento. Per ciò che concerne l’attività effusiva, dalle telecamere di sorveglianza sembrerebbe che la colata lavica prodotta dalla fessura di Sud sia inattiva, mentre la colata proveniente dalla fessura di Sud-ovest al momento meno alimentata“.
La situazione sembrerebbe dunque stare rientrando alla normalità, senza che vi siano particolari segnalazioni da fare. Le autorità competenti continuano a monitorare la situazione per intercettare ogni variazione riconducibile all’eruzione dell’Etna. Intanto, mentre gli appassionati di tutto il mondo possono godere la prova di forza del vulcano, i catanesi si sono svegliati con una “conosciuta sorpresa”, se ci perdonate l’ossimoro.
“Pioggia” di polvere cinerea su Catania e dintorni
Come accade spesso in tali frangenti infatti Catania si è svegliata sotto una coltre di polvere cinerea, emessa in occasione dell’attività vulcanica dell’Etna. Così, auto, strade, marciapiedi e strade sono stati coperti da questo manto tutt’altro che bianco e decisamente non natalizio, ma spesso altrettanto fastidioso come la neve. In particolare, essendo la polvere ricca di silicio, una delle sue particolarità è di essere vetrosa: questo significa che rimuoverla senza le adeguate precauzioni. In particolare, bisogna prestare attenzione quando il vetro della propria auto è coperto ed evitare di azionare istintivamente i tergicristalli: essi infatti creerebbero attrito su tutta la superficie del vetro, rischiando di graffiarlo. Altro rischio connaturato alla “pioggia” di cenere è quello di scivolare: depositandosi sulle strade esso infatti costituisce un pericolo per i guidatori, in particolare per quelli delle due ruote.
Una coincidenza preziosa, un ricordo amaro.
I siciliani lo sanno: mamma Etna ama dare spettacolo e farlo nel modo più pirotecnico che conosce, regalando improvvise esplosioni e suggestive fontane di lava. E permette quasi sempre a tutti di goderne in sicurezza, a patto di rispettare ragionevoli misure. Proprio ieri ricorreva un’altra occasione molto cara ai siciliani, la festa di Santa Lucia: sembrerebbe quasi che anche l’Etna abbia voluto omaggiare la Santa, a modo suo.
Il ricordo amaro dei siciliani è invece legato alla ricorrenza, occorsa proprio ieri, dei trent’anni dal terremoto di Santa Lucia. In quel caso furono 18 i morti e oltre 10mila gli sfollati in un’ampia zona della Sicilia orientale: un pensiero inevitabile, per tutti coloro che vivono alle pendici del maestoso vulcano.
Sta per essere abbattuto a Catania l’antico Ospedale Santa Marta. Al suo posto, a breve, potrai ammirare una nuova piazza, punto di aggregazione della città. Ecco tutto quello che c’è da sapere.
L’Ospedale Santa Marta lascia il posto a una piazza
L’antico ospedale intitolato a Santa Marta, che da sempre è situato in centro città, fra poco non esisterà più. La giunta comunale è sul punto di firmare la delibera che autorizza la sua demolizione.
Al suo posto, due progetti in fase di approvazione: lo spazio occupato da un’ala vedrà sorgere la palazzina che ospiterà gli uffici della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali della città di Catania.
Al posto della seconda ala, invece, troverà spazio una nuova piazza, che nelle intenzioni degli urbanisti dovrà diventare un nuovo punto di aggregazione della città.
L’avvio dei lavori è previsto nei prossimi mesi.
Altri edifici in corso di demolizione a Catania
L’ospedale di Santa Marta non è l’unico edificio di Catania che sarà interessato prossimamente ad una grande opera di trasformazione. Stessa sorte toccherà all’ex palazzo delle Poste, quello situato in Viale Africa, già in corso di demolizione.
Al suo posto Nello Musumeci, presidente della Regione Sicilia, ha annunciato che sorgerà la nuova Cittadella Giudiziaria, la cui inaugurazione è prevista per la fine del 2023. L’edificio, il cui costo di realizzazione è stato stimato intorno ai 40 milioni di euro, ospiterà non solo il tribunale civile ma anche gli uffici della polizia giudiziaria, riqualificando così questa zona di Catania.
Se stai pensando di organizzare un viaggio in Italia ma sei molto indeciso sulla meta non puoi non prendere in considerazione San Vito Lo Capo, una delle località più belle in provincia di Trapani, in Sicilia.
In questa guida illustreremo ciò che c’è da sapere, le attrazioni da non perdere assolutamente e cosa mangiare in questo piccolo ma favoloso comune.
San Vito Lo Capo: storia e cultura
San Vito Lo Capo fu costruita verso la fine del Settecento, ma vi sono tracce che risalgono all’epoca paleolitica, mesolitica e neolitica, specialmente nelle cavità naturali che si affacciano sul mare, e che un tempo dovevano essere utilizzate come abitazioni. Il nucleo fondamentale di San Vito Lo Capo è rappresentato dal Santuario, che venne realizzato intorno al Trecento in onore di San Vito martire e che da allora ha subito numerose modifiche.
Il nucleo da cui si origina di San Vito Lo Capo è il Santuario dedicato a San Vito martire, ovvero il patrono. Il martire, secondo la tradizione, per sfuggire alla persecuzione ordinata da Diocleziano scappò via mare e approdò sulla costa di Capo Egitarso, e qui predicò la parola di Dio in una cittadina chiamata Conturrana. Anche i pirati corsari avevano rispetto per San Vito e, durante le invasioni barbariche, vennero costruite tre diverse torri ancora visibili, tra cui Isuilidda.
Il comune di San Vito nacque il 17 agosto 1952 e ad oggi, la festa in onore al martire patrono è celebrata il 15 Giugno, ma già dai giorni precedenti il paesino si mobilita per realizzare sfilate di bande musicali, concerti e giochi dell’antica cultura marinara. Il momento migliore, però, è quando viene ricreato lo sbarco a San Vito Lo Capo del giovane santo, accompagnato dalla sua nutrice Crescenza e il suo maestro Modesto. Inoltre, la fine della festa è caratterizzata da uno spettacolo pirotecnico con fuochi d’artificio.
San Vito Lo Capo: cosa vedere
1) La Spiaggia
Tra le migliori attrazioni di San Vito Lo Capo, vi è sicuramente la sua Spiaggia, che è stata più volte premiata con la Bandiera Blu e con quella Verde, ed è situata ai piedi del monte Monaco. Priva di correnti e con una cornice naturale non indifferente, alternata le tipiche casette bianche dei marinai,è un piccolo paradiso sulla Terra, dove si fondono cucina siciliana, mare e riserve naturali. Adatta ai più piccoli e a coloro che amano fare immersioni, l’acqua è ricca di fondali esplorabili e per chi desidera, è possibile praticare anche kayak, windsurf e stand up paddle.Tra i colori brillanti e l’acqua cristallina che ricorda quelle caraibiche, la spiaggia di San Vito Lo Capo si estende per quasi tre chilometri caratterizzati da una spiaggia bianca e fine e ricca di lidi dov’è possibile noleggiare sdraio e ombrelloni per trascorrere una giornata di relax. Numerosi sono anche gli Hotel e i Residence, dove ti sarà possibile alloggiare per passare una vacanza indimenticabile all’insegna del lusso. Questa località è perfetta anche come meta per le tue vacanze primaverili, dato che sfodera un fascino incredibile.
