In queste settimane l’attività dell’Etna sembra non volersi arrestare. La nostra redazione stessa ha dedicato due articoli a questi spettacoli della natura, ma l’attenzione verso l’esuberante vulcano ha travalicato ogni confine, tanto da giungere anche sulle pagine del Guardian.
Etna: l’eruzione di martedì raggiunge quota 1.500 metri
In particolare, avrebbe attirato l’attenzione il parossismo vulcanico di martedì che ha prodotto spettacolari fontane di lava, altre oltre 1500 metri. Un fenomeno che ha stupito e fatto innamorare moltissimi fotografi e amanti de “A Muntagna” sparsi in tutto il mondo. Come segnalato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania l’Etna ha prodotto sei parossismi vulcanici nell’arco di una settimana, producendo una grande quantità di cenere lavica. La cosiddetta “riina” non ha solo coperto i paesi etnei tuttavia, comportando diversi disagi e costringendo a prendere specifici accorgimenti per il suo smaltimento, ma (spinta dalle correnti dei venti) è arrivata sino alle zone del palermitano, seppur in moderatissime quantità.
Il territorio etneo ha avuto larga esperienza di questi fenomeni e in tempi passati era riuscito a trasformare questo duro materiale in una risorsa su cui basare la propria vita. Oggi vogliamo ripercorrere sinteticamente alcuni usi e funzioni che nell’antichità si era soliti attribuire proprio ai prodotti dell’eruzioni del vulcano.
Catania: Uso della pietra lavica
La pietra lavica è, nel territorio etneo, l’elemento architettonico essenziale. Con essa si pavimentano le strade, si costruiscono muri di recensione (i cosidetti “muretti a secco”), case, portali intarsiati, si ottiene l’intonaco, si realizzano mascheroni e sculture varie. Essa è il piedistallo su cui si svolge la vita della gente dell’Etna, tinge di scuro i paesaggi e crea notevoli effetti cromatici col verde della vegetazione e il blu del mare.
Anticamente veniva estratta da cave chiamate “pirreri” e il lavoro consisteva nello scavare sotto la roccia togliendo il terriccio su cui era appoggiata lasciando solo in alcuni tratti che rappresentavano alla fine gli unici pilastri sui quali tutto il blocco lavico poggiava. Quando la pietra emanava degli scricchiolii voleva dire che, spinta in basso dal suo stesso peso, iniziava a staccarsi dalla restante massa lavica. A questo punto il lavoro di estrazione della terra cessava, tutti gli uomini impegnati si allontanavano e con i “furcuni” demolivano i pilastri di terra. Adesso la roccia non aveva più nessun appoggio. Il distacco avveniva lentamente in un tempo che poteva durare un giorno o intere settimane. Dopo, nella stessa “pirrera”, i “pirriaturi” spaccavano la pietra grossa e la riducevano in blocchi più piccoli, i “sbuzzaturi” ricavavano le basole o i bolognini e gli scalpellini lavoravano la pietra in modo particolare per ottenere blocchi utilizzabili ai fini ornamentali.
Catania: l’intonaco frutto dell’Etna
Il colore delle case etnee è semplice, come semplice era la casa stessa, essenziale e funzionale. Così il colore non era frutto della fantasia, ma dipendeva dal materiale che veniva usato il quale conferiva all’intonaco un effetto acquerellato molto gradevole che giocava sulla discontinuità di toni dello stesso colore.
L’intonaco dei prospetti, detto “u suttili”, era sabbia fine dell’Etna impastata con acqua e calce, lavorata con la “pala rovescia” con l’aggiunta di una dose di sapone liquido. Se non veniva aggiunto colore l’intonaco restava grigio, se la sabbia usata era quella scura; mentre se era quella dei Monti Rossi assumeva un colore rossastro.
Il colore delle case quindi spesso assumeva tutte le tonalità che andavano dal rosa al rosso, ma con l’aggiunta dei colori divenivano azzurre, verdi, gialle, colori che ancora possiamo ammirare seppur sbiaditi soprattutto nelle casi rurali etnee.
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