Continuiamo, come negli ultimi venerdì, la nostra rubrica dedicata ai santi siciliani e alle feste loro dedicate. Oggi parliamo di una delle sante più venerate in tutta la Sicilia, Santa Rosalia, nonché la patrona del nostro capoluogo di regione.
La storia di santa Rosalia
Secondo le notizie di agiografi locali, Rosalia era la figlia del duca Sinibaldo di Quisquina e delle Rose. Alla morte di Ruggero II, ella chiese e ottenne il permesso di vivere da eremita in una grotta sul monte Quisquina, dove trascorse dodici anni della sua vita. Successivamente si traferì in una grotta sul monte Pellegrino, a Palermo, dove visse fino alla morte avvenuta, secondo la tradizione, il 4 settembre del 1160. L’iconografia popolare rappresenta la santa giovanissima, con una corona di rosa bianche sul capo, in contemplazione davanti al Crocefisso che, secondo la sua agiografia, sarebbe lo specchio nel quale la santa vide riflessa l’immagine del Cristo. Altri attributi identificativi sono il teschio, la grotta, il bastone e l’incontro con il cacciatore Vincenzo Bonello. A Palermo, l’antica Ziz (fiore), fondata dai Fenici attorno all’VIII secolo a.C. (chiamata Panormus, cioè “tutto porto”, per la particolare insenatura che consentiva un agevole approdo), di cui la santa è patrona.
Il culto di santa Rosalia
Il suo culto si collega a un evento particolare occorso alla città in occasione di una pestilenza. Nonostante le intense preghiere della cittadinanza e le processioni, le quattro sante compatrone di allora – santa Cristina, santa Ninfa, sant’Oliva e sant’Agata – non erano riuscite a fermare l’epidemia. Il miracolo fu invece attribuito alle reliquie di santa Rosalia le quali, portate in processione, riuscirono a impedire l’ulteriore diffondersi del morbo.
La leggenda narra che un giorno, sul monte Pellegrino, Rosalia apparve a un cacciatore smarritosi a causa di un forte temporale. In dialetto palermitano la santa gli avrebbe detto di avvertire il vescovo di Palermo che in una caverna, dove ella era vissuta da eremita, vi erano le sue ossa. Inoltre gli predisse che sarebbe morto di peste. Il cacciatore, un tale Vincenzo Bonello, terrorizzato parlò solo in punto di morte. Il vescovo allora, il cardinale Doria, si recò subito nel luogo indicato dalla santa e, ritrovate le ossa, le mise dentro un sacco. Poi in processione solenne e tra i fiori, candele accese e canti, esse furono portate in città.
La processione
Il Pitrè (nel suo Feste patronali) descrive così la processione delle reliquie della santa ritrovate il 15 luglio del 1624: « Al loro passaggio il male si alleggeriva, diventava meno intenso, perdeva la sua gravità. Palermo in breve fu libera, ed in attestato di riconoscenza a tanto beneficio si votò a Lei e prese a celebrare feste annuali in suo onore che ricordassero i giorni della liberazione e fossero come il trionfo della Santa protettrice. La grotta del Pellegrino divenne santuario, ove la pietà d’ogni buon devoto si ridusse a venerare la squisita immagine della Patrona.»
Dal 1624, ogni anno dal 9 al 15 luglio Palermo festeggia la sua patrona, la santuzza, così chiamata affettuosamente dai devoti, con un festino che dura sette giorni. Invece il 4 settembre, giorno della nascita della santa, ha luogo un pellegrinaggio alla grotta del monte Pellegrino, dove è stato edificato il santuario, e alla cappella della cattedrale di Palermo, in cui è custodita la statua della santa. La scultura in marmo, realizzata nel 1625 dallo scultore Gregorio Tedeschi, è ricoperta di monili d’oro e pietre preziose, offerte dai fedeli durante il corso dei secoli. Le reliquie sono custodite dentro un’urna d’argento, eseguita nel 1631 dagli argentieri Francesco Ruvolo, Gian Nicola Viviano e Matteo Lo Castro. Un tempo però il festino era molto più ricco di manifestazioni rispetto a quello che si tiene oggi.
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