Sono settimane complicatissime, preludio di un inverno che sarà ancora più complicato. Una situazione già precaria è stata definitivamente compromessa con l’avvio della guerra in Ucraina, che ha comportato un aumento dei prezzi di molte materie prime, specialmente quelle energetiche. Il problema, ormai è impossibile non saperlo, è legato anche alle forniture di gas dalla Russia, forniture dalle quali l’Europa era praticamente dipendente e dalle quali si sta svincolando a fatica. Il quadro dei meccanismi internazionali, fra conflitti, sanzioni, crisi e recessione è complicatissimo ed è complesso entrare nel merito senza analizzare adeguatamente tutti gli aspetti.
Ma le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. I rincari al comparto energetico hanno spinto i prezzi alle stelle, con il prezzo dell’energia elettrica che oggi nel mercato tutelato è pari a 0,501 €/kWh, prezzo energia PE della tariffa monoraria, relativo al quarto trimestre 2022 (ottobre-dicembre). Una cifra che ha portato a bollette salatissime, con le famiglie e le aziende costrette a fare i conti. Si stima infatti che, per un nucleo familiare medio, l’aumento dei prezzi del comparto comporterà una spesa annua di circa 1400 euro: l’equivalente di una mensilità di uno stipendio medio italiano (circa 1500 euro) solo per fare fronte alle spese energetiche. La situazione diventa ancora più grave nel Sud Italia, dove quel famoso “stipendio medio” non è così scontato come la statistica vorrebbe suggerirci.
Aumenti prezzi, lavoratori in grossa difficoltà
A pagare il peso materiale della crisi però non sono solamente le famiglie, ma anche i piccoli imprenditori e le aziende e spesso anche i liberi professionisti. Questi ultimi hanno spesso studi in cui ricevono, o magari strumentazioni da tenere attive, che aggiungono spese con le loro bollette a quelle che si ricevono nel proprio nucleo familiare. Tante sono le storie di aziende che non riescono più a sostenere i costi e scelgono di chiudere in questo periodo. Nel comparto turistico, numerose strutture alberghiere hanno fermato le prenotazioni per i periodi meno battuti dai turisti, preferendo chiudere piuttosto che lasciare aperta la struttura “a mezzo servizio”. Chiaramente, questo comporta un ulteriore difficoltà per i lavoratori dipendenti, che essi a loro volta riporteranno sul mercato contraendo le loro spese, in un circolo vizioso.
A preoccupare è anche l’aumento dei beni di primissima necessità, come il pane. Quasi ovunque nella provincia di Catania il prezzo è ormai schizzato alle stelle, assestandosi intorno ai 4 euro al kg. Ma c’è anche chi ai rincari ha detto no e ha scelto di chiudere, anche se si trattava dell’investimento della vita. È la storia di Giuseppe Micale, ormai ex proprietario dello storico panificio la Spiga d’Oro sito in via Plebiscito 190. Giuseppe ha rilevato, con sforzi che possiamo solo immaginare, l’attività 13 anni fa; adesso, a 38 anni e con due bambini, ha scelto di abbassare la saracinesca.
Aumento del pane. “4 euro potrebbe non bastare”
Intervistato da La Sicilia, Giuseppe ha raccontato come gli aumenti abbiano reso impossibile continuare a svolgere il suo lavoro. L’aumento dei prezzi lo ha colpito su due fronti: non solo quello delle bollette, ma anche delle materie prime (a loro volta influenzate dal caro energia). Da 37 centesimi al kg, oggi il costo è salito fino a 80/84 centesimi al kg. Oltre il doppio. Quando ho chiesto spiegazioni al mulino da cui mi fornisco da sempre che ha sede a Siracusa, mi è stato risposto che anche lì si sta attraversando un momento difficile, la bolletta media per loro era di 40mila euro, oggi pagano circa 180mila euro, quanto potranno tirare avanti?».
Una situazione critica, che ha portato il panificatore alla drastica decisione. Oltretutto, oltre all’aumento dei prezzi, Giuseppe riporta come fosse sempre più difficile per una piccola bottega come la sua resistere alla concorrenza delle aziende più grandi come le grandi catene di supermercati. «A quanto deve essere venduto il pane per guadagnarci? E comunque anche se lo vendiamo a 4/euro al chilo non risolviamo. Inoltre la clientela nell’ultimo periodo era diminuita perché si preferisce comprare meno pane o acquistarlo al supermercato che riesce a mantenere un prezzo più basso».
Una situazione critica, in cui però molti si sono sentiti abbandonati dallo Stato, reo di non aver fatto abbastanza. «Mi tocca pagare il mutuo, tenendo l’attività chiusa. Adesso cerco lavoro. Capisco che molti si trovano nella mia situazione e sarà difficile trovare un’occupazione, ma se il mio panificio resta aperto finirà che dovrò metterci soldi di tasca mia e sarò costretto a contrarre debiti per mantenermi. Sono deluso perché lo Stato non ha fatto nulla per aiutarci, provo amarezza e sconforto perché io ho fatto un investimento, ho comprato la bottega e oggi, dopo aver avviato un’attività, devo partire da zero».
Lascia un commento