2) Il faro
Se alloggi a San Vito Lo Capo e sei un appassionato di storia, non puoi di certo lasciarti sfuggire il Faro, nato nel 1959 e desiderato dai Borbone per avvistare corsari e pirateria nemica: è uno dei simboli principali di San Vito Lo Capo ed è alto ben 43 metri. Dal centro di San Vito Lo Capo si può tranquillamente arrivare al Faro con una bellissima passeggiata lungo la costa e nel raggio di un chilometro ci sono più di cento ristoranti disposti ad accogliere i turisti e a spiegare l’incredibile storia di questa attrazione. Accanto a esso si trova il Torrazzo, probabilmente costruito dagli arabi e anche essa utilizzata per difendersi dagli attacchi nemici. Un consiglio: visita il Faro al tramonto, perché è davvero imperdibile.
3) Il Santuario
Come detto prima, il Santuario è il nucleo fondatore di San Vito Lo Capo, ed è dedicato al santo patrono martire, San Vito. Si tratta di un Santuario-Fortezza che si erge nella piazza principale e al suo interno presenta una piccola cappella, che è stata la prima parte ad essere costruita. Il suo ruolo inziale era quello di proteggere San Vito Lo Capo dagli attacchi dei nemici pirati e corsari, e fungeva da meta di pellegrinaggio per i forestieri che vi arrivavano. La facciata esterna è in pietra e sulla destra si trova il portale d’ingresso; inoltre, il suo ingresso è sormontato da uno stemma e la nicchia contiene la statuetta dedicata a San Vito. All’interno è possibile vedere diverse Cappelle, come quella di Sant’Anna, quella di San Giuseppe e Gesù Fanciullo, del Santissimo Crocifisso, e, ovviamente, di San Vito martire. Se vuoi visitare il Santuario, ricorda l’ipogeo, ovvero la parte in cui si trovano ancora due pozzi destinati al culto e che servivano a far abbeverare i pellegrini.
4) Cappella di Santa Crescenzia
Questa Cappella si trova all’ingresso di San Vito Lo Capo, ed è dedicata alla tutrice di San Vito, ovvero Crescenzia. Fu edificata nel XIII secolo e si narra che qua, Crescenzia, fosse morta di spavento a causa della valanga che colpì il suo villaggio, Conturrana. La stessa contrada, proprio per questo motivo, è chiamata Valanga. Poco lontano dalla Cappella si trova la Torre dell’Isulidda, una delle tre torri di avvistamento sopravvissute e desiderate dai Borboni per osservare le coste siciliane dall’avvento e l’attacco dei pirati o navi nemiche.
5) Tonnara del Secco di San Vito Lo Capo
Risalente al 1411 e distante solo tre chilometri dal centro di San Vito Lo Capo, nel golfo di Castellammare, la Tonnara del Secco è una meta fondamentale per chi vuole conoscere di più riguardo la storia di questo fantastico e piccolo paesino. Venne abbandonata nel 1965 e ad oggi una parte è andata distrutta, ma rimane ancora un luogo affascinante e ricco di cultura: qui si lavorava il pesce e i proprietari, si dice, stavano seduti con i loro ospiti sul “Palazzotto” davanti al mare. Inoltre, è stato utilizzato più volte come set per alcuni film (come Cefalonia e Viola di mare) ed è anche un bellissimo posto in cui fare una nuotata.
6) Baia Santa Margherita
Si tratta di una baia sabbiosa e dedicata all’omonima santa, situata alle porte di San Vito Lo Capo, tra Castelluzzo e Macari. Un luogo ideale per chiunque voglia rilassarsi in mezzo alla natura, con una sabbia finissima e bianca originatasi dalle rocce circostanti, con acqua trasparente e cristallina. Inoltre, per scoprire altre bellissime calette solitarie puoi prenotare un posto nel trenino gratuito che parte dal parcheggio e attraversa tutta la costa, ma ricorda di recarti lì da presto, o la tua baia non sarà più così tanto isolata. Al mare stupendo e si alternano scogli e angoli completamente selvatici. Per di più, è possibile prenotare un tour a cavallo che prevede la visita delle quattro migliori calette, tra cui quella di Santa Margherita, dalla durata di due ore.
7) La Piana dell’Egitarso
Da questa piana sarà possibile con un solo sguardo vedere l’intero il paese, la spiaggia, il monte Monaco e il Faro. Non dovrai fare altro che salire in auto, oppure a piedi, sull’altopiano dell’Egitarso, che ha pareti rocciose e separa la spiaggia a est dal litorale a ovest. Un luogo ideale per chiunque voglia scattare delle bellissime foto e avere delle immagini impresse per sempre di questa fantastica località, con un panorama favoloso.
8) Caletta del Bue Marino
Se sei un amante delle calette, anche questa potrebbe fare a caso tuo: la caletta del Bue Marino è speciale e davvero unica. Potrai dedicare un’intera giornata a questo pezzo di Paradiso sulla Terra, situato vicino a San Vito Lo Capo. Gode del titolo di “La più bella d’Italia” nel 2015 tra tutte le baie italiane, in un concorso tenuto da Legambiente, e nel 2016 come “La più bella sei tu”. La costa è acciottolata e soprattutto al tramonto, regala una vista mozzafiato dovuta al cielo che si tinge di rosso, nel momento esatto in cui il sole cala. Poco distanti da questa caletta ci sono le falesie di Cala Mancina, un luogo adatto a chiunque ami arrampicarsi e scalare le pareti rocciose. Queste sono colme di grotte e hanno i tipici colori dolomitici. Proprio in cima a queste pareti si erge una delle torrette di avvistamento, ovvero Torre dell’Isulidda.
9) Riserva Naturale Orientata dello Zingaro
Quest’area protetta, si trova vicino al golfo di Castellammare e a San Vito Lo Capo, ed è gestita dall’azienda regionale foreste demaniali della Sicilia. Questa località si estende su sette chilometri di costa e copre 1700 ettari di natura, non intaccata mai dall’uomo. La flora ospita numerose piante siciliane, che vivono indisturbate all’interno del parco, e tra di esse vi sono 25 specie diverse di orchidee selvatiche. Anche la fauna è molto variegata e comprende ben 39 specie di uccelli, come il falco pellegrino e il gheppio. Ancora, è possibile ammirare i conigli, le volpi e le donnole. Se ti piacciono i parchi e gli animali puoi arrivare attraverso il sentiero costiero, quello di mezza costa e quello alto.
10) La Spiaggia di Màcari
Questa spiaggia è immersa nella natura ed è piccola e rocciosa: ideale per gli amanti del nuoto e delle immersioni per la presenza dell’acqua cristallina e dei fondali ricchi di pesci. Inoltre, questa baia offre dei tramonti meravigliosi ed è ideale sia in Autunno, per l’ambiente successivo, che in Estate.
San Vito Lo Capo: specialità culinarie da non perdere
Se hai scelto San Vito Lo Capo come prossima meta dei tuoi viaggi ma non sai cosa mangiare, non temere: questa località ha un’importante cultura culinaria, che non ti lascerà insoddisfatto, sia che si parli di ristoranti, sia che si parli di street food.
Una dei piatti che non puoi assolutamente perdere è il cous cous, noto anche come cuscus di San Vitu: preparato con la semola cotta al vapore, può essere servito nelle tipiche ciotole di terracotta, e viene tradizionalmente cucinato nel brodo di pesce (solitamente povero), oppure viene semplicemente condito con verdure. Si tratta del piatto tipico di questo paesino e non puoi davvero non provarlo.
Ancora, tipici di San Vito Lo Capo, i ravioli con la ricotta (noti anche come cassatelle) e brodo di pesce, serviti anche con una spolverata di pecorino. Tra i secondi più conosciuti vi sono sicuramente il tonno in agrodolce (specialmente la sua parte pù grassa, ovvero la pancia), condito con cipolle bianche, oppure la salsiccia pasqualora, un salume che deve essere obbligatoriamente, secondo la tradizione, essere mangiata una volta cotta alla brace, avvolta nella stagnola. Il pane cunzato, invece, deve essere consumato con olio extravergine di oliva (siciliano!), pomodori, origano, acciughe salate e pecorino primo sale. Un altro formaggio tipico è, invece, quello belicino, cioè senza crosta fatto con il latte di pecora; la sua salatura avviene in salamoia e si può gustare anche con le olive.
Un primo piatto sensazionale della cucina siciliana è la busiata con il pesto alla trapanese, realizzato con aglio, pomodori, basilico e mandorle. La forma della pasta, realizzata con semola di grano duro, deriva dal ferro da calza utilizzato per crearla.
Se sei un amante della pizza, non potrai non provare quella rianata: i suoi ingredienti sono semplici, e si tratta di origano (in grandi quantità), sarde e pomodoro.
Tra i dolci più rinomati vi è senz’altro il Caldofreddo, nato in questo paesino negli anni Cinquanta. Si tratta di una coppa di gelato che contiene una brioche imbevuta tradizionalmente nel rum, con cioccolato e crema di nocciole: insomma, impossibile resistere. Se non sai resistere alle prelibatezze dolci, recati nella famosa pasticceria “Maria Grammatico”, dove troverai le Genovesi (ripiene di crema) che la proprietaria ha imparato a cucinare da piccola grazie alle suore di un convento: ciò che ti lascerà senza parole è anche la cortesia e l’ospitalità del personale e della stessa signora Maria, che si può incontrare all’interno della boutique.
Quando si pensa alla Sicilia vengono subito alla mente il sole, il mare e il buon cibo, oltre a moltissime cose da vedere di interesse storico e culturale elevato.
Però la Sicilia è una terra che nasconde molti misteri e luoghi magici da visitare, un tempo ricchi di vita e storia ed ora abbandonati e resi ruderi dal tempo e dall’incuria.
Il borgo fantasma di Massa San Nicola è uno di questi, e val la pena fare un viaggio esplorativo alla scoperta di questo luogo incantato.
Il borgo di Massa San Nicola
Questo piccolo borgo, la cui origine risale al XVIII secolo, ormai è quasi in stato di abbandono. Quasi perché effettivamente ad abitarlo ora ci sono solo una decina di persone.
Il borgo dista non più di 15 km dal centro di Messima, e insieme a Massa Santa Lucia, Massa San Giorgio e Massa San Giovanni formano un vero e proprio circolo di borghi medievali dall’indiscusso fascino antico.
Il nome Massa indica in effetti l’agglomerato di edifici che costituisco un vasto podere, con edifici adibiti a residenza e uffici.
La tenuta che in origine apparteneva alla Curia di Messina,è stata ormai abbandonata da tempo dai proprietari delle case, che le cedettero ad una comunità di persone che trovarono in questo luogo la loro dimensione per vivere una vita anticorfomista.
Al centro del borgo sorge la chiesa di Santa Maria de Scalis, che riporta delle decorazioni risalenti al XV secolo.
A rendere caratteristico questo borgo non è solo il fatto di essere abitato da sole dieci persone, ma anche la presenza di alcuni mulini ancora integri lungo il torrente. Gli undici mulini servivano in antichità a dare linfa vitale all’attività principale che si svolgeva in questo borgo, che consisteva nell’agricoltura e nell’estrazione di essenze profumate.
In origine il borgo contava all’incirca 450 persone, ma dopo la seconda guerra mondiale, il movimento migratorio che dalla Sicilia portò molte persone ad emigrare negli Stati Uniti, ne vide l’abbandono progressivo.
Dopo l’ondata migratoria il paese contava 40 persone, via via diminuite con il passare del tempo.
L’abbandono del paese ha portato molti banditi a depredarlo, trafugandone alcuni dipinti dalla chiesa oltre ad opere pubbliche.
Attualmente il borgo, che mantiene un’importanza storica e anche naturalistica, è sotto la tutela della Sovrintendenza ai Beni Culturali, che si occupa di mantenerlo in ordine e di effettuare lavori di restauro e manutenzione periodici.
All’interno della chiesa di San Nicolò, la cui origine risale al 1908, sono conservati diversi reperti storici i più importanti dei quali sono un quadro del 1500 rappresentante la madonna con il bambino e un altare.
Una struttura in abbandono, un enorme complesso mai ultimato e che ora appare in tutta la sua inquietante imponenza: l’ex Sanatorio di Piazza Armerina in Sicilia
Piazza Armerina è in realtà una splendida cittadina siciliana, facente parte la provincia di Enna. Poco distante dal centro abitato, immerso in un florido bosco dai tratti tipicamente mediterranei, si trova ciò che rimane di un’imponente struttura ospedaliera, innalzata per fungere da sanatorio ma il cui completamento non arrivò mai ad essere eseguito a causa dell’avvento della Legge Basaglia, istituita nel 1978; legge che cambiò per sempre le regole fino ad allora applicate per curare cronicità di vario tipo, fisico e soprattutto riguardo a problemi mentali.
L’abbandono e il silenzio in cui versano i resti dell’ex sanatorio portano la mente a ciò che ha significato per i poveri degenti fino alla seconda metà degli anni ’70 il ricovero presso una di queste strutture.
Cosa sono I Sanatori?
I sanatori infatti, nascevano per curare diversi tipi di malattie croniche, come patologie polmonari o handicap fisici, ma non era raro che vi venissero letteralmente rinchiusi a vita soggetti con turbe psichiche e che rappresentavano un pericolo per la comunità. Il concetto di malato di mente però, non era di sicuro elevato ai livelli di conoscenza come quelli che abbiamo oggi; nei sanatori finivano infatti molto spesso donne considerate “ribelli” o isteriche, bambini che avevano solo la colpa di essere iperattivi, e persino omosessuali o persone che praticavano la masturbazione e che se si facevano scoprire correvano il rischio di essere considerate pazze, per non parlare poi di personaggi “scomodi” per eliminare i quali bastava un medico compiacente che redigesse un certificato di malattia. Le cure che venivano riservate a questo tipo di pazienti, dunque, erano più che altro atte a immobilizzarne corpo e mente, attraverso potenti psicofarmaci e trattamenti che potremmo definire tranquillamente “torture”.
I sanatori venivano eretti lontano dai centri abitati per due motivazioni principali: tra le “cure” previste, si pensava che un buon clima, acque termali, il contatto con la natura e un’alimentazione controllata potessero alleviare alcuni sintomi e migliorare il benessere generale della persona. Ma la motivazione preponderante è che la comunità desiderava relegare il più lontano possibile dalla vista le persone non “conformi”. Non fu diverso per il progetto che avrebbe previsto l’apertura del sanatorio di Piazza Armerina.
Forse è il caso di dire che fortunatamente non fu mai completato e che l’evoluzione e la rivoluzione nell’approccio terapeutico di molte malattie fisiche e mentali ha permesso a molte persone di non finire in luoghi come quello, di fatto delle vere e proprie pigioni travestite da ospedale.
Recuperare strutture come l’ex sanatorio di Piazza Armerina sembra anche difficile dal punto di vista strutturale, poiché dagli anni ’70 ad oggi i canoni da rispettare per ergere strutture così importanti sono cambiate moltissimo ed eventuali investimenti per la ristrutturazione sarebbero troppo ingenti. Rimane quindi un relitto inquietante e dismesso, preso ormai d’assalto e inglobato sempre più dalla vegetazione, divenuto attrazione per avventurieri in cerca di fantasmi, o per chi desidera immergersi per qualche ora nell’atmosfera inquietante di ciò che avrebbe potuto essere tra quelle mura.
Tra le bellezze suggestive della splendida Sicilia, nella costa orientale, proprio lungo la lunga e dritta strada panoramica che collega la turistica San Vito Lo Capo alla cittadina di Macari, sorge una di quelle costruzioni in grado di raccontare la storia di quelle terre, in un misto di leggenda e realtà.
Si tratta della Cappella di Santa Crescenzia, un edificio di pietra, dal sapore leggendario e religioso, svettante in mezzo al panorama mozzafiato, capace di far fermare qualsiasi viaggiatore per scoprire la sua origine e godere dell’accoglienza di quel fantastico territorio turistico.
La Cappella di Santa Crescenzia e la sua costruzione
È un incantevole edificio la cui costruzione risale al tredicesimo secolo, rimasto intatto dagli attacchi del tempo e dagli agenti atmosferici. La tipica cupola della Cappella, a sesto rialzato, è visibile da lontano, bella, attraente e dal sapore leggendario.
Le fondamenta di tutto l’edificio hanno origini arabe. Nella struttura, dalla base con perimetro quadrato, è visibile la particolare architettura utilizzata nel trapanese fino a tutto il sedicesimo secolo. Il peculiare fascino è dato dagli archi a ogiva che aprono il sesto rialzato della cupola. Il carattere del tutto originale della costruzione è dato anche dalla presenza di trombe a ventaglio, con funzione di eleganti sostegno agli angoli della cupola.
È visibile anche l’influenza delle culture che nei secoli successivi hanno invaso l’isola. Lo stile inconfondibile delle piccole guglie presenti nella parte alta è espressione gotica, mentre l’arte normanna si riflette in maniera completa in tutto il fiorire della cappella.
Con il tempo la cappella è stata meta per molti pellegrini e devoti di Santa Crescenzia, fino a divenire intorno al quindicesimo secolo addirittura una vera fortezza durante le varie battaglie che hanno dilaniato il territorio circostante.
La leggenda della Cappella di Santa Crescenzia
Altra suggestione e fascino della Cappella è senza dubbio data dalla leggenda molto conosciuta e in voga nella zona del trapanese.
Crescenzia era la nutrice del giovane Vito, figlio di un nobile funzionario romano, al servizio dell’imperatore nella città di Mazara del Vallo. Insieme a Modesto, istitutore del ragazzo, si convertì al Cristianesimo, riuscendo a coinvolgere anche Vito che diventerà anche lui santo. Purtroppo le persecuzioni di Diocleziano costringono i tre a scappare dalla città attraverso il mare. Durante il viaggio vengono colpiti da una grave tempesta che portò la nave verso il golfo roccioso del trapanese. Vito, Crescenzia e Modesto sbarcano in quel luogo dove si stabiliscono e desiderano convertire il villaggio di Conturrana al Cristianesimo. Gli abitanti però non ascoltano le predicazioni del Santo e incorrono nella punizione divina che fa arrivare una frana sulle loro case, distruggendo tutto il territorio.
Vito, Modesto e Crescenzia sono invitati da Dio a scappare, con l’ordine di non voltarsi indietro mentre la frana di massi distrugge tutto. Crescenzia trasgredisce però quest’ordine, voltandosi indietro e diventando immediatamente di pietra per il grave spavento preso nel vedere sommerso il villaggio e tutti i suoi abitanti. La frana si fermò proprio in quel preciso punto.
La tradizione vuole che proprio in quel quadrato di terra sia sorta la Cappella di Santa Crescenzia che, se invocata con il lancio di un sasso, è in grado di far allontanare la forte paura in chiunque, “u schiantu” nel caratteristico dialetto siciliano.
Il confine tra leggenda e storia è molto sottile, fatto sta che ancora oggi la Cappella di Santa Crescenzia vede arrivare molti fedeli che credono nel miracolo di scampare da ogni forma di paura buttando un sasso all’interno dell’edicola.
Presso la Piazza Università a Catania, si trova il Palazzo San Giuliano, la cui progettazione si deve all’architetto Giovan Battista Vaccarini e fu costruito a partire dal 1738, proseguito poi anche dagli architetti Palazzotto, Ittar e Ardizzone.
È stato costruito per la famiglia Paternò Castello, Marchesi di San Giuliano. Lo stemma nobiliare della casata campeggia nella tribuna del portone centrale ma non è il solo. È infatti presente anche quello degli Asmundo, il quale rappresenta un’altra prestigiosa famiglia di Catania che si era imparentata con i Paternò di Castello.
Il Palazzo San Giuliano: Caratteristiche costruttive e suo utilizzo
È costruito con marmi policromi, in 3 piani, oltre al piano terra.
Proprio rivolte verso la piazza, al piano terra, si affacciavano, nel 1700,
8 botteghe e al primo piano diverse stanze ritenute semplici; quelle più prestigiose invece si trovavano al secondo piano mentre al terzo piano si trovavano le stanze di servizio. Nella corte all’interno è presente un’ampia e maestosa scala a due rampe. Nel 1864 invece, la cantina del Palazzo venne trasformata in un teatro dell’Opera, luogo nel quale avvennero le prime rappresentazioni di Giovanni Grasso e Angelo Musco.
Il Palazzo catanese venne chiuso nel 1912 e riaperto solamente nel 2010.
Attualmente il Palazzo San Giuliano, oltre ad ospitare il Teatro Machiavelli è anche sede degli uffici amministrativi dell’Università di Catania e si trova proprio davanti agli uffici del Rettorato della stessa Università.
Negli anni, il Palazzo è stato rimaneggiato anche se i prospetti esterni sono rimasti uguali. Vi soggiornarono ospiti illustri e le lapidi poste all’ingresso ne sono un ricordo. Tra questi ospiti, due degni di nota, sono il Re d’Italia Vittorio Emanuele III e la Regina Elena.
Palazzo antico e misteri : Tra storia e leggenda
La Baronessa Rosana Petroso, moglie di Orazio Paternò Castello morì proprio nel Palazzo, nella stanza definita rossa. Non fu una morte naturale ma venne ammazzata da suo marito Orazio, forse in seguito ad una scenata di gelosia. Una macabra leggenda narra che il corpo di Rosana fosse ancora all’interno del Palazzo, nel quale appunto c’erano due finestre poste in alto che erano state murate. In realtà questa è solamente fantasia e niente di più. Orazio fuggì per sempre facendo perdere le sue tracce. Un secolo più tardi, Antonino Paternò Castello, durante un viaggio lesse il libro “Lettere scritte durante dieci anni di residenza alla Corte di Tripoli” di Richard Tully e scoprì che Orazio si era convertito all’Islam per sfuggire alla condanna dell’assassinio di sua moglie e aveva sposato la figlia di un pascià avendo da lei 3 figli.
Storia e leggenda si intrecciano e rimangono a servizio di chi può ammirare questo bel Palazzo nel cuore di Catania.
San Marco d’Alunzio, in provincia di Messina. Il cuore antico dei Monti Nebrodi. Uno dei più bei borghi della penisola italiana.
Dal colle si può ammirare la costa che va da Capo d’Orlando a Cefalù, e più lontano le Isole Eolie. Greci, romani, bizantini, arabi e normanni che in epoche diverse hanno attraversato la Sicilia hanno lasciato il segno anche a San Marco d’Alunzio: opere architettoniche, opere d’arte, chiese e palazzi.
Monumenti che oggi fanno da cornice all’artigianato, come ad esempio quello del ferro battuto. Dal rosso della forgiatura dei metalli, si passa poi ad un altro rosso: quello del marmo presente a San Marco d’Alunzio; questo marmo viene utilizzato già dal ‘700 per decorare gli edifici sacri e i palazzi.
Tra i vicoli del centro del borgo di San Marco inoltre si tessono ancora, come nell’antichità, corpetti su telai in legno, che grazie all’arte nobile delle ricamatrici mantiene viva una parte della storia.
È alle tradizioni e ai tesori artistici che San Marco aggiunge le bellezze naturali, la fortuna di sorgere nel cuore del Parco dei Nebrodi e alcuni edifici storici assolutamente da visitare.
Chi si trova a San Marco d’Alunzio non può non andare a vedere i ruderi del Castello omonimo, sito nella parte più alta del borgo. Grazie ai recenti restauri e all’accesso gratuito è possibile ammirare la struttura antica di questa costruzione, che fu commissionata dal condottiero normanno Roberto Guiscardo.
I reperti archeologici del Castello di San Marco e manufatti risalenti ai periodi romano, greco, arabo, bizantino e aragonese si trovano al Museo Comunale San Teodoro e al Museo Parrocchiale San Giuseppe.
Altri musei si trovano in questo bellissimo borgo, tra i quali ricordiamo anche il Museo Bizantino: oltre a vantare una straordinaria bellezza architettonica, vi si trovano manufatti di epoca bizantina, come anfore, utensili domestici, monete d’oro, fibule e affreschi.
Il tempio di Ercole è un’altra tappa obbligata per chi sta visitando San Marco d’Alunzio. Fu edificato nel IV secolo a.C. su un gradone roccioso prospiciente l’abitato, utilizzato per attività legate al culto di Ercole rappresenta ad oggi un’importante testimonianza dell’età classica del messinese.
Tra i tanti monumenti presenti all’interno di San Marco d’Alunzio
vi è sicuramente la Fontana Marmorea, realizzata con il famoso marmo rosso delle sue cave.
Si trova alla base di una bellissima scalinata realizzata sempre in marmo e che porta all’Altare della Madonna del Lume.
San Marco d’Alunzio è famosa per le sue chiese,
tra le quali citiamo la Chiesa di San Salvatore, nota per essere ad oggi sede del Museo Aluntino; la Chiesa di San Teodoro, edificata nel XVI secolo, particolarmente interessante da visitare per ammirare i suoi stucchi decorati e le opere artistiche presenti al suo interno, anche di artisti del luogo.
Ed infine la Chiesa Aracoeli, risalente al ‘600, anch’essa decorata con affreschi di pregio.
La festa dedicata a Sant’Agata si svolge ogni anno a Catania, di cui è la santa patrona, ed è un momento da sempre molto atteso in tutta la Sicilia.
In particolare la fiera che si svolge ai primi di Febbraio attira molte persone da ogni parte dell’isola sia per il culto che per il folklore che la caratterizza.
Quest’anno la fiera si Sant’Agata si svolgerà dal “31 Gennaio al 6 Febbraio” 2020 e sarà ospitata all’interno della Villa Bellini.
Inaugurazione e programma della Fiera di Sant’Agata
Come ogni anno l’amministrazione del Comune di Catania, in previsione delle festività e della fiera di Sant’Agata, ha messo in moto le modalità per l’organizzazione dell’edizione del 2020.
La società che si occupa di gestire l’evento, individuata tramite un bando di gara pubblico, ha previsto l’inaugurazione della fiera per il 31 Gennaio, con l’apertura dei cancelli di Villa Bellini alle ore 16.00: sarà possibile visitare la fiera di Sant’agata fino al 6 Febbraio, tutti i giorni, con orario continuato dalle ore 9.00 alle ore 24.00.
Luoghi della Fiera di Sant’Agata
Gli affascinanti Giardini di Villa Bellini sono il palcoscenico ideale per la Fiera di Sant’Agata, nell’edizione 2020: si accede all’ingresso tramite l’elegante scalinata di Via Etnea e dalla storica Piazza Roma.
Sono presenti ben 80 Gazebo per accogliere gli stand, dislocati lungo tutto il Piazzale delle Carrozze del Parco Bellini, dove è possibile acquistare articoli esclusivi della Fiera di Sant’Agata.
L’ubicazione degli stand fieristici è limitata all’ampia zona del Parco e al lungo viale adiacente in modo da salvaguardare l’ambiente degli storici giardini e per rendere più fruibile la visita di tutta la Fiera ad opera dell’oltre milione di visitatori che sono attesi nei suoi sette giorni di apertura.
Su suggerimento dell’amministrazione comunale il 10% dei prodotti esposti negli stand è destinato all’esposizione e la vendita di merce relativa a “Prodotti tipici Siciliani” e con riferimento alla Festa di Sant’agata, tra artigianato e food: gli stand dovranno apparire ai visitatori come delle vetrine curate nei minimi particolari, con una particolare cura estetica.
Gli stand sono del medesimo colore e dimensioni, sono divisi per settore “merceologico”, per facilitare la visita e la ricerca dei prodotti.
Fiera di Sant’Agata: la cura dei particolari
Nel Piazzale delle Carrozze è stata allestita, con accuratezza speciale, un’area ludica, dedicata all’infanzia e per ospitare i bambini.
È presente un grande maxi schermo, sempre nel Piazzale delle Carrozze, per consentire la proiezione delle immagini, in tempo reale, della festa e della fiera di Sant’Agata.
All’interno della Fiera è presente un’area per il pronto soccorso sanitario, una zona per le attività culturali e un palco per l’accoglienza dell’Amministrazione comunale e per il lavoro istituzionale.
Le fantastiche luminarie serali e notturne lungo la scalinata centrale di Villa Bellini e dei viali adiacenti è a cura della società che gestisce l’intera fiera.
Sono state allestite zone per la raccolta differenziata dei rifiuti: è prevista una stretta vigilanza per tutelare il verde pubblico e mantenere costante la pulizia nel parco e della fiera.
Tra le news, dal successo assicurato, ci sono l’apertura ininterrotta, anche notturna tra i giorni cinque e sei febbraio, per garantire un’ampia accoglienza alle migliaia di visitatori provenienti da tutta la Sicilia.
La fiera di Sant’Agata: cenni storici
Le origini della fiera di Sant’Agata risalgono a molti secoli fa, quando si dava inizio ai festeggiamenti della Santa patrona della città di Catania con un enorme mercato a cielo aperto, tipico delle tradizioni medievali, quando i signori locali concedevano l’esenzione delle tasse, le gabelle, ed era così possibile acquistare ogni tipo di prodotto a prezzi più bassi.
Prodotti caratteristici: le minne di Sant’Agata
Le minne di Sant’Agata sono delle piccole e deliziose cassate, speciali e caratteristiche, ricordano nella forma i seni della santa, che, secondo la storia del martirio, vennero strappati come punizione per non essersi concessa al prepotente.
Chi ha deciso di trascorrere un soggiorno a San Giovanni La Punta, una località nei pressi di Catania, può stare tranquillo: non ci sarà nulla di cui annoiarsi!
Oltre ad essere una delle location più belle di tutta la Sicilia sotto il profilo naturalistico, S.G. La Punta offre moltissime alternative di svago, divertimento e conoscenza tutte da scoprire.
La prima e più importante attrazione di cui prendere nota è senza dubbio il Parco delle Fiabe.
Parco acquatico e divertimento, questo luogo è a dir poco perfetto per grandi e piccini e offre la possibilità di trascorrere una giornata in totale serenità tra natura, magia e un’atmosfera a dir poco unica nel suo genere. Per info 351 981 9497
E per gli amanti dello shopping? A San Giovanni La Punta è presente anche una galleria commerciale il Centro Commerciale Le Zagare e I Portali
Molto elegante in cui si ha la possibilità di fare acquisti in negozi all’ultima moda a pochi passi da siti archeologici, storici e dell’arte da togliere il fiato. Si trova in Via Alessandro Manzoni, 95037 San Giovanni La Punta CT per info 095 741 8392.
A proposito di siti di interesse a San Giovanni La Punta, assolutamente da non perdere è la visita alla chiesa di San Giovanni Battista.
Sia che lo si faccia perché spinti dalla fede che per scoprire un luogo in cui arte e storia di fondono alla perfezione, la chiesa di San Giovanni Battista rappresenta la meta perfetta per ogni turista e offre la possibilità di conoscere da vicino un angolo di Sicilia tutto da scoprire. Si trova nella Piazza Lucia Mangano, 95037 S. Giovanni La Punta CT.
Sotto il profilo storico, nell’elenco delle location da visitare in occasione di un soggiorno a San Giovanni La Punta c’è anche il monumento al Milite. Anche in questo caso, si tratta di uno dei siti di interesse più apprezzati e visitati da turisti provenienti da ogni angolo del mondo.
Per chi ama l’arte non può non andare in visita presso la Fondazione La Verde La Malfa
Un luogo ideale in cui fare una vera e propria full immersion nell’arte in ogni sua forma. In questo luogo infatti, oltre ad esposizioni permanenti, non presenti anche sezioni dedicate ai libri antichi, alla storia contemporanea ed è anche stata realizzata una stanza chiamata Stanza della pace. Questo luogo si trova in via sottotenente Pietro, Via S. Ten. Nicolosi, 29, 95037 S. Giovanni La Punta CT per info 095 717 8155.
Insomma, chi trascorrerà un soggiorno in questa località non molto distante da Catania non può affatto perdersi una simile preziosa occasione di cultura e approfondimento.
A questo punto, non resta altro da fare che preparare i bagagli e partire alla volta di San Giovanni La Punta, luogo ideale per trascorrere uno short break o una vacanza più lunga in ogni periodo dell’anno, dato il clima particolarmente mite.
Il docu film di Sant’Agata più atteso per il prossimo anno e la sua trama sarà abbastanza semplice, ovvero narrare il racconto della festa della patrona.
Il docu film su Sant’Agata e il giornalista di Roma
Una trama molto semplice che ha, come filo conduttore, le emozioni provate da un giornalista di Roma che, da anni, vive nella città della Capitale italiana ma che, quando si avvicina la festa della patrona di Catania, non perde l’occasione di presenziare alla festa.
Un evento imperdibile il quale viene raccontato in maniera molto semplice e che permette al pubblico che vuole conoscere le varie storie delle città italiane, di poter scoprire quali siano le tradizioni che vanno a contraddistinguere questa particolare festa, molto sentita da parte della popolazione siciliana che, puntualmente, ogni anno organizza una festa memorabile per la sua patrona.
Una festa raccontata con tanta emozione
Il giornalista non si limita solo ed esclusivamente a raccontare la storia attuale della festa di Sant’Agata nel film documentario che lo vede come protagonista.
Al contrario, invece, anche tutte le diverse evoluzioni della festa sono oggetto del racconto della stessa festività siciliana, partendo dalla tradizione fino ad arrivare all’organizzazione dell’attuale festa che ha subito diverse variazioni ma che si occupa di mantenere sempre attivi i pilastri cardini della festività stessa, facendo in modo che la tradizione catanese possa essere tramandata alle nuove generazioni.
Il racconto della patrona e della città
Il film documentario viene suddiviso in due parti molto semplici da analizzare, ognuna delle quali in grado di far trasparire la passione per questo genere di festa provata dallo stesso giornalista siciliano trasferitosi a Roma.
Il documentario si focalizza anche sulle diverse epoche che hanno caratterizzato la città di Catania, rasa al suolo in diverse occasioni e ricostruita nuovamente con uno stile sempre più vistoso a simboleggiare la tenacia della stessa popolazione siciliana.
Oltre a questo breve racconto, il giornalista vi illustra anche tutti gli aspetti organizzativi della festa della patrona, così come l’aspetto religioso, offrendo quindi una panoramica generale completa sulla festa, facendo in modo che questa possa essere esaminata sotto ogni punto di vista.
Il giornalista e non solo
Ovviamente il film documentario non si focalizza solo ed esclusivamente sui racconti del giornalista ma, al contrario contiene anche tutte le diverse testimonianze offerte da parte della popolazione catanese, offrendo quindi una panoramica generale ulteriore.
Persone semplici che raccontano la loro esperienze e le sensazioni che provano ogni volta che vi è questa particolare festa.
Inoltre tutti gli eventi vengono narrati sia dagli organizzatori che dagli altri protagonisti dell’evento, facendo quindi in modo che ogni singolo aspetto sulla festa di Sant’Agata possa essere effettivamente apprezzata da tutti coloro che vivono questo genere di evento con grande attesa ogni anno.
Il film e la sua realizzazione
Il film, ormai entrato nella fase di post produzione, verrà intitolato Melior de cinere surgo, scritta presente all’interno della Porta Garibaldi e che mette in risalto il fatto che la città di Catania non si fa mai abbattere, malgrado le difficoltà e problematiche che si possono palesare improvvisamente.
La data di uscita del film documentario non è ancora stata stabilita con ufficialità, ma si presume che il 2020 sia l’anno in cui questa pellicola particolare dovrebbe essere rilasciata e resa disponibile per la visualizzazione da parte del pubblico.
Le Scacce sono un tipico piatto siciliano precisamente ha origini ragusane. Ha origini antiche e soprattutto un piatto economico molto comune ed estremamente gustoso e se sei stato in vacanza nel ragusano di sicuro l’avrai assaggiato e di sicuro non avrai dimenticato il suo gusto avvolgente grazie al suo tripudio di sapori dovuto alla perfetta combinazione degli ingredienti.
Se sei capitato qui vuoi cercare di elaborare a casa tua questo piatto tipico, bene scopriamo insieme gli ingredienti principali e il metodo di preparazione di questa classica tradizionale ricetta siciliana.
Gli ingredienti per la preparazione di 4 Scacce per l’impasto sono:
500gr di farina di grano duro
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
2gr di lievito di birra
10gr di sale fino
Acqua q.b
Invece per il ripieno occorrono i seguenti ingredienti:
2 lt di passata di pomodoro
300gr di caciocavallo
Qualche foglia di basilico
Uno spicchio d’aglio
Olio extravergine d’oliva
Pepe nero
Sale
Per quanto riguarda i costi per effettuare questa ricetta sono bassi, la difficoltà è media adesso vediamo la preparazione. Procedimento
Come prima cosa mettiamo a cuocere la passata di pomodoro in modo che si cuocia bene, quindi in un tegame mettete l’olio e lo spicchio d’aglio fate soffriggere ed aggiungete la passata di pomodoro e le foglioline di basilico, fate cuocere a fuoco lento con il coperchio.
Nel frattempo prendete il caciocavallo e tagliatelo a pezzetti e lasciatelo da parte.
Fatto ciò procediamo con l’impasto, su di un piano spargere la farina a fontana, aggi
ungere il sale e l’olio, dopodiché prendere il lievito e scioglierlo in un tegame con dell’acqua calda e versarlo piano piano sulla farina e amalgamare, al tatto l’impasto non deve risultare appiccicoso quindi aggiungere l’acqua e lavorare energicamente.
Fatto ciò dividere l’impasto in 4 porzioni adagiate in un canovaccio e lasciare lievitare per circa 3 ore.
Una volta che l’impasto è lievitato prendere i panetti e stenderli con un mattarello precedentemente infarinato in maniera sottilissima proprio questa e la particolarità delle Scacce avere una sfoglia sottile e non doppia.
Steso l’impasto spennellate un po di olio e aggiungete la salsa lasciando un dito di spazio ai bordi per permettere la perfetta riuscita della chiusura, dopodiché aggiungete i pezzetti di caciocavallo sparsi su tutta la salsa, e chiudere portando due estremità verso il centro una su l’altra, dopodiché ripetere il procedimento con la salsa e i pezzetti di caciocavallo e richiudere le due estremità.
Fatto ciò prendete una teglia rivestitela con della carta da forno adagiate le Scacce ed infornate a 180 gradi per circa 20 minuti, una volta cotte lasciarle raffreddare alcuni minuti dopodiché servitele tagliate a fette e buon appetito. Consigli
Questa sopraelencata è la ricetta classica tradizionale a questa potete aggiungere altri ingredienti come le cipolle, le melanzane, i peperoni, e addirittura le salsicce tagliate sottilissime. Che dire in cucina ci vuole molta fantasia per la riuscita di piatti unici e con le Scacce potrete variare la ricetta mantenendo la base classica a seconda del vostro gusto personale.
Se sei capitato qui è perché hai sentito parlare dei Pastieri e adesso vuoi conoscere la ricetta per poterli preparare a casa tua e farli assaggiare ai tuoi ospiti, bene sei capitato nel posto giusto scopriamola insieme.
Iniziamo col dire che i Pastieri sono una tipica ricetta rustica ragusana, in passato era destinata alle classi meno ricche, la tipica ricetta originale ragusana prevede l’utilizzo dalle interiora di agnello oppure del capretto, non veniva utilizzata la carne perché quest’ultima veniva venduta oppure perché troppo costosa. Scopriamo insieme la ricetta che ha un livello medio di difficoltà ed un costo medio-basso.
Ingredienti per l’impasto esterno dei Pastieri per circa 16 pezzi:
700gr di farina di grano duro
340gr di acqua
70 gr di strutto
Olio extravergine d’oliva q.b
Lievito di birra 10 gr
Sale fino 10 gr
Ingredienti per il ripieno dei Pastieri
750 gr di carne macinata di vitello e maiale
400 gr di caciocavallo
4 uova
Uno spicchio d’aglio
Prezzemolo tritato q.b
Sale fino q.b
Pepe nero q.b
Procedimento per la realizzazione dei Pastieri tipici ragusani.
Su di un piano disporre la farina a fontana, mentre in un pentolino sciogliere il lievito con acqua tiepida, dopodiché versatelo gradualmente sulla farina e piano piano iniziate ad amalgamare il tutto, poi aggiungete l’olio, lo strutto, ed il sale, man mano la restante acqua e continuate ad impastare questa volta più energicamente fino a quando l’impasto non risulti liscio ed elastico e non appiccicoso, fatto ciò riponete l’impasto in una ciotola e coprite con la pellicola per alimenti e lasciate lievitare per circa un’ora.
Nel frattempo che l’impasto raddoppia di volume possiamo dedicarci al ripieno dei Pastieri, prendete una ciotola, al suo interno mettete la carne macinata mista e amalgamate bene dopodiché versate il composto in una padella e saltate la carne aggiungendo prima il sale e poi il pepe e lasciate cuocere per circa due minuti. Fatto ciò trasferite la carne in una ciotola e fate raffreddare, una volta raffreddata aggiungete il caciocavallo precedentemente grattugiato lo spicchio d’aglio, il prezzemolo, ed il pepe ed amalgamate il tutto fino a che non diventi un corpo solo.
Una volta che l’impasto è lievitato trasferitelo su di un piano e stendetelo a forma di rettangolo, e con un cilindro formare dei dischi circa 16 per la precisione. Una volta ricavati i dischi al centro di essi mettere un cucchiaio di carne per il ripieno e con le dita sollevate l’estremità del disco e pizzicarlo fino a farlo sembrare quasi ricamato.
Man mano che i Pastieri sono pronti adagiateli su una teglia rivestita di carta da forno, una volta terminati in una ciotola rompete le uova e aggiungete il sale ed il pepe e sbattete, dopodiché versate un po’ di questo composto su ogni tortino facendo attenzione che non fuoriesca, utilizzate le rimanenti uova per spennellare l’impasto. Infornare a 200 gradi con forno già preriscaldato per circa 35 minuti.
Terminata la cottura i vostri Pastieri saranno pronti per essere gustati e con un morso vi porteranno nel meraviglioso mondo ragusano.
I cubbaiti sono una dolce specialità siciliana a base di mandorle, sesamo, pistacchio, miele e zucchero. La versione alle mandorle vanta origini molto antiche: nasce difatti, più precisamente, nell’827 d.C. in concomitanza dello sbarco degli Arabi a Mazara del Vallo (il termine cubbaita deriva dall’arabo ‘qubbiat’ che significa letteralmente mandorlato). Questo dolce diventa ben presto un prodotto tipico della tradizione gastronomica dell’isola ed è reperibile un po’ ovunque specie nel corso delle principali festività.
Lo puoi dunque trovare sulle bancarelle che vendono dolciumi in occasione di Natale, Pasqua e Santa Rosalia, ma anche in diversi punti vendita dedicati a merce alimentare.
Molte persone considerano il cubbaita una sorta di torrone, ma si tratta in realtà di un vero e proprio croccante in barrette avvolto nel cellophane (il suo involucro un tempo era costituito da carta oleata) il cui sapore inconfondibile deriva dal miele impiegato (nella provincia di Ragusa si utilizza quello dei Monti Iblei).
I cubbaiti riscuotono un successo intramontabile tra gli abitanti della Sicilia, i turisti e celebri personaggi (Sciascia e Camilleri li descrivono più volte all’interno delle loro opere).
Cubbaiti: la ricetta
Ti presentiamo ora la ricetta dei cubbaiti.• Difficoltà: media
• Preparazione: 30 minuti
• Dosi: 8 persone
• Costo: medio Per preparare il tipico croccante siciliano ti occorrono:
• ½ kg di semi di sesamo;
• 200 gr di mandorle;
• ½ gr di buccia d’arancia non trattata;
• 300 gr di zucchero;
• 150 gr di miele. La procedura che devi seguire è la seguente.
1. Pulisci il sesamo in modo accurato: passalo sotto l’acqua fredda corrente e lascialo asciugare su un canovaccio disposto sul tavolo. In alternativa, puoi passarlo alcuni minuti in forno (modalità statica 50°).
2. Riduci le mandorle a pezzetti.
3. Versa in una pentola con fondo spesso lo zucchero e l’acqua.
4. Accendi il fuoco e fai sciogliere lo zucchero a fiamma molto bassa.
5. Quando lo zucchero assume un colore ambrato aggiungi il miele, le mandorle, il sesamo e la buccia d’arancia.
6. Mischia il tutto per alcuni minuti con un mestolo di legno.
7. Bagna un piano di marmo con poca acqua (in alternativa lo puoi ungere con un filo d’olio di semi).
8. Disponi il composto sul piano e spianalo con l’ausilio di un mattarello (il croccante deve essere spesso circa 1 cm).
9. Pratica dei tagli sulla superficie del croccante con un coltello leggermente unto e cerca di formare piccoli rombi o quadrati.
10. Lascia solidificare il croccante per tutto il tempo necessario, taglia il cubbaita a pezzetti e servi.
Puoi conservare il croccante siciliano in un barattolo di vetro con chiusura ermetica; consuma il dolce entro due settimane.
Le Teste di Turco sono un dolce storico ragusano, oggi simbolo della città di Scicli. La loro storia inizia nel 1091 quando turchi e cristiani combattevano sulla piana che affaccia sul mare di Donnalucata.
La sorte degli Sciclitani sembrava ormai segnata quando, la “madonna guerriera” arriva in sella ad un cavallo bianco. Lei, con capelli corvini, di rosso vestita e soprattutto di spada armata seminò la Piana di Donnalucata di teste degli invasori turchi salvando la città di Scicli. Proprio per questo motivo, oggi le Teste di Turco vengono preparate per omaggiare la Madonna delle Milizie.
Si tratta di una sorta di Bignè (grandi almeno il triplo) farciti di ricotta fresca o crema, che richiama la forma del turbante dei turchi. Ora, vediamo insieme come si prepara questo squisito dolce. DIFFICOLTA’: medio-bassa PREPARAZIONE: 50min DOSI PER: 3 persone COTTURA: 40min COSTO: medio-basso INGREDIENTI:
180gr. di farina tipo 00;
180gr. di ricotta fresca;
3 uova;
55gr. di strutto;
55ml. di acqua (una tazzina);
Un pizzico di sale;
Zucchero q.b.
Zucchero a velo PREPARAZIONE:
Fate sciogliere a fuoco lento lo strutto insieme all’acqua e un pizzico di sale. Una volta raggiunta l’ebollizione, versate la farina, poco alla volta, nella pentola e iniziate a mescolare finché il composto non diventa omogeneo e morbido. Ricordate di mescolare con molta attenzione e soprattutto non create grumi.
Dopodiché togliete dal fuoco il composto e stendetelo sul piano di lavoro per farlo raffreddare.
Nel frattempo sbattete le uova, in modo tale da mischiare l’albume con il tuorlo.
Una volta che il composto si è raffreddato, potete procedere trasferendolo in una ciotola e, un po’ per volta, incorporate le uova (questo è il segreto per ottenere un impasto perfetto).
Mescolate accuratamente fino a quando le uova non si saranno assorbite completamente.
Dopo aver lavorato l’impasto, foderate una teglia con la carta da forno, trasferite il composto in una sac à poche e man mano create delle piccole montagnette circolari. Questi grossi bignè devono devono avere all’incirca il diametro di un bicchiere da cucina.
Il passo successivo è quello di infornare le Teste di Turco, nel forno preriscaldato a 180° per 40 min.
E’ bene non aprire il forno nei primi venti minuti di cottura.
Mentre aspettate che le Teste di turco si cuociano, lavorate la ricotta fresca con lo zucchero: mescolate fino ad ottenere un composto soffice e omogeneo.
Fate raffreddare le Teste di turco e poi farcitele con il composto di ricotta e zucchero, sistematele su un vassoio, spolverate con lo zucchero a velo e servitele su un bel vassoio.
Le vostre Teste di Turco sono pronte per essere mangiate ! Buon Appetito !
CONSIGLI
Evitate di aprire il forno nei primi venti minuti di cottura delle Teste di turco.
Conservate i dolci in frigo e cercate di consumarli in giornata o al massimo il giorno successivo per evitare l’avaria della ricotta.
Spolverate le Teste di turco con lo Zucchero a velo per un risultato ancora più squisito. VARIANTI
Non entrate nel panico se non vi piace la ricotta. Questi squisiti dolci offrono una variante molto gustosa: farcitura con classica crema pasticceria.
Potete inoltre insaporire le Teste di Turco con del miele fuso.
Potrete acquistare questi gustosi dolci in tutte le pasticcerie siciliane!
Se invece siete troppo lontani dalla Sicilia e non potete recarvi sul posto, segite questa ricetta, il risultato sarà eccezionale, vi sembrerà di assaporare questo squisito dolce sotto il sole della splendida Sicilia.
Non è importante l’età in quanto grandi e piccini amano mangiare questo dolce, l’importante è essere tanto golosi.
Sono davvero numerose le che chiese che si possono trovare a Catania di cui tra queste possiamo trovare la chiesa di San Giuseppe al Transito
Questa chiesa risultata essere stata costruita sui resti della cartina muraria di Catania.
Tra l’altro la si può trovare accanto alla famosa porta della Decima. Invece passando al lato estetico della chiesa possiamo dire che risulta essere davvero molto carina, semplice e sopratutto dotata con una facciata che viene divisa in tre parti.
Questa parte della struttura è complessa e complicata. E’ costituita da una parte in rilievo che corrisponde alla navata interna e da delle ali che mettono in piedi le cosiddette cappelle, dove appunto vanno a riunirsi e sostenersi dalla parte centrale della chiesa stessa.
Sicuramente se si ha un occhio particolarmente allenato nell’osservare, si può facilmente notare come le due ali non sono aperte ai lati ma bensì sono completamente chiuse, mentre in alto si può facilmente notare come siano presenti delle aperture, in cui si crede che fossero state pensate come campanili inizialmente.
Per quanto riguarda invece la porta possiamo dire che risulta essere una delle porte scomparse di Catania, questa porta prende nome di Decima, ovvero una delle porte più importanti delle regione per diverse ragioni.
Questa porta è sorta dal lontano medioevo e andò a sostituire la porta Ariana, e questa porta veniva chiamata anche porta Siracusa, proprio perché questa porta dava la possibilità di poter accedere alla strada principale per raggiungere appunto la città aretusea.
Il nome della porta ovvero Decima risulta essere davvero molto importante e assolutamente storico, ovvero questa porta davvero un ingresso principale alle campagne dove appunto avveniva la tassazione del coltivato e proprio qui avveniva il pagamento della Decima, ovvero un decimo del raccolto ottenuto.
Inoltre questa porta ha visto anche molte tradizioni, infatti si dice che una tradizione volle che sotto la porta passò in penitenza la cosiddetta cittadinanza catanese. Nel 1693, dopo il sisma, in memoria di una edicoletta rinascimentale, venne dedicata nello stesso punto appunto una chiesupola che venne quindi dedicata a San Giuseppe. Per poter piazzare questa chiesupola infatti fu demolita una gran parte delle mure rimaste che vennero sostituite infine con una facciata, che va a rappresentare un gran gioco di curvilinee.